Il caso delle collaborazioni negli Istituti ed Enti di ricerca

Come noto, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ha segnato con l’articolo 52 il superamento delle collaborazioni a progetto che furono introdotte dalla legge Biagi al fine di scoraggiare l’uso di forme di lavoro improprie per evitare l’applicazione della disciplina della subordinazione, facendo però salve le collaborazioni di cui all’articolo 409, n. 3 del Codice di Procedura Civile (co.co.co.).

 

Ritorno al passato dunque, con l’annunciata erosione delle seppur minime forme di tutela introdotte nel 2003, come già ampiamente argomentato (per una più dettagliata analisi degli effetti della riforma cfr. da ultimo, G. Santoro-Passarelli, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2) in F. Carinci (a cura di) Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 48).

 

Inoltre, per effetto dell’articolo 2 comma 1 sempre del d.lgs. n. 81/2015, oggi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato trova applicazione anche alle collaborazioni che «si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

 

Ciò è vero almeno per il settore privato, posto che in forza della deroga espressa al quarto comma, fino al completo riordino della disciplina dei rapporti di lavoro flessibile previsto all’art. 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) la novella non si applica alle Pubbliche amministrazioni; amministrazioni che comunque a partire dal 2017 non potranno più stipulare rapporti di collaborazione etero-organizzata (articolo 2, comma 4, ultimo periodo).

 

Nel corso dell’iter di approvazione della legge di stabilità per l’anno 2016 (oggi A.C. 3444) ha incuriosito l’approvazione – in Commissione Bilancio al Senato – di un emendamento che ammette la possibilità per gli istituti ed enti di ricerca, al fine di garantire il proseguimento della loro attività istituzionale, di continuare ad avvalersi dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in essere al 31 dicembre 2015, mediante l’attivazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, con esclusione del personale non contrattualizzato. Sempreché ciò non comporti «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» e dunque a valere sulle risorse disponibili ai sensi della legge di stabilità per il 2006, che ammetteva la conclusione di rapporti a termine e di collaborazione nei limiti del 40% della spesa sostenuta dalla stessa amministrazione e per lo stesso scopo nell’anno 2003. Limite che non opera peraltro, per una serie di amministrazioni tra cui sono annoverati anche gli enti di ricerca, nel caso di impiego per attività di ricerca, innovazione tecnologica e miglioramento dei servizi per gli studenti.

 

Pertanto, agli enti ed istituti di ricerca pubblici che al prossimo 31 dicembre avessero ancora all’attivo rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, è consentito proseguire la loro attività mediante la stipula con gli stessi soggetti di rapporti di lavoro subordinato a termine.

Nel caso specifico di impiego per attività di ricerca, innovazione tecnologica e miglioramento dei servizi rivolti agli studenti, non opera inoltre il limite di spesa massimo imposto dalla legge n. 266/2005.

 

Ulteriore requisito richiesto dall’emendamento (oggi art. 1 comma 125) è una verifica di idoneità preventiva, che però non viene delineata nei suoi tratti sostanziali, rischiando così di tradursi in una vuota enunciazione di principio.

 

Comprendere la possibile portata dell’emendamento appare tuttavia arduo. ultimi dati elaborati dall’ARAN sull’impiego di personale a tempo determinato o con contratti di collaborazione nella Pubblica Amministrazione risalgono infatti al 2013. E neppure emerge, dalle relazioni che accompagnano il disegno di legge, una panoramica consapevole del fenomeno.

 

Il presentimento è che l’intervento corre il rischio di trasformarsi in una vera e propria “sanatoria”, considerando che per i contratti a termine stipulati da una serie di enti, tra cui gli «istituti pubblici di ricerca» non opera (salvo diversa previsione della contrattazione collettiva) il limite massimo pari al 20% dei rapporti a tempo indeterminato, e neppure il termine massimo di 36 mesi.

L’articolo 23 comma 3, ultimo periodo del decreto 81 statuisce infatti che la durata dei contratti aventi ad «oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica» può coincidere con la durata del progetto cui si riferiscono, che quindi può potenzialmente eccedere i 36 mesi.

 

La disposizione pare dunque avere essenzialmente un carattere emergenziale (ed in questo senso, apprezzabile) che tende a tamponare il vuluns generato da un canto dalle novità del c.d. Jobs Act unite alla delega di riforma della PA non ancora attuata, e dall’altro dalla ristrettezza delle risorse economiche a disposizione degli stessi enti.

Ciò nonostante, potrebbe agevolmente aprire a future elusioni, poste le peculiari deroghe già in materia di limiti quantitativi e di durata dei contratti stessi.

 

Visto lo stato di salute – almeno dal punto di vista delle risorse umane – degli istituti ed enti di ricerca pubblici, non possono che essere accolte positivamente le leve per uno sviluppo della ricerca nel settore privato; esempio ne è l’annuncio dell’inizio di novembre del Presidente del Consiglio del progetto Human Technopole, quale eredità dell’area di Expo2015: una struttura in grado di ospitare ben 1600 ricercatori.

 

Invero nel privato la ricerca soffre della strutturale mancanza di un impianto normativo adeguato, che possa dare dignità giuridica al ruolo del ricercatore in azienda.

Una tentativo in tal senso è stato recentemente avanzato da ADAPT, che ha elaborato una proposta di legge che mira a colmare la lacuna.

 

In particolare, per il tema qui trattato, rileva l’articolo, 4 laddove apre alla partecipazione di università e centri di ricerca pubblici ai distretti industriali ed alle reti di impresa, per favorire la sinergia tra pubblico e privato.

 

 

Marco Menegotto

ADAPT Junior Fellow

@MarcoMenegotto

 

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