Il lavoro da remoto per il contrasto al Coronavirus: la disciplina provvisoria

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Bollettino speciale ADAPT 28 febbraio 2020, n. 2

 

I contenuti dell’articolo si riferiscono alla disposizione di cui al DPCM 25 febbraio 2020. Le considerazioni espresse restano valide, anche a seguito del nuovo DPCM 1 marzo 2020, ad eccezione di quelle relative all’ambito applicativo temporale e geografico della disciplina di favore, che è oggi applicabile in tutto il territorio nazionale e per la “durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020”, ovvero fino al decorrere di 6 mesi dalla data di tale provvedimento.

 

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Tra le misure dirette a contrastare diffusione ed effetti economici del Coronavirus, il Governo si è da subito orientato, per quanto concerne i contesti di lavoro, sulla promozione dell’utilizzo della modalità del lavoro agile. D’altronde già prima dell’intervento governativo, i commentatori avevano segnalato le potenzialità prevenzionistiche del lavoro da remoto (M. Menegotto, Coronavirus: trasferte, lavoro agile e telelavoro), che trovano, peraltro, riscontro all’interno di alcuni ordinamenti vicini (in Francia si prevede espressamente la possibilità di accesso al telelavoro in caso di epidemia: L1222-11, Code du Travail).

 

In quest’ottica, già con il DPCM del 23 febbraio, in attuazione del decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020, erano state introdotte alcune semplificazioni nell’utilizzo del lavoro agile a fini di contrasto alla diffusione Coronavirus e ai suoi effetti (M. Menegotto, G. Piglialarmi, Coronavirus: primo commento alle misure emergenziali adottate dal Governo sulla questione lavoro). La disposizione, anche se diverse sono state le interpretazioni sul punto, sembrava limitare l’applicazione di tale disciplina di favore ai soli territori della zona rossa. Di conseguenza, anche a seguito delle sollecitazioni provenienti dal mondo produttivo, nella giornata del 25 febbraio è intervenuto nuovamente il Presidente del Consiglio dei Ministri, che con un nuovo DPCM ha abrogato la precedente disposizione sostituendola con l’art. 2 del DPCM 25 febbraio 2020. A latere, occorre segnalare come nella stessa direzione di promozione del lavoro agile si sia indirizzata anche la pubblica amministrazione nell’ambito della Direttiva n. 1/2019 del Ministero della Pubblica Amministrazione.

 

A seguito del nuovo DPCM è possibile attivare il lavoro agile, anche in assenza di accordo individuale, per ogni rapporto di lavoro subordinato connesso con le regioni di Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria. Si è utilizzato il termine connesso, perché due sono le ipotesi direttamente previste dalla disposizione: da un lato quella dei datori aventi sede legale o operativa nei territori, a prescindere dalla residenza, eventualmente extra-regione del lavoratore coinvolto; dall’altro quella dei lavoratori residenti o domiciliati, che svolgono la loro attività per datori di lavoro con sede legale o operativa al di fuori di tali regioni.

La disciplina di favore rimane in vigore fino al 15 marzo, salvo eventuali proroghe.

 

Passando alle questioni operative e agli effetti da tale intervento, la semplificazione riguarda proprio il venir meno dell’obbligo relativo alla stipulazione di un accordo individuale per l’adesione alla modalità di lavoro agile, di norma previsto ai sensi dell’art. 18 della l. n. 81/2017. Di conseguenza, il lavoro agile potrà essere unilateralmente disposto o proposto dal datore di lavoro ai fini di garanzia della salute dei propri lavoratori, nell’adempimento del suo generale obbligo di tutelare la salute e sicurezza del lavoratore (su cui L. Pelusi, link al suo articolo). Nell’agevolare l’accesso alla modalità di lavoro agile, la disposizione prevede, ad ogni modo, il rispetto dei principi dettati dalle disposizioni di cui agli articoli da 18 a 23 della l. n. 81/2017: di conseguenza la prestazione in lavoro agile dovrà essere gestita secondo quei principi e si rende necessario all’interprete capirne la declinazione.

 

Premesso che la scelta del legislatore è stata quella di puntare sul lavoro agile in luogo del telelavoro anche in una situazione in cui – seppur in un limitato arco di tempo – lo svolgimento da remoto potrà essere regolare e continuativo, si può ritenere in via interpretativa che l’alternanza si intenderà come rispettata nell’ottica della occasionalità della prestazione da remoto (legato alla emergenza sanitaria) e del rientro alla normale attività in ufficio a seguito del periodo.

 

Quanto agli altri principi della l. n. 81/2017, venendo meno il riferimento all’accordo per la gestione delle diverse dinamiche, occorre riferirsi ai principi generali della disciplina, tenendo presente che, mentre molte aziende si erano avvicinate a questa modalità di lavoro in passato, per alcune organizzazioni si tratta di una assoluta novità.

L’articolato normativo porta a porre particolare attenzione ai seguenti aspetti:

  • esercizio dei poteri datoriali: devono essere esercitati secondo i limiti di legge, ancorché per il tramite di strumenti digitali;
  • limitazione del tempo di lavoro e disconnessione: la disciplina del lavoro agile prevede che esso possa svolgersi nel rispetto dei limiti massimi di durata giornalieri e settimanali previsti; per comodità si può fare riferimento alla correlazione temporale con il normale orario di lavoro;
  • luogo di lavoro: dal momento che l’obiettivo è quello della maggiore tutela della salute dei lavoratori, dovranno escludersi luoghi pubblici o aperti al pubblico e individuare la possibilità di lavoro dal domicilio o da altro luogo di pertinenza del lavoratore;
  • strumenti di lavoro: non esiste un vincolo di consegna degli strumenti di lavoro e di conseguenza i lavoratori potranno usare anche il PC personale, per esempio laddove l’azienda non disponga di device portatili idonei o sufficienti e ritenga che i dati aziendali possano essere gestiti anche su un supporto privato.

Trattandosi di esigenze straordinarie e provvisorie, non sembrano applicabili le discipline riguardanti la durata a tempo indeterminato (automaticamente il limite massimo sarà il 15 marzo) e con riferimento al recesso eccezionale parrebbe il ricorso al giustificato motivo, dal momento che l’altro bene sul piatto non è solo il diritto a proseguire con la modalità di lavoro, ma il diritto alla salute.

I contenuti precedenti sono di norma determinati all’interno dell’accordo individuale; con il venir meno dell’accordo individuale si potrebbe ritenere che nell’ottica di semplificazione massima dell’utilizzo dello strumento, non sussista un onere di comunicazione e specificazione dei diversi aspetti nelle stringenti modalità previste dall’accordo. Si può, d’altro canto, osservare come – soprattutto in contesti produttivi in cui molte sono le persone coinvolte nelle attività in modalità di lavoro agile oppure dove questa rappresenta una assoluta novità – la predisposizione di una minima scheda informativa riguardante le materie sopra citate possa essere utile.

 

Con riferimento, poi, agli obblighi di informativa in materia di salute e sicurezza, previsti dall’articolo 22 della l. n. 81/2017 potranno essere assolti – per espressa previsione del DPCM – in via telematica e anche facendo riferimento ai materiali disponibili sul sito INAIL.

 

Quanto alla comunicazione dell’avvio del lavoro agile, viene meno il riferimento all’art. 23, rispetto alla disposizione contenuta nel DPCM del 23 febbraio. In assenza di un accordo da comunicare e alla luce della modifica del riferimento, si potrebbe ritenere che anche la comunicazione, ancorché nella forma semplificata definita dal ministero del lavoro con riferimento alla precedente disposizione, non sia obbligatoria. Diverse, però, sono sul punto le interpretazioni dei commentatori ed è, quindi, opportuno tenere monitorati i siti istituzionali per verificare se ci sono diverse comunicazioni. La comunicazione da ultimo condivisa sul sito del Ministero non ne fa menzione, ma si limita a comunicare l’estensione dell’ambito applicativo della disciplina di favore.

 

Ciò detto rispetto alle implicazioni operative, si ritiene di procedere a due specificazioni finali, una di taglio più generale e una con specifico riferimento alle c.d. zone rosse.

 

In generale, occorre interrogarsi sull’interazione tra questa disciplina emergenziale e provvisoria e le eventuali discipline collettive (nazionali o aziendali) e individuali relative al lavoro agile o, eventualmente, anche al telelavoro. La sopravvenienza di una disciplina a breve termine e con caratteri di specialità dovuti ad una situazione contingente porta a ritenere azionabile la modalità di lavoro agile secondo la procedura semplificata e in assenza di accordo individuale a prescindere dalle previsioni e dei vincoli (spesso temporali) previsti nella contrattazione collettiva.

 

Allo stesso modo, con riferimento ai lavoratori che già usufruiscono della modalità di lavoro agile in virtù della stipulazione di un accordo di lavoro agile, è ragionevole ritenere che non sarà necessario addivenire ad un accordo di modifica di quello vigente, potendosi applicare la disciplina emergenziale in via unilaterale, con le necessarie modifiche rispetto a quanto pattuito tra le parti e, in particolare, rispetto alla estensione temporale e alla possibile limitazione spaziale della prestazione.

 

Infine, con riferimento ai lavoratori della c.d. zona rossa, la cui attività lavorativa risulta sospesa per effetto del decreto-legge e dei lavoratori che si trovano, anche al di fuori di tali territori, in quarantena, la modalità di lavoro agile è l’unica che consente la prestazione lavorativa, cosicché l’adesione a tale modalità si pone in termini maggiormente stringenti sul datore di lavoro in virtù dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto, che comporta la necessità da parte del datore di lavoro di accettare la prestazione se può essere svolta utilmente anche con modalità diverse.

 

Emanuele Dagnino

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

 

 

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