Quelli della Birreria Finisterre: un porto per salpare e una compagnia “atipica” nei tornanti delle trasformazioni del lavoro e del sindacato

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Bollettino ADAPT 6 settembre 2021, n. 30

 

“Ogni persona aggiunge la propria tessera, la propria vita, al mosaico. E il mosaico è Dio. È il destino di tutto ciò che ha avuto vita nell’universo”.

 

Non so se si riconosceranno a pieno in questa frase dello scrittore di fantascienza Jonathan Carroll, ma certo l’immagine del mosaico, insieme a quella del cammino e della frontiera, ben si collega al libro, a cura di Giancarlo Rovati e Maurizio Vitali: “Quelli della Birreria Finisterre” (Itaca Edizioni).

 

A una lettura superficiale lo si potrebbe riassumere come: “le storie dei ciellini della Cisl a Milano e dintorni”, ma questo volume, soprattutto nella parte delle “storie che si fanno storia” rappresenta di più.

 

Il libro è, innanzitutto, un affresco collettivo, un racconto a più voci. Oltre al corposo saggio introduttivo di Rovati, docente di Sociologia presso l’Università Cattolica, esso racchiude, in una sezione intitolata “Uomini e storie”, dodici interviste prevalentemente rivolte a sindacalisti aderenti a Comunione e Liberazione (e, dal 2003, al Circolo culturale Ettore Calvi). Tutte davvero ben realizzate dal giornalista Maurizio Vitali.

 

I protagonisti raccontano, di pagina in pagina, di storia in storia, un percorso collettivo che attraversa cinque decenni e diverse generazioni. Il filo si dipana dal 1968 (o meglio dai suoi esiti) e incontra il sindacato di fabbrica ed in espansione, ma non privo di contraddizioni, dei primi anni settanta, la crisi, non solo economica, del decennio successivo, le grandi trasformazioni politiche e del mercato del lavoro degli anni novanta, per affrontare, infine, i primi due decenni del ventunesimo secolo con i relativi “cambi di paradigma”. Il tutto attraverso il punto di osservazione di quella che si autodefinisce una: “compagnia atipica nel lavoro e nel sindacato”.

 

Come scrive nell’introduzione l’ex segretario nazionale della Femca Cisl Fiorenzo Colombo, una peculiarità del libro sta nel racconto di esperienze di vita e di traiettorie di lavoro e rappresentanza, che affrontano il divenire della storia e il succedersi delle generazioni, attraverso una presenza radicata, ma non per questo non proiettata verso il futuro, anche grazie alla dimensione condivisa della Fede.

 

Un elemento di ulteriore interesse del libro, lo aggiunge chi scrive, è l’aver inserito non solo interlocutori di età diverse, ma anche di differente ruolo nel sindacato: dal semplice delegato aziendale che ha vissuto una vita in una dimensione volontaria non a tempo pieno, fino a segretari nazionali confederali della Cisl (come Angelo Colombini) e di categoria.

 

Inutile negare (e non lo fanno né i curatori, né i protagonisti) che si tratti della storia di una “parte”, di un gruppo ben delineato (anche nella Cisl), ma non di una corrente a se stante all’interno della confederazione di Via Po che, mai è stato, lo ricordiamo, un sindacato cattolico.

 

Tornando alla prima parte del volume, l’introduzione di Rovati sull’azione sindacale nei “turbolenti” anni ’70 e ’80, può risultare “ostica”, soprattutto nel suo giudizio inappellabilmente negativo sul 1968, che appare, a chi scrive, ben più radicale di quello dello stesso Don Giussani.

 

Rovati sembra sottovalutare il filone riformista (non meramente esistenziale e umanista) del Movimento Studentesco che non si riconosceva solo nella critica all’autoritarismo, ma anche in una cultura, radicale, della trasformazione (si pensi, ad esempio al tema della riforma delle professioni e ad esperienze come quelle della medicina popolare o del diritto allo studio).

