Politically (in)correct – Lavoro: s’ode a destra uno squillo di tromba

Bollettino ADAPT 22 luglio 2019, n. 28

 

Il governo (sarebbe più corrispondente alla realtà parlare di governi, perché ce ne sono almeno due, se non addirittura tre) nutre propositi ambiziosi in materia di lavoro. Le cronache si stanno occupando di tutt’altre cose: delle liti tra i due vice premier, della possibilità (invero improbabile) di una crisi che porti ad elezioni anticipate, del Russiagate (anche se le veline delle tante Agenzie Stefani favorevoli al regime invitano a non dare importanza alle notizie che emergono sempre più frequentemente, col pretesto che agli italiani non interessano), della nomina del commissario europeo e dell’eventuale rimpasto con la giubilazione dei ministri “gialli” sgraditi a Matteo Salvini.

 

Senza fare troppo rumore il governo ha presentato, il 13 giugno scorso in Senato, un disegno di legge delega che consentirebbe, se approvato, di riscrivere gran parte del diritto del lavoro (sarebbe la terza volta dal 2012, prima con la legge n.92 del ministro Fornero, poi col jobs act, i pezzi forte del governo Renzi). Se poi si tiene conto che è incardinata in Commissione Lavoro al Senato un disegno di legge delega a firma del ministro Giulia Bongiorno che rovescia come un guanto la disciplina del pubblico impiego (anche in questo caso dopo le riforme Brunetta, prima, Madia, poi) ci sono in vista parecchie modifiche, di cui, tuttavia, non è agevole interpretarne l’indirizzo. 

 

In sostanza, le deleghe sono tanto generiche da non lasciare intendere se sia in programma una revisione significativa delle innovazioni introdotte nelle passate legislature oppure se ci si accontenti di menare il can per l’aia, tanto per darsi un ruolo. Il disegno di legge (AS 1338) reca il titolo “Delega al Governo per la semplificazione e la codificazione in materia di lavoro’’ ed è presentato dal Gotha bipartisan – cosa rara –  dell’esecutivo (il presidente Giuseppe Conte e i ministri Bongiorno, Di Maio e Tria). È un ddl corredato di un’ampia relazione illustrativa e tecnica, a cui diventa necessario fare riferimento se si vuole avere una vaga idea di come potranno essere sviluppate le deleghe. Il fine indicato è quello – quanto meno sarchiaponesco – “di creare un sistema organico di disposizioni in materia di lavoro per rendere più chiari i princìpi regolatori delle disposizioni già vigenti e costruire un complesso armonico di previsioni di semplice applicazione”. 

 

Principi regolatori: che cosa significa tutto ciò? Vediamo. Uno dei principi generali prevede che il Governo proceda al coordinamento e all’armonizzazione sotto il profilo formale e sostanziale delle disposizioni legislative vigenti, apportando a tal fine le opportune modifiche volte a garantire o migliorare la coerenza giuridica, logica e sistematica (sic!) della normativa, intervenendo mediante novellazione e revisione dei codici o dei testi unici di settore già esistenti. Un altro principio è volto all’adeguamento, aggiornamento e alla semplificazione del linguaggio normativo. Navighiamo ancora tra le nebbie delle paludi.  Soprattutto siamo curiosi di capire che cosa si intenda per semplificazione del linguaggio normativo. Che ci siano dei problemi di chiarezza e trasparenza è evidente: è ormai usuale scrivere norme  che ne richiamano altre con la sola citazione della fonte legislativa, del numero dell’articolo e dei commi. Ma le norme sono fatte di parole; e una parola esprime un concetto specifico diverso da quello sotteso ad un’altra parola. Può succedere allora che con la scusa della semplificazione si dia alla norma una portata applicativa diversa (non si dimentichi mai il detto che “tre parole del legislatore gettano al macero intere biblioteche”). 

 

Più chiari sembrano i propositi per quanto riguarda l’apprendistato (si vuole favorirne la diffusione tramite la riduzione degli adempimenti, pur confermando la finalità formativa), la riorganizzazione degli enti che agiscono nel mercato del lavoro e dei sistemi informativi. Per questi motivi s’interviene in materia di servizi per l’impiego, compreso il collocamento mirato, al fine di razionalizzare le funzioni e i compiti in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel rispetto del riparto di competenze tra lo Stato e  le Regioni. Un terreno molto delicato, questo, che ha alle spalle la mancata entrata in vigore delle norme introdotte in proposito dalla riforma costituzionale del governo Renzi (bocciata nel referendum) e che pertanto implica una questione di rilievo costituzionale. 

Molto equivoca è la prevista eliminazione dei livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea e l’obbligo per l’amministrazione di rendere facilmente conoscibili e accessibili le informazioni, i dati in materia (oltre alla relativa modulistica), assicurando al contempo l’integrazione e lo scambio di dati tra le amministrazioni dello Stato e altri soggetti pubblici e privati. Non vogliamo ipotizzare che vi sia l’intenzione di fornire un’interpretazione “nazionale” dei dati, nei contesti europei ed internazionali. Ma la vaghezza della delega lascia molti dubbi.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

Politically (in)correct – Lavoro: s’ode a destra uno squillo di tromba