Il nodo irrisolto della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato

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Bollettino ADAPT 8 aprile 2024, n. 14
 
In questi ultimi mesi, nella giurisprudenza di merito si sta consolidando un principio in base al quale la carenza del requisito dell’effettiva temporaneità della missione del lavoratore somministrato comporta la costituzione di un rapporto di lavoro alle dirette dipendenze della società utilizzatrice (Trib. Milano 16 gennaio 2024, n. 90Trib. Trieste 14 novembre 2023 e Trib. Milano 9 maggio 2023, n. 882). Questa giurisprudenza di merito si conforma al principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa n. 681/2018, JH contro KG (sentenza 14 ottobre 2020). Si tratta di una sentenza emessa dopo che il Tribunale di Brescia (Trib. Brescia 16 ottobre 2018) aveva disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte Europea sull’interpretazione della disciplina della somministrazione contenuta nel d.lgs. n. 276/2003 rispetto alla direttiva europea n. 2008/104.
 
Il caso esaminato dal Tribunale di Brescia riguardava l’assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore da parte di una APL che l’aveva poi inviato in missione “a tempo determinato” presso lo stesso utilizzatore tra il 2014 e il 2016, rinnovando la stessa missione per ben 17 volte. A fronte di questa dinamica, il giudice italiano ha chiesto alla Corte Europea se questo meccanismo, consentito dalla normativa italiana, contrastasse o meno con l’art. 5, paragrafo 5 della direttiva europea n. 2008/104.
 
La Corte Europea ha ritenuto in estrema sintesi che, da un lato, una normativa nazionale non debba prevedere necessariamente un limite massimo del numero delle missioni che un lavoratore, assunto a tempo indeterminato dall’APL, possa svolgere presso la stessa impresa utilizzatrice; dall’altro, però, la Corte ricorda che la normativa di uno stato membro può contrastare con la direttiva n. 2008/104 nel momento in cui non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea della missione. Laddove questo accade e cioè (punto 69 della sentenza) “se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducessero a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come «temporaneo», ciò potrebbe denotare un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104”, fermo restando che spetterà comunque al giudice nazionale apprezzare la vicenda in sé tenendo conto del vincolo che derivata dalla normativa euro-unitaria. Questo orientamento è stato recepito anche dalla Corte di Cassazione (sentenze 11 ottobre 2022 n. 29570 e 21 luglio 2022 n. 22861).
 
Sennonché, i casi trattati presso le alte corti, sia nazionali che euro-unitarie, originavano tutti da vicende in cui il lavoratore era stato assunto a tempo indeterminato dall’APL e successivamente somministrato a tempo determinato per un numero X di volte presso l’utilizzatore
 
Allo stesso modo, il caso trattato dal Tribunale di Milano il 9 maggio 2023 originava da una vicenda che vedeva 8 lavoratori assunti a tempo determinato da un’impresa e, successivamente, assunti a tempo indeterminato da una APL per essere somministrati più volte presso il loro ex datore di lavoro, ora utilizzatore. Vi è stata, quindi, una successione di missioni presso lo stesso utilizzatore. Simile è anche il caso sul quale si è pronunciato il Tribunale di Trieste il 14 novembre 2023, riguardante un lavoratore assunto dall’APL a tempo determinato e somministrato per una missione a tempo determinato presso l’utilizzatore. Dopo 4 rinnovi della stessa missione presso lo stesso utilizzatore, l’APL ha assunto a tempo indeterminato il lavoratore e lo ha somministrato a tempo indeterminato presso il medesimo utilizzatore (missione poi terminata per l’apertura di una procedura ex legge n. 223/1991). Infine, il caso sottoposto al Tribunale di Milano e risolto con la sentenza del 16 gennaio 2024, sembrerebbe originare da una vicenda in cui il lavoratore era stato assunto da una APL a tempo determinato e somministrato per una missione a tempo determinato presso un utilizzatore; successivamente, assunto da altra APL a tempo indeterminato, questo è stato somministrato più volte presso lo stesso utilizzatore, realizzando una sequenza di missioni uguali tra loro.
 

Tendenzialmente, dunque, le casistiche trattate dalla giurisprudenza sono tutte simili tra loro e vedono al centro della controversia una APL che assume il lavoratore a tempo indeterminato per somministrarlo più volte presso lo stesso utilizzatore, per compiere delle missioni che formalmente sono sottoposta ad un termine ma che possono essere considerate tra loro sostanzialmente collegate. Secondo la magistratura europea, questo modus operandi è da ritenersi illegittimo perché mira ad eludere i vincoli della direttiva euro-unitaria in materia di somministrazione.
 