 

Un filone che vide, anche nella leadership, una partecipazione massiccia, in particolare all’Università Cattolica, di Gioventù Studentesca, antenata, pur se indiretta, di Comunione e Liberazione.

 

Un altro tema affrontato da Rovati (e non solo) è quello del rapporto tra impegno sindacale e religioso e della critica alla “doppia vita” di molti militanti e dirigenti, cattolici in parrocchia e non visibili, in quanto credenti, nei luoghi di lavoro o di studio.

 

Un fenomeno reale, ma che non dovrebbe sfociare, a parere di chi scrive, in una lettura dicotomica generalizzata, con una critica curiosamente speculare a quella rivolta, nel ’68, ai cattolici presenti nel Movimento studentesco dall’ala marxista-leninista. Essa li identificava come un gruppo di piccoli borghesi alla mera ricerca del piacere, per di più alle spalle della classe operaia.

 

Materiali per un buon dibattito, anche a partire da punti di vista diversi, sulla scia dei tanti organizzati, in questi anni, dal circolo culturale Ettore Calvi.

 

Il libro, nella parte curata da Vitali, quasi come in un sogno, comincia agli inizi degli anni Novanta del Novecento, in un luogo che è ormai svanito nei processi di deindustrializzazione: l’ufficio postale dell’Alfa di Arese.

 

Il giornalista riporta il dialogo in dialetto, l’incontro causale fra due ex delegati della Fim Cisl dello stabilimento: Roberto Trombin (che all’inizio degli anni ottanta era sparito da un giorno all’altro ed entrato in clandestinità con le Brigate Rosse) e Adalberto Canavesi, membro del consiglio fabbrica fino alla pensione, avvenuta qualche anno dopo, nel 1998.

 

Canavesi, pur di formazione cattolica, viene da una famiglia socialista e si iscrive alla Fim su consiglio di un amico extraparlamentare del movimento studentesco che riteneva la Cisl, delle tra confederazioni, “quella più libera”.

 

Poi l’incontro con Don Giussani e il movimento che, agli albori degli anni settanta, cominciava a chiamarsi “Comunione e Liberazione”.

 

L’ex delegato ci racconta di una Fim e di una Cisl di Milano composte in prevalenza da extraparlamentari di sinistra, ma che non osteggiano l’ingresso, nel sindacato, dei militanti ciellini: “eravamo lavoratori che condividevano la condizione di tutti (…) Ci caratterizzavamo come cristiani, come gruppo di cristiani, non come una componente sindacale con una propria linea. Stavamo insieme agli altri”.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda il bancario Giancarlo Bottini che, come altri militanti e sindacalisti ciellini, ha un background originale: attivista di Lotta Continua, iscritto alla Cgil e solo successivamente alla Cisl.

 

Bottini non si iscrive alla Cisl per la sua sensibilità di fede. “Per niente: E’ stato perché, conoscendo meglio i miei colleghi cislini, mi sembrò che avessero un atteggiamento più assennato (…) In fondo l’idea dei sindacalisti comunisti era che dal lavoro bisogna liberarsi. I miei colleghi cislini invece erano propensi a considerare il lavoro come un aspetto fondamentale della vita.”

 

Nel libro c’è anche un’intervista a Roberto Formigoni, che ci consegna una curiosità: il racconto del suo intervento dal palco a Lecco, come rappresentante di Gioventù Studentesca (ancora Cl non era pienamente costituita), alla manifestazione Fim Fiom Uilm in occasione dello sciopero nazionale dell’autunno caldo, nell’ottobre del 1969, prima dell’intervento del segretario generale della Fim Luigi Macario.

 

Si svilupperà poi la presenza di Cl nei luoghi di lavoro, come nella Università, fino alla fondazione del Movimento Popolare che terrà nel 1978, dieci anni più tardi, un convegno nazionale degli operatori sindacali ad esso aderenti e promuoverà uno specifico: “Ufficio Lavoro”.

