Il TAR nega all’Ispettorato la scelta del contratto collettivo

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Bollettino ADAPT 25 settembre 2023, n. 32
 
Con una pronuncia destinata a riaprire il dibattito sui limiti dei poteri d’intervento giudiziali e ispettivi sulla contrattazione collettiva, il TAR Lombardia, con sentenza n. 272 del 4 settembre 2023, ha stabilito che l’Ispettorato del lavoro non può imporre ai datori di lavoro, nel settore della cooperazione, l’applicazione di un contratto collettivo diverso da quello prescelto. Nella fattispecie, il giudice amministrativo ha annullato un provvedimento di disposizione, strumento utilizzato dal personale ispettivo al fine di conformare le retribuzioni dei lavoratori al principio della sufficienza ed adeguatezza di cui all’art. 36 Cost.
 
Il provvedimento di disposizione
 
Al fine di affrontare correttamente il tema trattato nella sentenza del giudice amministrativo, appare opportuna una breve premessa sul provvedimento di disposizione, che costituisce nella fattispecie l’atto impugnato innanzi allo stesso giudice.  Secondo il disposto dell’art. 14, comma 1 del d.lgs. n. 124/2004 «Il personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative».
 
Come si può notare, la legge conferisce il potere di disposizione nella generalità delle ipotesi di “irregolarità” sprovviste di sanzioni, le c.d. “norme imperfette”. Dunque, l’ispettore del lavoro può emanare il provvedimento in tutti i casi in cui accerti la violazione di un obbligo sprovvisto di sanzioni. La legge, peraltro, non individua le fonti da cui devono promanare gli obblighi sprovvisti di sanzioni. Non possono sussistere dubbi sull’idoneità, a tal fine, della fonte primaria legislativa: si pensi ai casi di omessa concessione della pausa ai lavoratori dopo sei ore consecutive di lavoro (art. 8 d.lgs. n. 66/2003).
 
Secondo l’Ispettorato nazionale del lavoro, ulteriore fonte di obblighi non sanzionati, in relazione alla quale è possibile l’adozione della disposizione, è il contratto collettivo applicato – anche di fatto – dal datore di lavoro (cfr. circolare INL n. 5/2020).
 
La conseguenza prevista per l’inosservanza del provvedimento è l’applicazione di una sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro ed è espressamente esclusa l’applicabilità della diffida di cui all’articolo 13 comma 2 del d.lgs. n. 124/2004 (art. 14, comma 3).
 
La pronuncia del TAR Lombardia

 
L’ispettorato del lavoro adottava una disposizione, ai sensi dell’art. 14 sopra citato, con la quale imponeva alla cooperativa ricorrente di applicare ai propri soci-lavoratori la parte retributiva di un CCNL (Multiservizi) diverso da quello in concreto applicato (Vigilanza privata). La motivazione del provvedimento ispettivo era ispirata alla recente giurisprudenza, che ha ritenuto contrastante con l’art. 36 Cost. il CCNL Vigilanza privata e servizi fiduciari (cfr. Cass. 38666/2021; App. Milano, 580/2022; Trib. Torino, 9 agosto 2019).
 
In tal senso, nel provvedimento ispettivo era specificato che i minimi retributivi contemplati in quest’ultimo contratto sono inferiori alla soglia di sussistenza e, comunque, in contrasto con il principio di retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi della disposizione costituzionale.

A fronte di tale atto ispettivo, il ricorso della cooperativa interessata si presentava molto articolato. Limitando l’analisi ai punti essenziali, gli interessati contestavano la sussistenza in concreto del potere di disposizione in fattispecie relative a violazioni discendenti dalla contrattazione collettiva (cfr. TAR Friuli, 18 maggio, 2021, n. 155). Nel merito, inoltre, deducevano che nessuna violazione poteva in ogni caso configurarsi, poiché l’art. 3 della legge n. 142/2001 invocato nell’atto ispettivo, era stato rispettato, essendo il CCNL Vigilanza privata un contratto stipulato da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, come richiesto dall’art. 7, comma 4, del decreto-legge n. 248/2007 (conv. in legge 31/2008).
 
Il responso del TAR è favorevole ai ricorrenti. Innanzitutto, i giudici chiariscono che sussiste nella fattispecie la giurisdizione amministrativa, dal momento che oggetto di impugnazione è la disposizione dell’ispettore del lavoro, la quale, ai sensi dell’art. 14 del D.lgs. n. 124/2004, è un tipico provvedimento autoritativo che restringe la sfera giuridica dei destinatari, imponendo loro un obbligo presidiato da una sanzione amministrativa per l’inosservanza. Viene in rilievo, quindi, l’interesse legittimo della società ricorrente a non essere sottoposta ad un provvedimento illegittimo.
 
Nel merito, i giudici amministrativi osservano che il contratto collettivo applicato dal datore di lavoro nel caso di specie, e ritenuto dal personale ispettivo in contrasto con l’art. 36 Cost., è conforme all’art. 7, comma 4 del D.l. n. 248/2007. Infatti, come richiesto da tale ultima disposizione, il contratto suddetto è espressione della volontà delle organizzazioni comparativamente più rappresentative del settore della vigilanza privata. Il Collegio richiama sul punto l’autorevole orientamento della Corte Costituzionale (Sentenza n. 51 del 26 marzo 2015), secondo cui l’art. 7 richiama i trattamenti economici complessivi minimi previsti dai contratti delle organizzazioni rappresentative, quale parametro esterno di commisurazione della proporzionalità e della sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. Inoltre, secondo il TAR, il contratto applicato dalla cooperativa è coerente con l’attività in concreto esercitata. Quanto al contrasto con l’art. 36 Cost., i giudici espressamente lo escludono, sostenendo che le clausole economiche del contratto in questione sono state stipulate dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, secondo il menzionato disposto di legge.
 
