Lo stato di salute dei servizi per il lavoro in Italia

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Il 5 giugno scorso è stato presentato il rapporto sul Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017, a cura dell’Anpal. Gli esiti del monitoraggio, svolto su un’indagine campionaria di 397 centri per l’impiego “principali” (su un totale di 501), restituiscono una fotografia della realtà dei centri per l’impiego italiani, sotto il profilo organizzativo e funzionale, alla fine del 2016, in un contesto di transizione politica, istituzionale, economica e normativa che vede assegnata una rinnovata centralità ai servizi pubblici per l’impiego nelle dinamiche di intermediazione nel mercato del lavoro e di gestione delle politiche attive.

 

L’iter di riforma ha il suo fulcro nel d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150, che affida l’attuazione dei servizi per le politiche del lavoro alla governance multilivello ex art. 1, composta da una pluralità di soggetti in una logica reticolare e di complementarietà degli interventi, sotto il coordinamento della cabina di regia nazionale, volta ad assicurare la garanzia di livelli standard del servizio. Sul piano istituzionale, ne costituisce il complemento la ri-definizione del perimetro delle competenze locali in materia, con la ri-attribuzione delle relative funzioni alle Regioni, cui risultano strumentali le Convenzioni stipulate tra Stato e Regioni sulla definizione dei rispettivi obblighi nella gestione dei servizi per il lavoro.

 

Su questo sfondo, il ruolo attribuito ai centri per l’impiego è ambizioso in termini progettuali, anche dal punto di vista della professionalità richiesta agli operatori, nell’ottica dell’erogazione di prestazioni standard sul territorio nei confronti di un’utenza che si segnala per la sua eterogeneità e numerosità, con particolare riferimento alla stipula del patto di servizio personalizzato previa attività di profilazione.

 

Sotto questo aspetto, il rapporto segnala che più dell’80% dell’utenza è classificabile (anche) nella categoria dei c.d. NEET, risultato dell’attivazione dei programmi di Garanzia Giovani, cui seguono, in termini di frequenza, i percettori di ammortizzatori sociali (58%) e i disoccupati di lunga durata (36%). Nel centro Italia risulta, inoltre, elevata la percentuale delle donne in fase di (re)inserimento lavorativo, mentre nel Nord-Ovest quella delle persone affette da disabilità e nel Nord-Est quella dei disoccupati over 50. Le richieste rivolte dagli utenti investono prevalentemente la ricerca di un‘occupazione ovvero la gestione di pratiche amministrative per l’accesso a misure di sostegno al reddito, mentre percentuali più basse riguardano la richiesta di avvio di lavoro autonomo ovvero l’iscrizione ad un corso di formazione professionale. Dal lato della domanda, invece, il 66% delle richieste aziendali riguardano la preselezione di personale ai fini dell’assunzione, seguita da quella di chiarimenti normativi e di servizi mirati per il collocamento obbligatorio.

 

La complessità e rilevanza della funzione assolta dai centri per l’impiego esigono, pertanto, un’intensa attività di monitoraggio sulla gestione interna delle risorse, sulla capacità di evasione delle richieste dell’utenza e dei territori, nonché sull’esistenza di eventuali criticità. A tale scopo, l’indagine sulla qualità del servizio effettuata in sede di monitoraggio si incentra sull’osservazione delle attività rese dai centri per l’impiego, rispetto ad un profilo operativo “potenziale”, tenuto conto altresì di diverse variabili, organizzative, funzionali e professionali, idonee ad incidere sulla domanda degli utenti e delle imprese, nonché sui processi.

 

Le attività svolte dai centri per l’impiego sono state analizzate in base al metodo di classificazione contemplato dall’Atlante del Lavoro, che identifica le aree di attività in cui si scompongono i principali processi di lavoro nell’ambito dei settori economici professionali.

 

Nel caso dei servizi per l’impiego, sono enucleate otto aree funzionali, a loro volta articolate in un certo numero di attività specifiche: 1) accoglienza e prima informazione; 2) orientamento di I livello; 3) orientamento di II livello e bilancio delle competenze; 4) accompagnamento al lavoro; 5) inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati; 6) rinvio alla formazione professionale; 7) assistenza all’autoimprenditorialità; 8) servizi alle imprese. Le azioni concrete, in cui ciascuna di tali aree si declina, sono sia di front office sia di back office, e le seconde si distinguono a seconda che si tratti di adempimenti burocratici, come la gestione delle banche dati, ovvero di funzioni strategiche, propedeutiche all’erogazione del servizio, come la raccolta dei cv, con un accento sulle attività ascrivibili all’area del collocamento vero e proprio, dal profiling dell’utenza alla definizione del patto di servizio.

 

Ad eccezione delle aree relative al rinvio alla formazione e all’offerta di servizi di sostegno all’autoimprenditorialità, il monitoraggio evidenzia, sul piano quantitativo, una elevata quota di servizi attivati, superiore al 90%, corrispondente a filiere lunghe di attività. La gamma delle azioni inquadrate nell’ambito dell’accoglienza e dell’orientamento di I° livello risulta interamente coperta, mentre la filiera, in realtà, tende ad accorciarsi in misura inversamente proporzionale al carattere specialistico delle attività, con particolare riguardo all’orientamento di II livello e all’accompagnamento al lavoro.

 

Il minimo comune delle attività svolte dai centri per l’impiego compresi nel campione, definite “attività core”, risultano dunque sbilanciate verso i servizi alla persona, con particolare riferimento all’attività di profilazione dell’utenza e di prima mediazione tra domanda ed offerta, mentre i servizi alla domanda di lavoro comprendono, per lo più, attività generiche di aggiornamento delle banche dati e di preselezione, a discapito dell’attività di intermediazione vera e propria. I casi in cui l’offerta funzionale presenta profili più evoluti, con un’attenzione ai servizi di carattere più consulenziale, è circoscritta ad esperienze isolate.

 

Sul piano qualitativo, in termini di incidenza di alcune criticità sull’effettiva realizzazione del servizio, almeno un centro per l’impiego su cinque lamenta, in linea generale, delle criticità relative alle competenze del personale. In relazione ad un modello potenziale, in cui l’attività resa è svolta in assenza di tale elemento di criticità, le competenze del personale impiegato risultano incidere in misura maggiore nell’area dei servizi specialistici di orientamento di II livello e di matching, così come in quelle relative al rinvio alla formazione professionale e alla consulenza per la creazione di impresa. La carenza di personale adeguato spiega, dunque, poiché i servizi più specialistici customer oriented, destinati sia alle persone sia alle imprese, come la progettazione di percorsi formativi e l’orientamento nel primo caso e l’analisi di fabbisogni occupazionali nel secondo, stentino a decollare, tanto da condurre a soluzioni organizzative alternative, quali l’allocazione di alcune funzioni presso strutture diverse dai centri per l’impiego.

 

Il livello di incidenza negativa tende ad essere inferiore rispetto ai servizi informativi, che infatti non richiedono competenze specialistiche, ma dove la qualità del servizio rischia di essere inficiata, almeno in un centro per l’impiego su quattro, dal sottodimensionamento dell’organico e dall’inadeguatezza operativa legata dall’insufficienza di modelli organizzativi di gestione delle risorse umane efficienti.

 

Il quadro descritto trova conferma nelle indagini svolte in termini di scarto tra l’effettiva capacità di erogazione del servizio da parte dei centri per l’impiego e la proiezione del modello di servizio descritto dagli operatori del settore, che ha lo scopo di pervenire ad un risultato descrittivo il più possibile aderente alla realtà operativa e funzionale dei centri per l’impiego.

 

Dal punto di vista delle tipologie di servizio, il rapporto assume una duplice prospettiva che tiene conto della distribuzione delle criticità a seconda del target di utenza, nonché della maggiore o minore omogeneità nella distribuzione delle criticità.

 

Lo scostamento tra servizio effettivo e servizio potenziale risulta, dunque, minimo per i servizi di prima accoglienza o che implicano la gestione procedurale di funzioni ordinarie, sia verso le persone sia verso le imprese, che sono caratterizzati, inoltre, da un grado uniforme di distribuzione sul territorio. Il divario aumenta, così come la disomogeneità a livello territoriale, per i servizi più specialistici, quali l’orientamento di II livello e i servizi alle imprese, e per quelli relativi all’incontro tra domanda ed offerta di lavoro e all’inserimento di soggetti svantaggiati, che, tuttavia, sono concentrati solo nei centri per l’impiego di alcune Regioni. Lo scostamento massimo e un elevato livello di dispersione territoriale si registrano nelle aree relative alla formazione professionale al sostegno all’autoimprenditorialità, addirittura assenti presso alcune realtà ove si è optato per l’allocazione del servizio presso uffici diversi, come le Regioni.