 

L’impegno dei militanti ciellini nel 1974 in occasione del referendum sul divorzio, lo ricordano molti degli intervistati, è sul fronte opposto di altri cattolici della Cisl: i primi per il sì, seguendo le indicazioni della Cei e della Democrazia Cristiana, i secondi per la conservazione della legge che sanciva la possibilità di scioglimento del matrimonio.

 

Il libro racconta tante altre storie: dal viaggio a Danzica a supporto di Solidarnosc nel 1980 del giornalista e scrittore Luigi Geninazzi, alla storia paradigmatica di Ivan Guizzardi, operaio metalmeccanico e delegato sindacale a Milano, messo in cassa integrazione nel 1981, tra gli iniziatori e primo presidente dei Centri di Solidarietà.

 

E’ dall’esperienza personale della mancanza del lavoro che nasce, racconta in un’interessantissima intervista Guizzardi, l’idea di un apporto strutturato per l’incontro con disoccupati e giovani in difficoltà. Il concetto dell’accompagnamento integrale della persona fin dal tempo degli uffici di collocamento a chiamata numerica è una costante nel libro e dell’esperienza della “compagnia atipica”.

 

Grazie proprio a questo suo background Guizzardi diventerà, alla fine degli anni Novanta, l’anello di congiunzione tra la Cisl e la Compagnia delle Opere per la creazione dell’Alai, l’associazione sindacale per i lavoratori atipici ed interinali costituita attraverso un accordo tra l’allora leader della Cisl Sergio D’Antoni e Giorgio Vittadini (anch’egli intervistato nel libro).

 

Lo slogan, sempre sulla scia di Giussani, è quello del passaggio “dall’utopia alla presenza”, non solo analisi ed elaborazioni, ma costruzione di un “giudizio originale” a partire dalle “opere”.

 

Dall’esperienza dell’Alai si arriverà poi alla costituzione di Felsa e Vivace, veri vivai di giovani sindacalisti e sindacaliste (non tutti aderenti a Comunione e Liberazione), e, soprattutto, strumenti associativi e di tutela contrattuale fondamentali nei cambiamenti del lavoro.

 

Lo testimoniano bene Mattia Pirulli e Daniel Zanda, i sindacalisti più giovani, tra quelli intervistati, aderenti alla compagnia della Birreria Finisterre (il luogo, nella periferia milanese, che dà il titolo al libro e che ha visto la costituzione del circolo Ettore Calvi e un’attività “atipica” di servizio e proselitismo sindacale).

La storia raccontata nel libro non prosegue, scrivono i curatori, ma “riaccade”.

 

Ogni tornante (pensiamo al Covid-19) è un nuovo inizio.

 

La compagnia della birreria racconta di come la passione per il “fatto” di Cristo, sia scelta e presenza determinante nell’orizzonte delle persone.

 

Altre parole sono quelle dell’amicizia operativa e della rigenerazione del soggetto. Un tema, quest’ultimo, che è stato anche il leit motiv del Meeting di Rimini del 2021 e che Pirulli e Zanda hanno sintetizzato in un evocativo slogan: “aiutare il precario a dire io”.

 

“Con il cambiamento delle forme produttive e di lavoro – racconta Ivan Guizzardi – potranno cambiare le forme di organizzazione sindacale. Ma non viene meno la persona e il suo bisogno di esprimersi nel lavoro, di vedere riconosciuta e tutelata la propria identità”.

 

Fuori e dentro la compagnia atipica, permangono il bisogno e il desiderio di generare una spinta a mettersi insieme, a partire dal sindacato, non solo in esso.

 

“Essere con”, ci raccontano i protagonisti del libro è fondamentale per l’uomo, non un confine, un limite, ma un porto pronto, di nuovo, a salpare.

 

Insieme.

 

Francesco Lauria

Centro Studi Cisl

 

Quelli della Birreria Finisterre: un porto per salpare e una compagnia “atipica” nei tornanti delle trasformazioni del lavoro e del sindacato