Rivoluzione digitale nel settore HR. Gli algoritmi sostituiranno i colloqui?

Gli interrogativi suscitati da uno scenario, nemmeno troppo avveniristico, che vedrebbe software ed applicazioni digitali competere con gli esseri umani su molte funzioni sono incalzanti. Di sicuro, fenomeni quali la HR analytics (HRA), ossia l’identificazione e quantificazione sistematica delle caratteristiche del personale finalizzate all’adozione di efficienti processi di decision making (S. van den Heuvel, T. Bondarouk, The rise (and fall) of HR analytics: a study into the future applications, value, structure, and system support – 2016), e l’aggregazione di Big Data hanno già modificato le modalità con cui si cerca e trova lavoro, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta (per un approfondimento sul tema si veda A. Negri Recruiting4.0: le tecnologie nell’incontro domanda offerta di lavoro). Sebbene l’utilizzo di strumenti di metrica e misurazione facciano parte delle attività riconducibili alla funzione di selezione e gestione del personale già dalla fine degli anni ‘70, è solo negli ultimi anni che l’HRA è entrata in voga, diventando un leitmotiv, tanto per gli attori dei dipartimenti recruiting, quanto per chi, con quei dipartimenti, tenta di entrate in contatto.

 

Lo dimostra il recente report intitolato “The future of HR Five Tecnhnology Imperatives” in cui ORACLE ed Accenture illustrano simultaneamente sia le sfide che la funzione HR si troverà ad affrontare relativamente all’impatto dell’evoluzione tecnologica sulle proprie attività, sia le soluzioni già disponibili per “ripensare e adattare le proprie operazioni” alla luce della mission aziendale. Il “problema” sui cui si concentra il report è l’imprescindibilità della gestione dei talenti (definibili come “persone preziose per l’organizzazione, capaci di generare vantaggi competitivi per la stessa”) a livello di business e la conseguente ridefinizione delle attività in capo ai dipartimenti di selezione e gestione del personale, alla luce delle innovazioni tecnologiche messe a disposizione delle organizzazioni. Il rapporto, rivolgendosi ai quadri della funzione Risorse Umane, elenca 5 “imperativi tecnologici” cui sarebbe necessario rispondere per portare avanti una qualsivoglia nuova strategia aziendale che contempli l’uso di strumenti tecnologici in relazione alla gestione del talento.

1) Utilizzare un approccio integrato al talent management, ossia un sistema sotto forma di piattaforme studiate e proposte per una gestione olistica delle risorse umane. Queste piattaforme rappresenterebbero la soluzione per una vasta gamma di operazioni e processi, inclusi quelli strategici di gestione, pianificazione, ricerca e assunzione dei talenti. 2) Utilizzare strumenti di analytics che, nel processo decisionale dell’area Risorse Umane, vengono indicati come essenziali per rafforzare le performance aziendali e permettere di agire proattivamente. A questo imperativo sono strettamente legati i Big Data, tasselli in grado di “fotografare” un gran numero di situazioni-problemi-aspetti, contribuendo positivamente ai processi decisionali.

3) Rendere accessibili le attività di HR e talent management al personale dipendente. Secondo ORACLE ed Accenture, l’HR, grazie all’adozione di soluzioni tecnologiche innovative e user-friendly, avrebbe la possibilità -da cogliere nel minor tempo possibile- di demandare parte delle proprie attività al personale interessato all’interno dell’azienda. 4) Trarre vantaggio dagli strumenti di recruiting più avanzati. Il progresso tecnologico degli strumenti per la selezione rappresenterebbe la via migliore per ottimizzare ed accelerare l’acquisizione dei talenti. 5) Sfruttare il cloud per incrementare efficienza ed “agilità”. Conseguentemente a tutti gli altri “imperativi”, non sarebbe possibile prescindere dal cloud per una gestione integrata di tutte le applicazioni ed attività riconducibili all’area HR, offrendo esso stesso vantaggi circa la reattività ed accessibilità costante (in termini di tempo e spazio) a tutte le informazioni richieste per rispondere alle necessità aziendali. Pur essendo descritti come soluzione alla gestione del talento in azienda, questi 5 “imperativi” sollevano diversi ordini di problemi che ne sono diretta conseguenza e che vanno delineandosi in relazione ai mutamenti portati dai fenomeni della digitalizzazione del lavoro.

 

Per quanto riguarda il primo “imperativo”, ossia l’adozione di piattaforme digitali per una gestione integrata di tutti i dati e delle informazioni circa le risorse umane, risulta ancora poco chiaro il grado di precisione, attendibilità ed efficacia di queste piattaforme per la mappatura e, soprattutto, la valutazione di capacità, abilità e competenze ricercate e/o già in forza all’azienda. A queste piattaforme spetterebbe la gestione e l’analisi di tutti i dati raccolti (per un’analisi del ruolo delle piattaforme e delle agenzie per il lavoro si veda A. D’Ascenzo, Cosa intendiamo quando parliamo di recruiting 4.0. Le agenzie per il lavoro a confronto), ma senza che sia stato già messo a punto un sistema adeguato ed efficace di codifica e azionabilità di questa grande mole di informazioni (per una breve analisi di rischi e opportunità si veda G. Machì, Big data: possibilità e pericoli derivanti dall’introduzione in azienda). Senza dimenticare che, sulle modalità di raccolta e trattamento di questi dati, resta ancora da capire se l’evoluzione normativa in tema di privacy sia abbastanza matura da ricomprendere gli scenari che vanno creandosi in materia, ed in relazione alle esigenze di tutela ad essa collegate. Sempre rimanendo nell’ambito del primo “imperativo” tecnologico elencato nello studio di ORACLE ed Accenture, si può osservare come alcuni social network siano già coinvolti nei processi di selezione di personale (si pensi a LinkedIn ed a Facebook). Tuttavia, resta tutto da dimostrare se questi strumenti, sotto forma di social aziendali, siano il canale unico e più adeguato (come proposto dal report analizzato) di somministrazione di formazione virtuale: la combinazione dei dati riguardanti le skill già possedute dal personale e quelle da conseguire per svolgere le attività richieste può certamente aiutare la predisposizione percorsi personalizzati e digitali di training in azienda, a patto che però si inseriscano in un piano più articolato e diversificato di formazione on the job. Inoltre, non è affatto trascurabile l’aspetto riguardante i controlli attuabili, anche a distanza, sugli utenti che utilizzano queste piattaforme.

