Gender pay gap: nuovi spunti da una analisi OCSE, tra ruolo della contrattazione collettiva e discriminazioni

Interventi ADAPT, Mercato del lavoro

| di Celeste Sciutto

Bollettino ADAPT 22 settembre 2025, n. 32

Introduzione

L’articolo che segue disamina il documento dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) “The role of bargaining and discrimination in the gender wage gap in France: A cross-country perspective, che analizza l’impatto della contrattazione collettiva e delle discriminazioni nella determinazione del gender pay gap; un’espressione, questa, con la quale si identifica il divario retributivo di genere, e cioè la differenza media che sussiste tra i salari percepiti dagli uomini e quelli percepiti dalle donne

Il documento si concentra principalmente sul caso francese, ma non si esime dal confronto con alcuni paesi Europei.

Il caso francese

La scelta del caso francese come focus principale dell’indagine risulta di particolare interesse poiché in tale Paese, nel 2019, è stata emanata la loi “Avenir professionnel”, che pone obiettivi e prevede azioni specifiche che le aziende sono tenute ad adottare per migliorare la trasparenza retributiva e ridurre le disparità salariali tra uomini e donne.

Nonostante i propositi delineati dalla normativa, nel 2022 in Francia, la media del divario salariale tra uomo e donna risultava ancora del 12%: questo significa che, in media, a parità di orario e con contratto full-time, ogni donna guadagnava 88 centesimi per ogni euro guadagnato dall’uomo. Una situazione, questa, da ricollegarsi non solo alle qualifiche rivestite ma anche a differenze nella capacità di negoziazione e a possibili elementi di discriminazione, che si esperivano attraverso un trattamento economico diverso per mansioni di pari valore, così come alla mancata assegnazione di compiti e incarichi importanti alle donne, soprattutto nell’ambito delle aziende ad alto fatturato. In parte, incide su questo dato anche la tendenza delle donne a lavorare in settori meno sviluppati, con salari drasticamente inferiori.

La ricerca

Entrando nel merito dei contenuti della ricerca, l’analisi empirica si basa su un modello statistico, che decompone il salario in effetti fissi del lavoratore (worker fixed effects) e effetti fissi dell’impresa (firm fixed effects), così da stimare la parte del gender wage gap potenzialmente legata a discriminazioni o a differenze nella capacità di negoziazione specifiche dell’impresa.

I dati presi in considerazione dalla ricerca sono dati amministrativi “datore di lavoro – dipendente”, resi disponibili dal sistema informativo francese, nonché dai sistemi nazionali di Portogallo, Ungheria, Svezia e Danimarca. Paesi che, seppur con una struttura economica, politica e istituzionale molto differente, possiedono in tutti i casi un sistema informativo strutturato. I dati si riferiscono a registri amministrativi del sistema previdenziale, fiscale o su sondaggi obbligatori svolti dai datori di lavoro, risultando ad alta copertura, qualità e molto dettagliati.

Il campione analizzato permette di evidenziare caratteristiche specifiche sia per i lavoratori che per le imprese. Quanto ai primi, sono considerati i lavoratori dipendenti di età compresa tra i venti e i sessant’anni, nell’ambito del range temporale 2010 – 2019; il salario preso in considerazione è quello lordo, comprensivo di bonus e pagamenti straordinari, e in relazione a un contratto a tempo indeterminato, pieno o part time. Sono invece esclusi coloro che guadagnino meno dell’80% del salario minimo full-time oppure, se non è presente un salario minimo, del 10% del salario mediano. Quanto al campione di aziende, sono considerate imprese che impiegano almeno un uomo e una donna, così da poter compiere confronti interni.

Il divario di genere viene considerato da più punti di vista: sono infatti considerate sia le differenze di genere all’interno della stessa azienda, sia quelle tra aziende diverse, all’interno del mercato nazionale, confrontando i settori di appartenenza. Vengono poi espressamente considerate, in linea con gli obiettivi della ricerca, le differenze salariali dovute a negoziazione o discriminazione, osservando il “premio salariale” differente che uomini e donne ricevono nella stessa impresa, a parità di caratteristiche personali.

I primi risultati

L’analisi effettuata porta con sé alcune evidenze di particolare interesse, sotto diversi aspetti.

