Formazione professionale in Europa: lo stato di avanzamento alla sfida tra equità, mercato e futuro

Interventi ADAPT

| di Michele Corti

Bollettino ADAPT 23 giugno 2025, n. 24

Negli ultimi anni, la formazione professionale è tornata al centro delle politiche europee come leva strategica per la competitività e la coesione sociale. Sostenuta da una rinnovata architettura di riferimento, ovvero la Raccomandazione del Consiglio del 2020 alla Dichiarazione di Osnabrück, questo strumento formativo ed educativo si propone oggi non soltanto come risposta ai fabbisogni del mercato del lavoro, ma anche come strumento per governare le grandi transizioni in atto: quella digitale, quella ambientale, quella demografica.

Il recente Policy Brief congiunto di CEDEFOP ed ETF, pubblicato a maggio 2025, restituisce un’immagine complessa e dinamica di questo scenario. Dal 2021 a oggi, in Europa sono state avviate oltre cinquecento misure nazionali per modernizzare i sistemi VET, rendendoli più agili, flessibili, inclusivi e coerenti con le esigenze del presente e del futuro. Gli interventi possono essere ricondotti a tre direttive principali: la prima punta a rafforzare i legami tra gli enti formativi e le imprese, la seconda a rafforzare e promuovere le competenze green e digitali ed infine la terza a promuovere una maggiore integrazione a livello europeo rispetto a elementi quali la portabilità e il riconoscimento delle competenze acquisite e favorire il flusso di studenti impegnati in questi programmi tra i vari stati membri.  I progressi, secondo il report, sono stati sostanziali. Tuttavia, una lettura critica dei dati e delle pratiche segnalate evidenzia che alcune incertezze e lacune permangono. Inoltre, e ciò rappresenta un ostacolo complesso da aggirare, si segnala uno scollamento tra ambizione politica e realizzazione concreta, tra partecipazione inclusiva e orientamento al mercato, tra visione educativa e finalità occupazionali e, a volte, market oriented.

Rispetto all’adeguamento dei curricula e degli standard professionali alle nuove competenze richieste dalla transizione ecologica e digitale, molti paesi hanno intrapreso importanti percorsi di riforma, integrando le cosiddette green e digital skills in modo trasversale o autonomo nei percorsi formativi. Su tutti però due paesi possono essere portati come esempio di buone pratiche a cui è utile guardare: in Danimarca, nel contesto di un ampio programma di riforme (molte già operative, altre in via di approvazione) che interessano l’intero sistema educativo, sono stati istituiti centri VET specificatamente orientati alla sostenibilità e all’innovazione tecnologica. In Francia invece, anche in questo caso nell’ambito di una riforma complessiva che ha interessato il sistema della formazione professionale, programmi specifici sono stati lanciati per promuovere i mestieri del futuro in risposta alle nuove esigenze ambientali. In altri casi, soprattutto negli ultimi anni e grazie ai fondi legati ai Piani nazionali di ripresa e resilienza, hanno invece prevalso logiche e interventi legati alla disponibilità di fondi europei che a una visione strutturale del cambiamento.

Con riferimento invece ad un maggiore allineamento tra formazione e mercato del lavoro, in Spagna ad esempio le esperienze di tirocinio previste nei percorsi universitari e professionali si sono moltiplicate proprio con l’intento di colmare una distanza percepita ancora come importante.  Tuttavia, l’estensione dell’obbligo contributivo per gli studenti in stage prevista dal Real Decreto-Ley 2/2023, ha riacceso il dibattito sulla natura di tali esperienze. A prevalere è una logica ed una visione formativa, oppure di ingresso sul mercato del lavoro? Un dibattito complesso, nel quale si inserisce parzialmente anche la Direttiva europea in merito attesa a breve.  Se infatti da un lato i tirocini sono intesi come strumenti formativi, dall’altro le modalità di attuazione, la durata e il livello di integrazione nelle dinamiche lavorative previsti dalla normativa iberica mettono in discussione, o quanto meno rendono complessa una chiara e inequivocabile distinzione tra apprendimento e lavoro. L’interazione tra sistemi educativi e imprese rappresenta un altro nodo delicato. In particolare, le esperienze di apprendimento basato sul lavoro e le collaborazioni pubblico-private dovrebbero favorire un allineamento tra offerta formativa e domanda occupazionale ma la realtà sembra essere molto più frammentata. In molti paesi, tra cui l’Italia, il coinvolgimento delle imprese resta infatti debole o marginale. Le piccole e medie imprese, in particolare, faticano a sostenere costi e responsabilità della formazione interna, mancando spesso di tutor formati e di una cultura dell’apprendimento continuo. Anche laddove esistono meccanismi di incentivazione o di co-progettazione dei curricula, non sempre l’ impatto generato risulta strutturale.

