Demansionamento e risarcimento del danno: una ipotesi ancora in campo
| di Marco Menegotto
Bollettino ADAPT 19 maggio 2025, n. 19
Tra gli operatori si è fatta ampia strada un’idea di massima: il depotenziamento strutturale delle tutele in materia di professionalità come conseguenza della riforma dell’art. 2103 c.c. in materia di mansioni e mobilità professionale operata ormai un decennio fa; con una conseguente assai ampia agibilità del datore di lavoro.
Ed in effetti, è fuori dubbio il formale superamento del principio dell’equivalenza delle mansioni in favore di una allargata flessibilità funzionale, ferma la categoria legale, sia all’interno del medesimo livello d’inquadramento (mobilità orizzontale, primo comma), sia in senso verticale verso il livello immediatamente inferiore (secondo comma, per ipotesi tipizzate).
Lo spunto per tornare a ragionare di questi temi è una recente sentenza del Tribunale di Milano (4 febbraio 2025), in cui il lavoratore, inquadrato al 7° livello del CCNL Telecomunicazioni, il più elevato, lamentava di aver subito, sin dal 2015, un sistematico demansionamento, con assegnazione di mansioni di inferiore contenuto professionale.
Il Giudice, prima di esaminare i fatti di causa, si sofferma sulle direttrici della riforma del 2015, evidenziando come il nuovo art. 2103 c.c. parrebbe aver espunto il tema della professionalità soggettivamente intesa, eliminando la «possibilità di un giudizio fondato sulla equivalenza dinamica» delle mansioni ed ammettendo soltanto un giudizio limitato alla «verifica della omogeneità obiettivamente intesa» tra le mansioni effettivamente svolte e le declaratorie di CCNL.
Ed in effetti, numerosi precedenti (tra gli altri, Cass. n. 11870/2024, App. Milano, n. 978/2023, Trib. Milano n. 2976/2023, Trib. Napoli, n. 1875/2022, Trib. Roma n. 9824/2022, Trib. Roma, n. 8253/2018, Trib. Milano n. 2137/2017), vanno nella direzione di un limitato controllo giudiziale circa la formale riconducibilità di questa o quella mansione all’uno piuttosto che all’altro livello d’inquadramento. Non mancano però talune importanti pronunce (Trib. Milano, n. 1415/2022, App. Napoli, n. 2500/2023, Trib. Chieti, 12 novembre 2024) che valorizzano la tutela della professionalità tramite una lettura costituzionalmente orientata della disposizione codicistica (richiamando sul punto un precedente della Corte Costituzionale; cfr. C. Cost. n. 103/1989), salvaguardando così la dignità professionale del lavoratore.
Ad ogni modo, che il demansionamento, fuori dalle ipotesi previste, configuri ancora oggi un inadempimento degli obblighi di cui all’art. 2103 c.c. lo ricorda anche la sentenza in commento.
Il Giudice passa quindi in esame le prove testimoniali, non prima di aver recuperato formulazioni e contenuti delle declaratorie contrattuali, argomentando circa la conformità delle mansioni rispetto al livello d’inquadramento almeno fino ad un determinato periodo (aprile 2018). Risultando invece provata, per il periodo successivo, l’assegnazione del ricorrente ad «attività demansionanti, prive dei tratti qualitativi qualificanti il livello di inquadramento e il profilo professionale di appartenenza»; attività riconducibili al V livello del CCNL applicato.
Per l’effetto, richiamando l’ultimo comma dell’art. 2103 c.c. («ogni patto contrario è nullo») – su cui pure si è detto della assai limitata (ma non svuotata) operatività – il Giudice ha condannato le società convenute al risarcimento del danno, assegnando una somma di non poco conto, vuoi per la protrazione dell’illecito (a nulla valendo l’inerzia del lavoratore), vuoi per la rilevanza del disvalore della condotta datoriale, il «divario qualitativo (tra le diverse mansioni) ed il progressivo impoverimento della professionalità specifica conseguente al mancato aggiornamento in un settore in continua evoluzione».
Ed in effetti, altra recente pronuncia (Trib. Chieti, 12 novembre 2024) ha avuto modo di chiarire come «la classificazione del personale contenuta nei diversi contratti collettivi e assunta quale parametro di riferimento per valutare la legittimità del provvedimento di modifica delle mansioni dall’art. 2103 c.c., non può, in ogni caso, consentire al datore di lavoro di mortificare il valore della professionalità del lavoratore, che è rappresentato, oltre che dal suo inquadramento contrattuale, anche, ed in pari misura, dall’esperienza, dalla preparazione e dalle competenze maturate nel corso degli anni. (…) fermo restando il controllo giudiziale sul mantenimento della medesima professionalità».
Un ulteriore spunto è tratto dai fatti di causa e da alcune prove testimoniali. Ci si imbatte infatti a più riprese nell’utilizzo di termini anglofoni, tipici di una diffusa gestione manageriale della materia, che non trovano però riscontro nella operatività fattuale e che risultano spesso disallineati – se non del tutto fuorvianti – rispetto al contenuto delle mansioni esercitate in concreto. Sul punto, la sentenza in commento è d’esempio laddove il giudice ritiene «impossibile individuare (…) un profilo di riferimento per l’attività che il teste (…) ha definito di “caring evoluto” senza essere in grado – circostanza questa, oltremodo eloquente – di spiegarne gli effettivi contenuti (…)». Ma anche l’attività di “Project Manager” è ricondotta all’inferiore V livello piuttosto che al VII di appartenenza, per via della mancata corrispondenza tra la declaratoria contrattuale e le modalità di esecuzione in concreto delle mansioni afferenti a tale profilo.
Non mancano precedenti nello stesso senso, tra cui il caso (Trib. Parma, 21 maggio 2024) di un “assistant store manager” inquadrato al IV livello del CCNL Terziario, distribuzione e servizi che, alla richiesta di inquadramento al II livello si vedeva attribuire in sede giudiziale il III livello, proprio sulla base del raffronto tra declaratorie e mansioni effettivamente svolte. La pronuncia che qui commentiamo ci dimostra poi che ciò può avvenire addirittura anche quando ad essere applicato, si badi, è un CCNL (il telecomunicazioni) che, nelle esemplificazioni dei profili professionali, fa già ampio ricorso a termini simili.
È anche su queste ambiguità che si genera spesso il legittimo affidamento circa i contenuti della prestazione dedotta in contratto, che spesso finiscono per risultare disallineati rispetto ai contenuti (declaratorie) dei diversi sistemi di classificazione e inquadramento previsti dai CCNL, su cui il giudice è chiamato a decidere e su cui è dunque imprescindibile un accurato presidio tecnico.
Marco Menegotto
Ricercatore ADAPT
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