Sennonché, in un passaggio – che potremmo definire nei termini di un obiter dictum – presente sia nella sentenza del Tribunale di Milano del 9 maggio 2023 che in quella del Tribunale di Milano del 16 gennaio 2024, i giudici ritengono che non sfuggono alla sanzione della costituzione di un rapporto di lavoro direttamente in capo all’utilizzatore anche quei casi in cui il lavoratore sia assunto a tempo indeterminato da una APL per essere poi somministrato a tempo indeterminato presso l’utilizzatore (si tratta del c.d. staff leasing). Questo perché la direttiva richiederebbe comunque il carattere temporaneo della esigenza manifestata dall’utilizzatore, non essendo possibile per questo richiedere all’APL una somministrazione di manodopera “a tempo indeterminato” ma solo per sopperire ad esigenze temporanee.
 

Testualmente, il Tribunale di Milano, nella sentenza del 9 maggio 2023 sostiene che ai principi sanciti dalla Corte di Giustizia non sfugge la somministrazione a tempo indeterminato per due principali ragioni: a)se effettivamente l’esigenza che determina per l’impresa utilizzatrice il ricorso alla somministrazione fosse a tempo indeterminato, non avrebbe ragione di ricorrere all’agenzia di somministrazione”; b) inoltre, sebbene il lavoratore somministrato, in caso di interruzione della missione sine die percepisca “nei periodi di mancato invio in missione l’ indennità di disponibilità” non gode comunque “di meccanismi di tutela sotto il profilo della durata della missione stessa” la cui durata può essere interrotta per diverse ragioni pattuite nel contratto commerciale (p. 16).
 

Allo stesso modo, il Tribunale di Milano, nella sentenza del 16 gennaio 2024, osserva che: “Deve poi rilevarsi che i principi sopra espressi devono trovare applicazione anche in relazione alla somministrazione a tempo indeterminato, dovendosi condividere le argomentazioni della già citata sentenza n. 882/2023 resa dal Tribunale di Milano, ovvero che anche in tale fattispecie ciò che rileva non è la natura a tempo determinato o indeterminato del rapporto di lavoro con l’agenzia di somministrazione dovendosi, per contro, avere riguardo alle missioni presso l’utilizzatore, al fine di verificare se la precarizzazione del lavoratore assuma o meno il carattere di violazione dei principi della direttiva europea” (p. 3).
 

I giudici di merito, quindi, hanno già stabilito – con una riflessione del tutto occasionale (e quindi un obiter dictum) posto che tutti casi di specie da loro trattati non riguardavano una somministrazione a tempo indeterminato – che la sanzione della costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore vada estesa anche laddove una APL somministri a tempo indeterminato un lavoratore presso l’utilizzatore. Il che desta non poche preoccupazioni data la diffusione di questo schema, alla luce di una normativa nazionale che del resto lo legittima (cfr. art. 30 e ss. del d.lgs. n. 81 del 2015).
 

Inoltre, sembra che i giudici milanesi diano per scontato che ad essere legittimato sia solo lo schema contrattuale per cui l’APL assume a tempo indeterminato un lavoratore per somministrarlo poi presso un utilizzatore per sopperire esigenze di carattere temporaneo, non ammettendo che la normativa di uno stato membro possa contemplare anche uno schema diverso, cioè quello in base al quale un APL possa somministrare a tempo indeterminato un lavoratore presso l’utilizzatore, per lo svolgimento di una missione che non abbia una fine prestabilita. Aspetto che, del resto, è stato sempre controverso, ponendosi il quadro normativo italiano in uno stato di eccezione rispetto alla direttiva euro-unitaria e rispetto al quale non si rinvengono specifiche pronunce della Corte di Giustizia su detto profilo.
 

Per contro, è in atto un vivace dibattito dottrinale, che registra due posizioni nettamente contrapposte: da un lato, vi è chi ritiene che lo staff leasing previsto dalla normativa italiana non rientri nel campo di applicazione della direttiva n. 104 e ne sarebbe dunque svincolato dai limiti imposti, che possono spiegare effetti solo per le missioni a carattere temporaneo (sul punto, cfr. M. Biasi, L’arrêt KG e la temporaneità del lavoro somministrato: essere o dover essere?, in DLRI, 2021, n. 2, pp. 301-324, spec. pp. 316-317). Dall’altro, vi è chi ritiene che anche lo staff leasing rientri nel campo di applicazione della direttiva n. 104, poiché quest’ultima riguarderebbe “il lavoro svolto, da un prestatore assunto da un’agenzia, in favore di una impresa utilizzatrice a prescindere dalla natura a tempo definito o sine die del contratto commerciale” (A. Riccio, La necessaria temporaneità del lavoro tramite agenzia: i possibili riflessi sull’ordinamento interno, in ADL, 2023, n. 1, pp. 163-186, spec. pp. 181-182; in tema si veda anche F. Pantano, I più recenti orientamenti della Corte di Giustizia sulla temporaneità del rapporto di lavoro tramite agenzia interinale: il caso Daimler, in ADL, 2023, n. 1, pp. 112-130, spec. p. 129, il quale evidenzia che “il requisito della temporaneità riguarderebbe, non solo la durata del rapporto di fatto tra il medesimo lavoratore e la medesima impresa utilizzatrice, ma quella stessa del contratto di somministrazione, in riferimento alla stessa posizione lavorativa”).
 