Un altro aspetto cruciale su cui si sofferma il documento è la volontà (la necessità) di renderli più attrattivi e, soprattutto, più inclusivi. La promessa di una formazione accessibile a tutti, in grado di valorizzare talenti e competenze a prescindere da fattori quali la condizione sociale o il genere, è stata un delle sfide accolte da numerosi programmi nazionali e regionali. Particolare attenzione è stata rivolta a persone adulte con basso livello di istruzione, migranti, rifugiati, donne nei settori tecnologici (ancora oggi, solo il 15.5 % degli studenti VET in area Stem sono donne o giovani donne), giovani fuoriusciti precocemente dai percorsi educativi, persone con disabilità. Tuttavia, il report sottolinea come permangano forti diseguaglianze sia nell’accesso effettivo alla formazione, sia nella possibilità di veder riconosciute competenze maturate in contesti informali o non formali. Inoltre, uno dei motivi per cui la formazione professionale viene percepita come meno attraente rispetto a quella tradizionale è il livello di preparazione percepito, spesso a torto, come di livello inferiore. Sotto questo punto di vista sono certamente interessanti gli sforzi segnalati per migliorare la qualità del corpo docente, non solo formando adeguatamente coloro che già ne fanno parte ma anche attraendo professionisti dal mondo del lavoro.

Infine, l’introduzione delle micro-credenziali, che dovrebbe facilitare la riqualificazione e l’aggiornamento lungo tutto l’arco della vita, si inserisce in questo scenario come una scommessa ancora da vincere. Se, da un lato, esse rispondono alla necessità di apprendere in modo modulare e flessibile, dall’altro pongono il problema della frammentazione e della difficoltà di riconoscimento da parte dei datori di lavoro. Il lifelong learning, per essere effettivo e per avere ricadute reali e facilmente percepibili, ha bisogno non solo di offerte formative accessibili, ma anche di strumenti di validazione solidi, che comunichino tra di essi e di sistemi di orientamento funzionanti e finanziamenti continuativi.

La formazione professionale europea si trova dunque davanti a un bivio. Da un lato, l’evoluzione in atto ne conferma la centralità strategica, e non è un caso che il rapporto dell’ex presidente del Consiglio e capo della BCE Mario Draghi sulla competitività e sulle sfide dell’Unione Europea vi abbia dedicato grande attenzione: un sistema formativo che integra scuola e lavoro, che forma professionalità richieste, che sostiene l’inclusione e l’innovazione è oggi più che mai necessario. Dall’altro, restano aperti interrogativi di fondo: come garantire la sostenibilità dei progetti avviati quando i fondi straordinari si esauriranno? Come evitare che la formazione professionale diventi il rifugio per chi non accede all’istruzione superiore accademica, perpetuando uno stigma culturale? Quali sono le garanzie di equità in contesti dove l’autonomia locale produce offerte disomogenee?

Il rischio è quello di una deriva funzionalista, in cui la formazione viene ridotta a meccanismo di adattamento al mercato. Ma la sfida vera è un’altra: fare della VET un luogo di emancipazione, di cittadinanza attiva, di valorizzazione del potenziale umano in tutte le sue dimensioni. Questo significa investire nel lungo periodo, costruire alleanze forti tra attori pubblici e privati, sostenere la professionalità dei docenti e dei formatori, mettere al centro la persona più che la prestazione.

Michele Corti

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

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