 

Focalizzando l’attenzione sulle tipologie di attività, in cui si diramano le aree funzionali, il rapporto muove da una situazione di benchmark caratterizzata dall’assenza di criticità, relative alle dimensioni organizzative, funzionali ed operative, e di omogeneità delle azioni sul territorio. Rispetto alla distanza dal profilo operativo potenziale, sono enucleate tre tipologie di attività. Il primo gruppo è composto da quelle attività ricomprese nelle prime due aree, relative a funzioni di ordinaria amministrazione in fase di prima accoglienza e presa in carico dell’utente, ove la qualità del servizio è percepita come elevata e uniforme a livello territoriale, mentre l’unico elemento di criticità rilevante è rappresentato dalla dotazione organica e, per alcuni interventi, come quello di profiling, anche dalla carenza di profili professionali adeguati.

 

Una maggiore variabilità nella diffusione territoriale e nella distribuzione delle criticità si riscontra nel secondo gruppo, ove risulta più elevata, ad esempio, per alcune azioni rientranti nell’orientamento di II livello, come la realizzazione di colloqui (pre)selettivi o la certificazione delle competenze (tenuto conto, tuttavia, che quest’ultima talvolta non è contemplata tra i servizi erogati dai centri per l’impiego in ragione della struttura organizzativa integrata prescelta a livello locale, che ne affida la realizzazione ad enti diversi, come quelli formativi). Dal lato dei servizi alle imprese, invece, mentre la componente strutturale dei centri per l’impiego non appare particolarmente rilevante per certi interventi, come la preselezione, le competenze degli operatori non sono in grado di sopperire alla mancanza di dotazioni adeguate, come per le attività informatizzate o a contenuto più specialistico. Le maggiori criticità, su questo fronte, si riscontrano per quelle azioni che implicano un rapporto continuativo con l’utenza.

 

Sotto questo punto di vista, va sottolineato che l’insufficienza delle dotazioni informatiche costituisce un problema per la maggior parte dei centri per l’impiego: il 46% del campione, con una maggiore concentrazione nel meridione, dichiara di lavorare con dotazioni informatiche non adeguate o in situazione di insufficienza ovvero, in alcuni casi, di assenza del collegamento ad una rete.

 

Nel terzo gruppo rientrano, infine, le attività comprese nell’area dell’accompagnamento al lavoro, come il tutoraggio e il monitoraggio dei percorsi, nonché le funzioni di intermediazione, ove la qualità del servizio è percepita in generale bassa su tutto il territorio. In queste due aree, risultano dunque svolte in maniera ottimale solo le funzioni base, come la preselezione e la raccolta di cv, mentre quelle di contenuto più specialistico, dall’accompagnamento alla realizzazione di piani personalizzati, sono appannaggio esclusivo di realtà isolate.

 

Il tentativo di rafforzare sul piano organizzativo i centri per l’impiego si è tradotto, negli ultimi anni, nell’apertura di sportelli specifici destinati all’erogazione di servizi mirati, sotto l’impulso di iniziative di policy, segnatamente l’esperienza di Garanzia Giovani, ovvero nell’ottica dell’espansione di servizi già esistenti. La ricerca evidenzia l’apertura di almeno uno sportello presso 180 centri per l’impiego, rivolti in misura prevalente, soprattutto nel meridione e nell’Italia centrale, all’utenza giovanile, alle persone con disabilità e agli utenti stranieri, spesso, in quest’ultimo caso, con il supporto di mediatori linguistici, mentre si segnala l’assenza totale di sportelli dedicati all’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.

 

Tali interventi, realizzati facendo per lo più ricorso ai lavoratori già impiegati presso le strutture, scontano, tuttavia, l’assenza di modelli organizzativi efficienti, spesso improntati su modalità gestorie di tipo emergenziale, legate ad un duplice elemento: da un lato, la lamentata carenza di personale, dal punto di vista quantitativo, frutto delle ristrutturazioni operate nel corso della crisi economica in un’ottica di razionalizzazione delle risorse pubbliche, con il conseguente sovraccarico delle attività, soprattutto relative alla gestione delle procedure di richiesta di ammortizzatori sociali.