Pur non mancando opinioni che ritengono la normativa italiana in violazione di quella comunitaria (si vedano le considerazioni di G. Bronzini, Il lavoro in somministrazione e le tutele dell’unione. Ribadite dalla Corte di giustizia le finalità antiabusive, in LDE, 2022, n. 2, che ritiene “il sistema italiano non coerente con il diritto dell’Unione”; contra, M. Biasi, op. cit., pp. 316-318), è pur vero che nessun tribunale fino ad ora ha rinviato alla Corte di Giustizia la questione, sollecitando così i giudici europei ad affrontare in modo diretto e specifico la questione sorta attorno allo staff leasing. Il Tribunale di Milano avrebbe potuto cogliere questa occasione per chiarire definitivamente questo nodo, posto che l’art. 267 del TFUE concede loro questa facoltà (che diviene obbligo per i giudici di ultima istanza). A ben vedere, però, questa opzione potrebbe essere stata scartata dai giudici poiché i casi di specie non riguardavano direttamente la fattispecie di cui discutiamo (cioè lo staff leasing), posto che il rinvio è funzionale a risolvere questioni che siano direttamente connesse con l’oggetto del giudizio. Se è così, allora, questo obiter dictum delle sentenze milanesi è destinato a far discutere gli addetti ai lavori, fuori e dentro le aule di giustizia. E ciò per una serie di ragioni.
 

Da un lato, vi sono alcune elementi testuali della direttiva n. 104 favorevoli per l’esclusione dello staff leasing dal suo campo di applicazione, a partire dall’art. 1 che segna i confini dell’efficacia della stessa a quei lavoratori che “sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse”. Dunque, il lavoratore assunto a tempo indeterminato da una APL e somministrato sine die presso un’impresa utilizzatrice non sarebbe ricompreso nel campo di applicazione della direttiva n. 104. Del resto, benché da tempo si discute sul concetto di “temporaneità” (per una rassegna della giurisprudenza in materia, si veda il contributo di D. Garofalo, M. Tiraboschi, Disciplina del contratto di lavoro a termine e riflessi operativi sulla somministrazione di lavoro (art. 24, d.l. n. 48/2023), in E. Dagnino, C. Garofalo, F. Picco, P. Rausei,  Commentario al d.l. 4 maggio 2023, n. 48 c.d. “decreto lavoro”, Adapt Labour Studies, e-book series, 2023, pp. 1-26, spec. 19-21), una missione che non ha un termine non potrebbe considerarsi mai di natura temporanea. A sostegno di questa tesi depongono anche le definizioni di «agenzia interinale», «lavoratore tramite agenzia interinale» e «impresa utilizzatrice» di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), c) e d) della direttiva, poiché in esse si fa costantemente all’elemento della temporaneità della missione.
 

Dall’altro, si potrebbe ritenere che con il discusso obiter dictum, i giudici non abbiano voluto tanto discutere sul se lo staff leasing rientri o meno nella direttiva n. 104, quanto sul fatto che laddove si verifichi una successione di più missioni, prescindendo se queste siano caratterizzate dall’apposizione predeterminata di un termine o siano sine die, si configurerebbe un’ipotesi di precarietà che la direttiva, invece, intende contrastare, non bastando, secondo i giudici milanesi, che al lavoratore sia garantita una indennità di disponibilità nell’attesa di un nuovo incarico presso altra impresa utilizzatrice. In ragione di ciò, il giudice nazionale, sulla scorta dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia, potrebbe apprezzare il caso concreto e applicare la sanzione della costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore.

 

Giada Benincasa

Assegnista presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@BenincasaGiada
 

Emanuele Dagnino

Ricercatore di diritto del lavoro

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino
 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore in diritto del lavoro

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi
 

Silvia Spattini 

Ricercatrice ADAPT

@SilviaSpattini

Il nodo irrisolto della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato