Competenze e produttività: spunti e riflessioni a partire dall’Indagine PIAAC
| di Elisa Macario
Bollettino ADAPT 1 settembre 2025, n. 29
Alla luce dell’Indagine sulle Competenze degli Adulti (il c.d. Programme for the International Assessment of Adult Competencies, PIAAC) del 2023 – esposta nel policy brief “Adult skills and productivity: New evidence from PIAAC 2023” – è possibile osservare una forte correlazione tra la produttività degli Stati, da un lato, e il livello di qualificazione dei propri lavoratori, dall’altro.Tale correlazione evidenzia la necessità di riforme strutturali che incentivino l’aumento del livello di skills dei lavoratori affinché la loro allocazione nel mercato del lavoro sia (più) efficiente e, di conseguenza, comporti un incremento della produttività.
In altri termini, come i ricercatori del Dipartimento di Economia dell’OCSE sottolineano nel più esteso articolo “Adult skills and productivity: New evidence from PIAAC 2023” (Andrews et al., 2025), poiché il capitale umano incide significativamente sugli standard di vita dei diversi Paesi del mondo (innanzitutto attraverso il suo impatto sulla produttività), investire su di esso dovrebbe rappresentare una priorità strutturale per le politiche nazionali. Osservando i dati, infatti, risulta che “quasi un sesto del rallentamento della produttività nei Paesi avanzati dell’OCSE potrebbe essere spiegato dal rallentamento del ritmo di accumulazione del capitale umano” (Andrews et al., 2024), a cui si aggiunge il problema del frequente mismatch che si registra fra le competenze degli adulti e la loro allocazione nel mercato del lavoro.
Affinché la correlazione sin qui introdotta – tra livello di skills e produttività – risulti rilevante e fornisca spunti utili anche per il lettore italiano, tuttavia, è necessario innanzitutto chiarire la struttura del c.d. sondaggio PIAAC. L’iniziativa promossa dall’OCSE, infatti, nasce con l’intento di monitorare il livello delle competenze degli adulti (di età compresa tra i 16 e i 65 anni) appartenenti a 29 Paesi membri dell’OCSE e 2 non-OCSE attraverso la valutazione delle loro capacità di comprensione, competenze logico-matematiche e di problem-solving – considerate essenziali per l’effettiva partecipazione di un individuo adulto all’interno di una società e al relativo processo di crescita economica.
In particolare, l’ultima indagine PIAAC del 2023 ha raccolto risultati eterogenei, evidenziando grandi disparità tra il livello di competenze degli adulti appartenenti ai diversi Paesi presi in considerazione. Come è possibile osservare nel seguente grafico, infatti, le migliori performance sono state registrate in Finlandia, Giappone e Svezia, le quali hanno raggiunto un punteggio superiore alla media OCSE del 10%, nonché del 25% rispetto all’ultima Nazione classificata (il Cile). In questo scenario, l’Italia si è posizionata sotto la media OCSE come quinto Paese con il punteggio minore.

Nello stesso articolo, inoltre, i ricercatori dell’OCSE enfatizzano un altro dato interessante rilevato dal sondaggio PIAAC, ovvero un’importante disomogeneità riscontrata all’interno di ciascun Paese tra il livello di skills di chi lavora in settori che richiedono elevate competenze di astrazione (es. ICT, finanza, servizi professionali), dove spesso si registrano i più alti livelli di competenze, e quelli di chi lavora in settori come il turismo e l’edilizia, in cui invece si registrano livelli di competenze inferiori. È bene puntualizzare, tuttavia, che comprendere quanto il livello di skills degli adulti sia decisivo per l’aumento della produttività di un Paese è cruciale a prescindere dal settore industriale considerato: in generale, infatti, più i lavoratori sono qualificati – e, dunque, più alto è il loro livello di competenze –, migliore sarà la resa produttiva. Pertanto, supportare la qualificazione delle proprie risorse rappresenta una via diretta per accrescere la produttività di una realtà lavorativa, poiché aumenta le probabilità che abbiano luogo lo scambio e la diffusione di idee, ma anche lo sviluppo di innovazioni (in particolare al crescere degli investimenti nei dipartimenti di Ricerca e Sviluppo).
Una maggiore attenzione alla qualificazione degli adulti lavoratori,inoltre, si presta anche come via indiretta per l’aumento della produttività. Da un lato, infatti, il riconoscimento e la validazione delle competenze attraverso apposite certificazioni permetterebbe una più efficiente allocazione delle risorse nel mercato del lavoro – fattore altamente rilevante in un contesto mondiale caratterizzato da un’ingente scarsità di manodopera. Dall’altro, un maggior allineamento tra percorsi scolastici e mercato del lavoro porterebbe alla formazione di risorse effettivamente in possesso delle competenze richieste dalla professione a cui il conseguimento del titolo di studi dovrebbe dare accesso, andando a risolvere il problema del frequente mismatch che si registra fra le skills della manodopera e la sua allocazione nel mercato del lavoro.
Seppur indirettamente, dunque, l’innalzamento del livello di qualificazione dei lavoratori si delinea come possibile soluzione utile a colmare il crescente gap (mismatch) tra domanda e offerta del mercato del lavoro, soluzione ancor più rilevante dal momento che la produttività risulta maggiore nei settori in cui il mismatch tra domanda (professione) e offerta (competenze della risorsa) è inferiore.
