Dare ascolto a chi lavora è un viatico per il futuro
Bollettino ADAPT 19 maggio 2025, n. 19
Il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva la legge di iniziativa popolare voluta dalla CISL sulla partecipazione dei lavoratori. Potrebbe sembrare un passaggio come tanti nella vita politica del nostro Paese, ma per chi si occupa delle complesse e controverse questioni del lavoro non sarà eccessivo parlare di un momento storico. Non fosse altro che, dopo quasi ottanta anni di attesa, viene data attuazione all’articolo 46 della Costituzione italiana che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, in armonia con le esigenze delle imprese e nei modi e nei limiti previsti dalla legge.
Solo pochi giorni fa Papa Leone XIV, nel motivare la scelta del suo nome, ci ha ricordato che siamo davanti a una nuova rivoluzione industriale, quella dell’intelligenza artificiale e della transizione ecologica, che avrà profondi impatti economici e sociali, soprattutto sul lavoro e sulle persone più fragili. È una nuova grande trasformazione del lavoro che richiede un accompagnamento e una condivisione dei processi di implementazione, sia per mitigare i rischi sia per farne esplodere le potenzialità.
In questo senso non è possibile leggere in modo distinto l’approvazione della legge sulla partecipazione dei lavoratori, il momento storico nel quale questo avviene e il metodo che ha portato all’approvazione stessa. Infatti, non è affatto secondario che la legge derivi proprio da una pratica partecipativa, quella di un disegno di legge di iniziativa popolare che poche volte in Italia ha visto una approvazione e quasi mai su tematiche legate al mondo del lavoro. Delle oltre duecentosessanta proposte di legge di iniziativa popolare presentate in Parlamento negli ultimi trent’anni solo cinque di queste sono infatti diventate legge dello Stato.
Si è discusso molto, tra gli addetti ai lavori e le forze sociali, delle modifiche che la legge ha subito nel corso dell’iter parlamentare che le ha dato, in parte, una forma diversa rispetto a quella sostenuta dalle 400mila firme raccolte dalla CISL nel 2023 ma, a nostro parere e all’esito di una approfondita analisi tecnica svolta dal gruppo di ricerca di ADAPT la sostanza rimane la stessa. La cifra complessiva della legge varata dal parlamento è in linea con il valore culturale e promozionale dell’articolo 46 della Costituzione che volutamente, come si può leggere dall’andamento dei lavori e dall’acceso dibattito avvenuto in seno all’Assemblea costituente, non dettagliava le modalità che la collaborazione tra lavoratori e imprese doveva assumere. Anzi, il fatto che la legge approvata specifichi le diverse forme di partecipazione possibili (gestionale; economico-finanziaria; organizzativa; consultiva) è già un passo in più che tiene conto, e anche questo è interessante, delle effettive pratiche sviluppatesi negli anni. Sappiamo infatti che nonostante l’assenza di una legge ad essa dedicata, la partecipazione dei lavoratori nelle sue diverse forme è un fenomeno diffuso nel nostro Paese, sebbene con una concentrazione maggiore nelle grandi imprese e nel settore dell’industria. Ma l’urgenza è quella di una maggior diffusione per poter accompagnare imprese e lavoratori nei complessi processi che riguardano le trasformazioni tecnologiche, demografiche, ambientali e, più in generale, un cambiamento profondo in corso nella concezione stessa del lavoro e nello spazio che questo ha nella vita delle persone. La partecipazione dei lavoratori può essere una delle strade maestre per riscoprire il valore del lavoro mediante la riscoperta di un ruolo e di un compito nelle organizzazioni. Non solo infinitesimali parti di un ingranaggio del quale si ignorano logiche e meccanismi, ma potenziali protagonisti.
Da questo punto di vista è da apprezzare, in linea con la tradizione del riformismo italiano sui temi del lavoro, il carattere promozionale e di sostegno della legge attraverso la valorizzazione della contrattazione collettiva e la messa a disposizione di una robusta dote di incentivi economici. Perché la partecipazione non si impone per legge ma si pratica nelle imprese se c’è la disponibilità di tutti a mettersi a disposizione di un interesse o bene comune che non è unicamente il profitto ma l’azienda come formazione sociale in cui si manifesta ed esalta la persona e la sua dignità attraverso il lavoro. Un lavoro giusto perché condiviso nelle scelte organizzative come nella ripartizione del valore creato.
Le sfide restano molte, a partire da un vero monitoraggio di ciò che accadrà nelle aziende e tra i sindacati con l’approvazione della legge.
Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
@francescoseghezz
Michele Tiraboschi
Professore Ordinario di diritto del lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia
@MicheTiraboschi
pubblicato anche su Avvenire, 15 maggio 2025
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