In primo luogo, emerge che in Francia l’88% del gender wage gap si origina e concentra all’interno delle aziende (within-firm gap). Questo significa che, all’interno delle stesse imprese, i lavoratori ad alto salario — più spesso uomini — ricevono premi salariali superiori, contribuendo così al gap aziendale.

Una parte residuale del gender wage gap (nello specifico, il 12%) è invece dovuta al fatto che uomini e donne sono diversamente distribuiti tra aziende di diversi settori, che hanno tra loro notevoli differenze salariali (between-firm gap): all’interno delle aziende ad alto reddito sono assunte, in media, meno donne.

Si tratta di tendenze che, generalmente, si riscontrano anche negli altri Paesi oggetto d’indagine, anche se Ungheria e Portogallo hanno un between-firm gap più marcato.

Ponendo l’attenzione sul ruolo della contrattazione collettiva e individuale, emerge che la contrattazione individuale è particolarmente rilevante per i lavoratori ad alto salario, contribuendo così ad ampliare il gap salariale di genere, mentre nei bassi salari prevale la contrattazione collettiva, che tende a limitare le differenze.

Un altro elemento importante che emerge dalla ricerca è la forte polarizzazione di settore del divario salariale. Ponendo l’attenzione sia su settori particolarmente redditizi sia su altri a bassa produttività e basso salario, appare chiaro come in questi ultimi vi sia una minore sproporzione nella determinazione dei salari. Nel settore alberghiero e della ristorazione il divario di genere è molto basso e notevolmente ridotto al confronto con settori dove gli stipendi sono generalmente più elevati e dove vi sono profitti redistribuibili relativamente alti, come il settore dei media, tessile, della gomma, plastica e minerali.

Infine, occorre sottolineare che il divario salariale riflette anche la diversa distribuzione dei premi aziendali, i quali tendono a favorire in misura maggiore gli uomini, impiegati in aziende ad alta produttività e operanti in determinati settori. Questo aspetto è molto marcato in Ungheria, dove il c.d. productivity pass through (indicatore che misura quanto un aumento della produttività di un’impresa si traduce in un aumento dei premi salariali per i lavoratori) è pari allo 0,18 %, mentre risulta meno evidente specialmente in Svezia (0,04%) e in Danimarca, Francia e Portogallo, in cui l’indicatore si attesta tra lo 0,07% e 0,08%.

Le principali raccomandazioni

Alla luce di quanto emerso, nel rapporto sono contenute alcune raccomandazioni di policy, finalizzate a ridurre il gender pay gap.

Si suggerisce infatti, in primis, l’adozione di politiche che favoriscano una più equa distribuzione dei carichi famigliari (che in generale gravano prevalentemente sulle donne), attraverso un rafforzamento dei congedi parentali, investimenti nei servizi per l’infanzia e la rimozione degli ostacoli finanziari che solitamente scoraggiano il lavoro del secondo percettore di reddito.

Tali interventi potrebbero svolgere un ruolo chiave nel promuovere una condivisione più equa delle responsabilità familiari e, così facendo, sostenere la posizione contrattuale delle donne, le quali sarebbero maggiormente competitive sul mercato del lavoro al pari degli uomini.

Inoltre sono proposte nuove politiche di trasparenza retributiva volte ad integrare le leggi attualmente vigenti sulla parità di retribuzione e antidiscriminazione, strumenti ad hoc per aumentare la consapevolezza dei divari retributivi sistematici all’interno delle aziende e iniziative specifiche volte a stimolare il dibattito sulle cause delle disparità salariali.

Conclusioni

L’analisi chiarisce come il divario salariale tra uomini e donne dipenda non solo da dati oggettivi legati alla preparazione tecnica di questi, ma anche da differenze di posizione negoziale, allocazione di genere tra settori e imprese e possibili discriminazioni, dirette o indirette.

Alla luce di quanto emerso, il ruolo della politica e della contrattazione collettiva è cruciale al fine di limitare le situazioni di gender pay gap. La prima, infatti, può intervenire attraverso politiche antidiscriminatorie e interventi che rendano possibile una maggiore conciliazione tra vita famigliare e lavorativa delle donne (es. asili aziendali); quanto alla seconda, attraverso politiche negoziali mirate, il sindacato può contribuire a bilanciare l’effetto distorsivo delle contrattazioni individuali.

Celeste Sciutto

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@celeste_sciutto