 

Per quanto riguarda il cloud (nuvola virtuale di tutti i dati e le applicazioni fin qui descritte) proprio per la sua accessibilità in ogni momento e luogo è uno strumento che, da solo, consente potenzialmente di ridefinire la concezione del c.d. tempo del lavoro con tutte le implicazioni che questo comporta. Si pensi a possibili interferenze tra tempo del lavoro e quello personale, eventualità di lavoro da casa, prestazioni produttive di risultato a prescindere da orari fissi e presenza sul posto di lavoro. Questi agglomerati di dati a disposizione del dipartimento HR comporterebbero anche un affrancamento dello stesso da quello IT, con conseguenze anche sul piano dell’organizzazione aziendale e dei rapporti tra le diverse funzioni.

 

Nonostante l’innegabile contributo all’implementazione delle operazioni in capo alla funzione di selezione e gestione delle risorse umane dato dall’introduzione in azienda degli strumenti tecnologici, l’innovazione delle attività proprie del settore HR si potrà configurare come positiva solo in relazione all’uso che di questi strumenti verrà fatto ed alla capacità degli “addetti ai lavori” sia di fare alle macchine le “domande giuste”, sia di estrapolarne le risposte con un metodo idoneo a ridurre al minimo il rischio di bias o conclusioni frettolose. Ad esempio, per quanto riguarda il processo decisionale relativo alla selezione del personale, appare dubbio affermare che un algoritmo possa davvero essere più efficace di un colloquio di lavoro. Così come è controversa la proposta di abbandonare la tradizionale analisi dei curriculum in favore di tecniche di analisi condotte attraverso l’aggregazione di dati per la gestione del talento. L’accesso ad immensi depositi di informazioni su candidati e persone già impiegate rischia di condurre ad una spersonalizzazione dell’intero processo di recruiting e gestione del personale. Inoltre, non risulta troppo chiaro chi si dovrebbe occupare di queste attività, né quali competenze siano richieste (e dove reperirle) a chi dovrebbe attuare la gestione del personale con questi mezzi tecnologici. Da un lato, non tenere in considerazione il fatto che l’impiego di tutti gli strumenti fin qui descritti possa impattare sul processo di selezione e gestione del personale, permettendo istantaneamente l’accesso a un gran numero di dati, probabilmente a un costo più basso rispetto al passato, sarebbe poco realistico. Dall’altro, tuttavia, resta discutibile l’idea che un confronto personale e diretto con la risorsa possa essere saltato e sostituito in toto da un iter di selezione automatizzata. Attitudini, aspirazioni, peculiarità ed aspettative personali sono fattori non trascurabili e che è importante vengano colti per stabilire le potenzialità di collocazione dei candidati, così come per progettare e ri-modulare i percorsi di carriera per le risorse già assunte.

 

Inoltre, l’accuratezza di un modello matematico rischia di generare un falso senso di semplificazione e, i risultati che un algoritmo può fornire, non sono adatti a rispondere a domande di tipo strategico, per loro natura meno strutturate. Una perfetta ed aritmetica corrispondenza tra le esigenze aziendali e talenti ritenuti idonei per soddisfarle (sulla base dei dati raccolti trasversalmente, sia a livello di competenze, sia di caratteristiche comportamentali), rischia di trasformarsi in un boomerang alla capacità innovativa dell’organizzazione. Per trasformare in valore la creatività ed il pensiero laterale, di cui i talenti sono portatori, un voluto e ragionato mismatch tra i bisogni d’impresa ed il capitale umano disponibile, può essere strategico. Quest’ultima è un’operazione che, almeno per ora, può essere svolta solo da operatori qualificati e competenti, proprio grazie ai rapporti empatici instaurati con i candidati, prendendo decisioni “fuori dagli schemi” e affrancandosi dalle costrizioni poco elastiche che un procedimento sistematico di calcolo comporta.

 

Sì, la rivoluzione digitale sta già interessando anche il settore della selezione e gestione del personale e, a seconda dell’entità e della pervasività dell’introduzione degli strumenti frutto dell’avanzamento tecnologico in questo campo, essa può rappresentare un’innovazione positiva per l’azienda nel suo insieme. Tuttavia, quali siano le condizioni che dovrebbero sussistere affinché la trasformazione venga attuata efficacemente e con ricadute positive per gli attori coinvolti (sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta di lavoro) è ancora un territorio non sufficientemente esplorato. Quindi, forse, la vera domanda da porsi non è se o quando gli strumenti di HR analytics si sostituiranno agli addetti alla selezione e gestione delle risorse umane, ma come questi ultimi sapranno gestire la “competizione” o integrazione con le macchine, non lasciandosi fermare dalla paura di esservi sostituiti, forti del possesso delle competenze necessarie per “leggere” strategicamente i nuovi dati messi loro a disposizione.

 

Margherita Roiatti

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@MargheRoi

 

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