 

Ad oggi, la metà del personale totale in forza presso i centri per l’impiego risulta concentrato nel Sud e nelle Isole, con il tasso maggiore in assoluto in Sicilia, contro il 20,3% nel Centro, il 13,2% nel Nord-Est e il 17,4% nel Nord-Ovest. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di personale di ruolo incardinato negli enti territoriali da cui dipendono i centri per l’impiego, mentre solo in alcuni casi le strutture si avvalgono di personale esterno e nel centro sud i lavoratori sono impiegati anche con formule contrattuali atipiche. Inoltre, il personale, addetto prevalentemente ad attività di front office, risulta in possesso nella misura del 50% un diploma superiore, mentre solo il 28% di un titolo superiore.

 

Per altro verso, un aspetto incisivo, indagato per la prima volta in fase di monitoraggio, è rappresentato dalle competenze possedute dal personale dei centri per l’impiego.

 

In particolare, emerge dall’indagine il fabbisogno di competenze di progettazione e consulenziali, funzionali ad attività di programmazione e sviluppo di piani personalizzati, rientranti per lo più nell’area dell’orientamento di II livello, oltre che di competenze gestorie delle transizioni occupazionali e di situazioni critiche, quali il (re)inserimento nel mercato del lavoro di soggetto svantaggiati, attinenti all’area dell’intermediazione. È vero che, nelle rilevazioni del rapporto, la percezione dell’inadeguatezza della professionalità posseduta dal personale dei centri per l’impiego risulta più elevata per i servizi “ordinari”. Tuttavia, il dato appare falsato dalla preponderanza delle attività “core” su quelle di contenuto più specialistico, scarsamente attivate ovvero, in alcuni casi, come già precisato, affidate ad enti diversi.

 

Accanto all’esigenza di figure specialistiche, come orientatori e consulenti di impresa, viene sottolineata altresì la necessità di integrare l’organico di operatori con funzioni amministrative, non solo per il carattere trasversale di tali profili, ma anche per la tipologia dei servizi maggiormente richiesti dall’utenza. Inoltre, su tutto il territorio, gli operatori lamentano l’insufficienza di interventi formativi, volti all’aggiornamento normativo e al miglioramento del servizio informativo agli utenti. In particolare, nel meridione si invoca il bisogno di una formazione mirata in tema di orientamento, nonché, in generale su tutto il territorio, una maggiore attenzione al rafforzamento delle competenze digitali.

 

Il quadro descritto restituisce la proiezione di una realtà che necessita di essere implementata, sotto il profilo organizzativo, funzionale e strutturale dei centri per l’impiego, visto il ruolo futuribile a questi ultimi demandato e destinato a riverberarsi nelle reti regionali, parte della rete nazionale dei servizi per il lavoro. È indubbio che, nel tempo, si siano sedimentate forme di governance territoriale a presidio di funzioni più evolute, oltre le mere attività di natura adempimentale, come la gestione di misure di politica attiva, in combinazione con strumenti di politica passiva, o di programmi specifici come Garanzia Giovani.

 

Tuttavia, il rapporto registra l’esistenza di sistemi organizzativi e di programmazione delle attività fortemente eterogenei e parcellizzati, ipotecati dell’organizzazione dei servizi su base provinciale, ove un’offerta funzionale più completa risulta circoscritta ad alcune esperienze virtuose ma isolate. In generale, le attività “core” risultano livellate verso servizi di prima accoglienza o adempimenti amministrativi, gestiti per lo più con una logica di tipo emergenziale connessa a molteplici fattori, come il sottodimensionamento degli organici, la carenza di profili professionali specialistici, la sussistenza di dotazioni informatiche insufficienti, specie nell’ottica della realizzazione del sistema informativo unitario destinato a dialogare con i sil regionali per il recepimento delle informazioni sui servizi e sulle misure di politica attiva realizzati.

 

Infine, un segmento da potenziare è quello relativo all’intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro, quasi del tutto adombrato nella platea dei servizi erogati dai centri per l’impiego, anche in funzione di interventi centrali nell’impianto del sistema delle politiche attive come prefigurato dal Jobs Act, a partire dalla realizzazione del patto di servizio personalizzato e dallo svolgimento delle attività correlate.

 

Arianna D’Ascenzo

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@a_dascenzo

 

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