Eppur si muove…La disoccupazione dipende dalla scarsa mobilità dei lavoratori?

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Bollettino ADAPT 28 gennaio 2019, n. 4

 

Uno degli aspetti più controversi del Reddito di Cittadinanza (RdC) che, fin dal suo esordio, ha fatto discutere è il rischio che, ove lo stesso non sia robustamente work test, condizionato cioè alla disponibilità al lavoro, possa indurre ad una trappola di disoccupazione, se non addirittura sostenere economicamente gli scansafatiche. D’altro canto, il tema dell’attivazione/responsabilizzazione dei beneficiari del sistema di sicurezza sociale è da diverso tempo al centro di un vasto dibattito scientifico e politico internazionale, anche se in Italia, la condizionalità – il termine con cui si sintetizza questo approccio volto a controllare l’azzardo morale dei beneficiari dei sussidi, promuovendo la loro partecipazione lavorativa – non ha mai avuto fortuna attuativa. Sebbene esigenza sempre sentita dall’ordinamento, in particolare nelle fasi in cui venivano aggiornati campo di applicazione, quantum e durata dei trattamenti di disoccupazione, tuttavia, la condizionalità perdeva, e perde, di consistenza nel passaggio dalla fase di regolazione a quella della sua concreta implementazione.

 

Comunque sia, ora che l’RdC è stato istituito e finanziato dalla Legge di Stabilità per il 2019 e che si dispone di una bozza di testo legislativo di disciplina di questa misura, è possibile verificare se e come il Legislatore si stia confrontando con il rischio all’inizio richiamato. Nonostante la preoccupazione di alcuni, va detto che il nuovo beneficio, nel testo approvato nel Consiglio dei Ministri il 17 gennaio, è in effetti condizionato alla verifica della disponibilità al lavoro ed infatti, non diversamente da altri sostegni economici – si pensi alla Naspi, ma anche al Rei, ove richiesto – i componenti del nucleo familiare beneficiari del RdC sono tenuti alla prestazione di una Dichiarazione di Immediata Disponibilità (Did) ed alla sottoscrizione del “Patto per il lavoro”, redatto dal Centro per l’impiego (Cpi), oppure, se previsto a livello regionale (ad es. Lombardia), da un soggetto accreditato (ad es. una agenzia di somministrazione). Nel Patto è formalizzato l’obbligo di tutti i componenti del nucleo familiare che beneficiano del RdC, e siano abili e disponibili al lavoro, ad attivarsi e adeguarsi alle prescrizioni volte al loro inserimento al lavoro.

 

Sempre in continuità con il passato, è disciplinata anche la verifica della effettiva disponibilità al lavoro dei beneficiari del RdC. È stabilito infatti un limite massimo alle offerte di lavoro rifiutabili, pena la decadenza dal beneficio (tre per il primo anno, la prima utile, dopo il primo anno di fruizione o in caso di rinnovo dello stesso RdC), al contempo chiarendo le caratteristiche che deve avere l’offerta lavorativa non rifiutabile e cioè “congrua”.

A tale proposito, la comparazione con altri paesi, suggerisce che gli ordinamenti in genere valutano questa congruità considerando tre componenti: la componente geografica, relativa alla mobilità richiesta, quella materiale, relativa alla retribuzione prevista dal lavoro offerto e quella funzionale, relativa al tipo di attività e alla mansione svolta. Influisce poi sulla stessa congruità dell’offerta la durata dello stato di disoccupazione: il passare del tempo tipicamente impone al disoccupato una maggiore disponibilità ad accettare proposte di lavoro.

 

Il Ministero del Lavoro meno di un anno fa (d.m. 10 aprile 2018) ha riscritto la disciplina dell’offerta congrua (vedi sotto), sostituendo quella più rigida contenuta nella Riforma Fornero. Infatti, il decreto legislativo n. 150 del 2015 (attuativo del Jobs Act), già dispone che il rifiuto di impiego congruo determina la decadenza dal trattamento di sostegno al reddito e la decadenza dallo stato di disoccupazione (l’impossibilità di una nuova registrazione prima che siano decorsi due mesi). La nuova occupazione, oltre a rispettare criteri attinenti la tipologia contrattuale proposta (rapporto a tempo indeterminato, o determinato o di somministrazione di durata non inferiore a 3 mesi; tempo pieno o con un orario di lavoro non inferiore all’80% di quello dell’ultimo contratto di lavoro; retribuzione non inferiore ai minimi previsti dai Ccnl), per essere congrua deve rispettare le condizioni sintetizzate nella tabella che segue.

