Il Decreto lavoro e il primo maggio della discordia

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Bollettino ADAPT 8 maggio 2023, n. 17
 
È difficile dire quale fosse l’obiettivo della strategia del Governo che nei giorni scorsi ha dato luogo a uno degli scambi più aspri mai avvenuti negli ultimi anni attorno alla festa del Primo maggio e ai rispettivi ruoli di esecutivo e parti sociali. Davvero serviva a dividere i sindacati come parte degli osservatori ha indicato? Oppure è stato genuino lo stupore della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che nel convocare un Consiglio dei Ministri per approvare un discusso decreto in materia di lavoro proprio il Primo maggio era convinta di fare un gesto di «partecipazione» alla festa? Oppure ancora semplicemente si è trattato della svista di un Governo che ha rivendicato a più riprese la volontà di confrontarsi apertamente con le parti sociali e poi si è scordato non solo di interpellarle, ma anche di informarle, complice la fretta di dare visibilità attraverso i riflettori del primo Maggio proprio all’unico provvedimento varato sinora proprio in materia di lavoro? Oppure ancora, al contrario, l’obiettivo non era tanto la visibilità di un decreto di certo non dirompente nelle politiche del lavoro, ma era invece la contesa dell’egemonia della sinistra sul tema del lavoro attraverso la festa stessa del Primo maggio?
 
Tutte le ipotesi sono valide se si ricapitolano i fatti. Inizialmente il Governo insieme ad alcune anticipazioni dei contenuti del decreto lascia filtrare, anche l’intenzione di approvarlo e presentarlo il Primo maggio. I sindacati, tutti, non contestano subito la coincidenza, ma il metodo, visto che sul decreto non si è svolto alcun confronto con le parti sociali. Il segretario della Cgil Landini etichetta poi come «irrispettosa» la scelta di convocare il Cdm il primo maggio. Per il leader della UIL Bombardieri, si tratta di «un atto di propaganda». Il governo convoca allora i sindacati la sera prima del Cdm alle 19:00. Prima dell’incontro, lo scambio a mezzo stampa si inasprisce. Giorgia Meloni afferma che «fare il decreto il primo maggio per me era un modo per testimoniare che il governo voleva partecipare con qualcosa di buono alla festa dei lavoratori. Un segnale, un modo per dire “ci siamo tutti”», rincarando la dose: «Se Landini pensa davvero che sia diseducativo lavorare il primo maggio, allora il concerto la triplice dovrebbe organizzarlo in un altro giorno». Per non dire delle voci di chi dal governo ha affermato: «Mentre il Primo Maggio il Governo si riunirà per varare provvedimenti concreti e dare una prospettiva soprattutto alle nuove generazione la sinistra canta e balla». Ma in serata la premier prova a smorzare i toni affermando che «l’incontro […] non è esaustivo», ma deve intavolare un «un dialogo costruttivo per le riforme da affrontare». All’uscita dalla due ore di confronto, i commenti dei sindacati restano comuni nella condanna dell’errore di metodo, ma divergono in termini di fiducia accordata alla nuova apertura del governo. Il segretario della Cisl Sbarra ritiene sia necessario percorrerla, Uil e Cgil ricordano che «restano in campo iniziative e ragioni che ci hanno portato a indire le giornate di mobilitazione il 6 a Bologna, il 13 a Milano e il 20 a Napoli». Alla fine dell’incontro non si svolge nessuna conferenza stampa, nonostante nei giorni scorsi da Londra Giorgia Meloni avesse rinunciato a commentare i contenuti del decreto di fronte ai giornalisti spiegando «li voglio illustrare lunedì». È invece con un video diffuso sui social che la premier annuncia direttamente agli Italiani innanzitutto «il taglio delle tasse più importante degli ultimi decenni».
 

È pur vero che è stata parte del sindacato a concentrarsi sulla coincidenza del primo maggio, spostando l’attenzione dai contenuti del decreto ad una schermaglia sui modi più opportuni per celebrare la festa del lavoro. Ma è stato il governo che, intenzionalmente o meno, le ha fornito il pretesto. Se si leggesse inoltre la mancata conferenza stampa (prassi che, fanno notare i giornalisti, dura da qualche settimana) in uno con il mancato confronto preventivo con i sindacati, sembrerebbe di poter intravedere il disegno di una disintermediazione programmatica. La convocazione in extremis dei confederali confonde però le acque perché appare come un’incertezza della linea governativa. Ma dà così l’occasione al sindacato per riproporre per contrasto la coerenza della linea unitaria che ha sinora escluso il riproporsi di uno sciopero generale separato, come avvenuto per due anni di fila sulla legge di bilancio. Se dunque sulla scia delle crescenti tensioni questo assetto si evolverà in direzione di un nuovo sciopero generale, non si potrà dire che il governo abbia tolto al sindacato tutti gli alibi.
 

Ma soprattutto, quali che fossero le reali intenzioni delle parti, di per sé il risultato non è stato certo quello di un buon servizio per una festa che è già in difficoltà se si considera che, secondo un recente sondaggio pubblicato su La Stampa, il Primo maggio per gli italiani sembra aver assunto solo una dimensione di vetrina e propaganda o di una giornata governata dalla politica. Si è dunque introdotta una nuova ed inedita divisione attorno a un momento simbolico della vita collettiva del Paese che, attraverso le sue vicissitudini, negli anni ha assunto il valore non solo di festa “dei lavoratori” ma di festa “del lavoro”, con riferimento ai fondamenti costituzionali – come ha voluto sottolineare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo discorso istituzionale. Una festa nazionale che in quanto tale definisce le cornici valoriali all’interno delle quali si svolge la vita democratica e che costituisce dunque una risorsa di legittimazione per tutti gli attori istituzionali, e non solo per una parte di essi.
 

Francesco Nespoli

Ricercatore LUMSA

@Franznespoli

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