A fronte di ciò, si apprende non solo la necessità di promuovere capillarmente l’offerta di programmi di formazione per adulti (sia di upskilling che di reskilling) sul territorio e di incentivarne la frequentazione, ma anche di fornire più servizi di orientamento per giovani-adulti e programmi di studio in linea con le oscillazioni del mercato. Affinché riforme strutturali di questo genere vengano implementate, tuttavia, è essenziale conoscere innanzitutto le performance dei singoli Paesi nelle due dimensioni sinora considerate: ovvero, il livello di competenza degli adulti lavoratori e la percentuale di mismatch con il mercato del lavoro. A tal proposito, il grafico sottostante mostra i dati raccolti dall’indagine PIAAC del 2023.

Nel quadrante in alto a destra si posizionano i Paesi in cui sono stati registrati i livelli più alti di competenze e più bassi di mismatch: ovvero, la Finlandia, l’Olanda e la Norvegia. In basso a destra, invece, si trovano gli Stati che, nonostante investano significativamente sulla preparazione del proprio capitale umano (che dunque dimostra di avere alti livelli di skills), non ne sfruttano appieno le competenze, allocando inefficientemente le proprie risorse nel mercato del lavoro: tra questi troviamo il Giappone e la Gran Bretagna. Sul lato opposto, invece, la situazione si aggrava: in basso a sinistra si trovano infatti i Paesi in cui sono stati registrati i più bassi livelli di skills, oltre ad un’alta percentuale di mismatch, e che dunque riscontrano considerevoli ostacoli alla crescita della propria produttività (es. Corea e Lituania). Infine, in alto a sinistra si sono posizionati i Paesi con bassi livelli di competenze, nonostante una percentuale di mismatch non eccessivamente elevata: tra questi, oltre alla Polonia e al Portogallo, troviamo l’Italia a conferma degli insufficienti investimenti nella formazione del proprio capitale umano.
Alla luce di quanto sin qui riportato, i ricercatori dell’OCSE hanno avanzato due importanti quesiti ai policy-maker: in primo luogo, come può intervenire la politica per riuscire a elevare le competenze dei lavoratori in tutti i settori dell’economia? In secondo luogo, come possono i vari Stati allocare efficientemente le proprie risorse all’interno del mercato del lavoro, considerando che la produttività risulta maggiore laddove il mismatch tra domanda e offerta è inferiore?
Tali questioni non rappresentano solo delle domande aperte, ma vere e proprie sfide che la politica deve affrontare nell’immediato. Guardando all’ultimo grafico, infatti, risulta di particolare rilevanza il posizionamento dei Paesi situati nella metà di sinistra, ovvero quelli in cui sono stati riscontrati i più bassi livelli di competenze: proprio questi necessitano urgentemente di una risposta al primo dei due quesiti formulati dai ricercatori dell’OCSE, che individuano una possibile via risolutiva nell’aumento degli investimenti sia per l’educazione scolastica di base che per la formazione continua degli adulti, poiché la partecipazione di questi ultimi ai corsi di riqualificazione risulta particolarmente scarsa proprio in corrispondenza di livelli di educazione di base inferiori.
La seconda questione, invece, risulta significativamente impattante per i Paesi situati nel quadrante in basso a destra del suddetto grafico – il Giappone e la Gran Bretagna –, dove si registrano i maggiori casi di mismatch tra domanda e offerta nonostante gli ottimi livelli di preparazione degli adulti. In un simile scenario, pertanto, anziché aumentare gli incentivi economici a favore dei corsi di riqualificazione,i ricercatori dell’OCSE suggeriscono di investire più tempo nella progettazione di percorsi scolastici più allineati alle oscillazioni del mercato del lavoro, cosicché si abbia certezza delle skills sviluppate durante il percorso di studi, l’allocazione delle risorse sia più efficiente e, dunque, il gap tra domanda e offerta venga colmato. Allo stesso tempo, tuttavia, è essenziale rendere il mercato del lavoro altrettanto flessibile attraverso riforme strutturali che incentivino la mobilità delle carriere all’interno delle aziende.
Venendo all’Italia, infine, due sono le principali considerazioni che è possibile stilare alla luce di quanto divulgato dai ricercatori dell’OCSE riguardo l’indagine PIAAC del 2023. In primo luogo, l’evidente esigenza di maggiori investimenti per la formazione continua degli adulti, a cui, tuttavia, è fondamentale si accompagnino anche incentivi alla frequentazione dei corsi di aggiornamento e/o riqualificazione proposti ai lavoratori, la cui partecipazione potrà aumentare solamente con la diffusione di una maggiore consapevolezza riguardo l’importanza dello sviluppo continuo delle competenze. In secondo luogo, si apprende l’urgenza di politiche strutturali volte a sanare gli ostacoli caratterizzanti il contesto italiano – fatto di una prorompente presenza di piccole-medie imprese (PMI), di disparità territoriali e di una carente cultura della formazione continua –, ad esempio attraverso la costruzione di ponti tra contesti istituzionali e aziende, un ruolo più centrale delle parti sociali e aggregazioni regionali di PMI dello stesso settore. In tal maniera, la formazione risulterebbe man mano più accessibile, flessibile e diffusa, dunque di impatto per la produttività nazionale.
Elisa Macario
ADAPT Junior Fellow
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