 

Disoccupati percettori di misure sostegno al reddito
Durata della disoccupazione
0-6 Mesi
> 6-12 Mesi
> 12 Mesi
Coerenza con i profili professionali
Aderenza settore economico professionale individuato nel patto di servizio
Aderenza settore economico professionale contiguo a quelli del patto di servizio
Altri settori economico professionali
Distanza dal domicilio
50 km/80 min.
50 km/80 min.
80km /100 min
Retribuzione
> 20% dell’indennità percepita
> 20% dell’indennità percepita
> 20% dell’indennità percepita

 

La disciplina appena sintetizzata, secondo il decreto appena approvato dal Consiglio dei Ministri, si dovrebbe applicare anche ai titolari di RdC, ma sarebbe ulteriormente integrata dalla tabella sotto riportata (tratta dalle slide della conferenza stampa del CdM del 17 gennaio).

 

 
1° offerta lavoro
2° offerta lavoro
3° offerta lavoro
Nei primi 12 mesi
Entro 100 km o 100 min. di tempo di percorrenza
Entro 250 km
Tutta Italia
(entro 250 km per nuclei con disabili)
Tra il 12° e il 18° mese
Entro 250 km
Entro 250 km
Tutta Italia
(entro 250 km per nuclei con disabili)
Dopo il 18° mese (rinnovo)
Italia
(entro 250 km per nuclei con disabili)
Italia
(entro 250 km per nuclei con disabili)
Italia
(entro 250 km per nuclei con disabili)

 

In sostanza, si è deciso di modificare solo la componente geografica e così, fermo restando le condizioni di congruità valide ad es. per i beneficiari della Naspi, inoltre a coloro che riceveranno il RdC è imposta una maggiore disponibilità a muoversi dalla propria residenza (non domicilio) verso aree in cui si riscontri una domanda di lavoro insoddisfatta.

È evidente che sul punto si siano scontrate le diverse anime della coalizione governativa e la disciplina di compromesso che ne deriva è, per tale motivo, piuttosto ingarbugliata. In una prima versione, infatti, la progressione della componente geografica era parametrata solo sulla durata di fruizione del beneficio economico e, pertanto, era massima (obbligo di accettare lavoro in qualsiasi parte del territorio nazionale) al rinnovo del beneficio economico (trascorsi cioè 18 mesi di fruizione).

 

Questo principio è stato mantenuto, ma è ora reso più severo, poiché si tiene conto anche del numero di offerte di lavoro rifiutate: già nel primo anno di fruizione, il limite geografico, di fatto, si annulla nel caso siano state rifiutate due offerte ed infatti la terza potrà provenire da qualsiasi parte del territorio italiano. Il prolungarsi del periodo di fruizione (12°-18° mese), insieme al numero di offerte rifiutate, accelera la progressione (già la prima offerta potrà essere entro i 250km) ed, infine, in caso di rinnovo del RdC, la disponibilità a muoversi su tutto il territorio è massima fin dalla prima offerta, pena la decadenza dal beneficio economico. Va detto che l’annullamento del parametro geografico non vale per i nuclei familiari in cui siano presenti disabili (l’offerta dovrà essere sempre entro i 250Km) e che la mobilità è sostenuta in quanto, in caso di accettazione di offerta oltre i 250 km si continua a percepire l’Rdc per 3 mesi (12 se presente nel nucleo disabili o minori), per coprire le spese di trasferimento.

 

In linea teorica, il Legislatore poteva intervenire su una qualsiasi delle tre ricordate componenti con cui si misura l’effettiva disponibilità al lavoro, ma ha deciso di intervenire solo su quella geografica. Dal 2004 in poi i governi Berlusconi invece – la linea era stata confermata da quello Monti – avevano sposato un approccio sanzionatorio di work first, imponendo la disponibilità ad accettare un lavoro purchessia, parametrato cioè solo su requisiti quantitativi (retribuzione e distanza) e non qualitativi. Una delle novità più importanti del Jobs Act in materia è stata proprio il superamento di questo approccio, reintroducendo il riconoscimento dell’elemento della “coerenza con le esperienze e le competenze maturate” in precedenza dal lavoratore. Il Legislatore poteva altrimenti abbassare ulteriormente la congruità materiale; ciò peraltro era oggettivamente difficile posto che, dalla Riforma Fornero in poi, questo parametro è calcolato non più sulla base della retribuzione della occupazione perduta, ma in relazione all’importo, lordo, del sostegno economico percepito (maggiore del 20% dell’indennità), con un oggettivo peggioramento condizioni economiche che ne deriva.

 

In sostanza, il Legislatore del RdC, non volendo evidentemente disconoscere la disciplina vigente, ha preferito puntare tutto sulla componente geografica, sicché si ha quasi l’impressione che in Italia la disoccupazione sia principalmente un problema di mobilità. In conclusione, a condizione che i Cpi, oppure i soggetti privati accreditati (l’intervento di questi operatori è istituzionalizzato grazie ad una riedizione dell’assegno di ricollocazione introdotto dal Jobs Act), saranno in grado di offrire proposte di lavoro congruo, vi è da chiedersi se questa condizionalità sull’asse Sud-Nord avrà solo l’effetto di incrementare ulteriormente la migrazione interna.

 

Manuel Marocco

INAPP

@manuelmarocco

 

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