Inoltre, a detta del Collegio lombardo, la scelta dell’applicazione di un contratto collettivo rientra nella sfera discrezionale del datore di lavoro, quale espressione della libertà sindacale ex art. 39, primo comma Cost., salve limitazioni legislativamente previste nella specie non sussistenti. Le autorità di controllo e i giudici, in assenza di un salario minimo legale, non potrebbero, quindi, imporre minimi retributivi ai datori di lavoro, diversi da quelli previsti dalle disposizioni sopra menzionate, anche per evitare disparità di trattamento tra lavoratori. Gli elementi sopra menzionati conducono il giudice amministrativo ad affermare l’idoneità del contratto “Vigilanza privata” a garantire i parametri costituzionali di cui all’art. 36 Cost.
 

Osservazioni conclusive
 
La pronuncia del TAR Lombardia suscita molteplici riflessioni che, anche per la complessità del tema trattato, è possibile qui solo brevemente esporre. Intanto, va chiarito che solo una lettura non approfondita della decisione potrebbe indurre a dubitare della sussistenza della giurisdizione amministrativa nella fattispecie. Invero, tale giurisdizione certamente sussiste, come precisato dagli stessi giudici, in conseguenza dello strumento utilizzato dall’organo ispettivo, che consiste nel provvedimento autoritativo della disposizione, atto immediatamente esecutivo per legge e lesivo della sfera giuridica del destinatario – datore di lavoro. Se, poi, il TAR abbia conosciuto di una materia evidentemente afferente a diritti soggettivi – i diritti alla retribuzione dei lavoratori – si deve ritenere che lo abbia fatto in via incidentale ai sensi dell’art. 8 del Codice del Processo amministrativo (D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Quindi, le relative statuizioni non possono acquistare l’efficacia di giudicato e ai lavoratori interessati non è preclusa l’autonoma azione giurisdizionale innanzi al competente giudice del lavoro.
 
Peraltro, le certezze si arrestano alla giurisdizione, giacché il contenuto decisorio lascia invece non poche incertezze. Innanzitutto, non risulta che il giudice amministrativo abbia chiarito la sussistenza nella fattispecie del potere ispettivo di disposizione, o il suo corretto esercizio, come pure risulta essere stato richiesto dalla cooperativa ricorrente. La pronuncia dedica un fugace passaggio al tema nella parte finale della pronuncia, limitandosi a rinviare al precedente che aveva negato il detto potere in tutte le ipotesi in cui l’obbligo che si assume violato in sede ispettiva promani dalla fonte contrattuale collettiva (cfr. TAR Friuli, n. 155, cit.). Sicché, la questione, in assenza di orientamenti del Consiglio di Stato, è tuttora controversa, se si pone mente alla tesi affermativa dell’Ispettorato Nazionale del lavoro (Circ. 5/2020) ed alla conseguente prassi concreta degli Ispettorati territoriali, entrambe confortate dall’art. 7 del D.lgs. n. 124/2004.
 
Nel merito, la sentenza appare corretta sul piano giuridico-formale laddove stabilisce che il contratto collettivo disconosciuto dall’organo ispettivo non è un contratto “pirata”, essendo stato stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Da questo punto di vista, effettivamente il combinato disposto dell’art. 3 della legge n. 142/2001 e dell’art. 7, comma 4 del D.l. n. 248/2007, non può dirsi violato dalla cooperativa ricorrente, poiché questa ha applicato un contratto conforme a tali disposizioni.
 
Per altro verso, non v’è dubbio che la sentenza si pone in contrasto con le recenti acquisizioni pretorie lavoristiche, più attente ai profili di tutela sostanziale dei prestatori e sulle quali il personale ispettivo aveva fatto affidamento. In questo quadro, la giurisprudenza ha ripetutamente dichiarato l’invalidità delle clausole economiche del contratto Vigilanza privata, in relazione all’art. 36 Cost. (Cass. 38666/2021; App. Milano, 580/2022; Trib. Torino, 9 agosto 2019, sopra citate). A lasciare perplessi, in questo quadro, è principalmente l’affermazione perentoria del TAR, secondo cui il contratto Vigilanza privata sarebbe, all’opposto, conforme all’art. 36 Cost. in quanto stipulato da organizzazioni dotate del citato crisma della rappresentatività comparata. Il TAR si spinge ad affermare che, in assenza di salario minimo legale, non esisterebbe una norma che autorizzi non solo l’organo ispettivo, ma nemmeno il giudice all’individuazione della giusta retribuzione. In tal modo, i giudici amministrativi trascurano di considerare che, per giurisprudenza consolidata e risalente (sin da Cass. 21/02/1952, n. 461; più di recente, tra le altre, Cass. 10434/2000), tale norma è l’art. 36 Cost., che è dotato di immediata precettività e può essere direttamente applicato in sede giurisdizionale. Inoltre, la presunzione di conformità alla disposizione costituzionale delle clausole economiche dei contratti cc.dd. leader è solo relativa e il giudice può discostarsi da tali clausole motivando sul punto (tra le altre, Cass. 546/2021; App. Milano, 23 ottobre 2017). Sicché, il dato della rappresentatività è sì necessario, ma non sufficiente ad assicurare la patente di conformità all’art. 36 Cost. al contratto che lo possiede.
 
In definitiva, la pronuncia del Collegio milanese, in controtendenza con gli ultimi approdi dei giudici del lavoro, non contribuisce a fare chiarezza su un tema particolarmente sensibile. Le conseguenti incertezze si riflettono sul piano pratico-operativo degli accertamenti ispettivi.
 
Carmine Santoro  

Funzionario Ispettorato nazionale del lavoro

ADAPT Professional Fellow

@carminesantoro

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