PA: per la vera riforma bisogna attendere il secondo tempo

Con la conversione in legge del d.l. n. 90/2014 avvenuta agli inizi del mese di agosto grazie alla legge n. 114/2014, la prima fase della riforma della Pubblica Amministrazione è compiuta. La #svoltabuona per il comparto pubblico lasciava presagire una vera e propria rivoluzione. Questi d’altronde erano i toni utilizzati dal Primo Ministro Renzi e dal Ministro Madia nella lettera inviata ai dipendenti pubblici la quale invitava i lavoratori, ma anche la società civile a mandare suggerimenti e indicazioni all’indirizzo mail rivoluzione@governo.it.
 
Scorrendo il testo definitivo del provvedimento, la rivoluzione appare ancora lontana. Gli oltre cinquanta articoli che compongono il decreto legge, infatti, non si allontanano di molto dagli interventi susseguitisi a più riprese in questi anni di crisi economica e di necessità di abbattimento dei costi dell’apparato pubblico. Anche il cavallo di battaglia della “staffetta generazionale” così fortemente sponsorizzato all’inizio dell’esperienza governativa appare ora avere effetti ben al di sotto delle aspettative.
 
Il passaggio di testimone tra lavoratori anziani e giovani dovrebbe avvenire per l’effetto simultaneo delle previsioni contenute agli articoli 1 e 3 del d.l. n. 90/2014. Con il primo, infatti, si stabilisce la fine dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici e l’ampliamento della facoltà di risolvere unilateralmente il rapporto dei lavoratori, compresi i dirigenti, che hanno maturato i requisiti pensionistici. Con il secondo, invece, si sblocca progressivamente entro il 2018 il turnover del personale. Secondo il Dipartimento della Funzione pubblica i posti che verrebbero a liberarsi sono quasi 75.000. Tuttavia, anche se così fosse – sui numeri reali è in atto il consueto balletto di cifre – il d.l. n. 90/2014, non contiene, e difficilmente potrebbe, una riserva esclusiva di questi posti per i giovani. Le norme di accesso al lavoro pubblico non consentono un’esclusione totale di una parte della popolazione dal tentativo di provare un concorso per una posizione venutasi a liberare. Inoltre, il ricambio generazionale potrebbe avvenire in maniera completa solo al termine del blocco del turnover e quindi non prima del 2018.
 
Più interessanti e vicine alle esigenze di un mercato del lavoro pubblico in continua evoluzione a causa dei tagli e delle ripetute revisioni di spesa appaiono le novità in materia di mobilità del personale. D’ora in poi le Amministrazioni Pubbliche potranno trasferire il personale in altre sedi situate nello stesso territorio comunale o a un massimo di 50 chilometri di distanza. Durante l’iter di conversione parlamentare si è garantita una maggior tutela per i dipendenti con a carico figli con meno di tre anni o che godono del congedo parentale o dei permessi legati alla legge n. 104/1992. In tal caso per il trasferimento occorre avere il consenso dei lavoratori stessi. Novità sono previste anche per coloro che dovessero risultare in esubero al termine di un processo di mobilità. Per favorire il ricollocamento di queste persone, l’articolo 5 del d.l. n. 90/2014 consente di fare richiesta di essere adibiti a una qualifica o a un’area inferiore di massimo un livello rispetto a quella goduta in origine.
 
Il vero cavallo di battaglia, almeno a livello mediatico, del provvedimento voluto dal Governo riguarda il taglio dei distacchi e dei permessi sindacali. L’articolo 7 del d.l. n. 90/2014 impone una riduzione drastica del 50% a partire dal 1 settembre del 2014, concedendo alcune deroghe solo per le Forze di polizia e i Vigili del Fuoco. Che le intenzioni dell’esecutivo in materia siano serie lo si può desumere dalla rapidità con cui il Dipartimento della Funzione Pubblica ha diramato la Circolare n. 5/2014 contenente istruzioni dettagliate in materia. Il testo è datato 20 agosto, nove giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto legge.
 
Le restanti parti del provvedimento voluto dal Governo seguono la linea dell’abbattimento dei costi. Su questa lunghezza d’onda si rinvengono gli interventi sulle società partecipate, sugli incarichi dirigenziali, sulle autorità indipendenti. La stessa riforma della formazione nel comparto pubblico è dettata dalla necessità di razionalizzare la spesa mediante una unificazione definitiva di tutti gli istituti sotto il solo ombrello della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
 
Una forte volontà politica si rinviene nelle diverse norme che riguardano il delicato tema della lotta alla corruzione. La scelta del Governo è stata in materia piuttosto netta. Un rafforzamento deciso del ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione la quale sarà chiamata ad agire su più fronti anche in vista dell’Expo del 2015. Proprio per preservare e rendere più efficace il ruolo dell’Autorità nel suo settore di riferimento, il d.l. n. 90/2014 ha portato l’intera questione della misurazione e valutazione del personale pubblico sotto la responsabilità del Dipartimento della Funzione pubblica.
Sul punto il Governo dovrebbe emanare entro i prossimi sei mesi un regolamento. Questo appare quanto mai necessario visto che l’impianto generale della materia, riorganizzato con la c.d. Riforma Brunetta è, di fatto, al palo da quasi cinque anni.
 
Come per il mercato del lavoro privato, anche in materia di lavoro pubblico il Governo ha optato per una strategia a due tempi. Prima un decreto legge, poi un disegno di legge delega. Vista la poca incisività riformatrice del d.l. n. 90/2014 molte delle attese sono concentrate sul testo legislativo presentato in Senato (S. 1577) a inizio agosto dopo esser stato annunciato per mesi – si contano ben tre conferenze stampa – prima di esser realmente depositato. Una prima lettura veloce dello stesso fa emergere come potranno esserci delle evoluzioni interessanti, anche se le parole d’ordine che ritornano sono le stesse che circolano da ormai più di vent’anni: smaterializzazione e digitalizzazione, accelerazione dei processi decisionali, riforma della dirigenza, cambiamento delle norme lavoristiche, conciliazione vita-lavoro.
 
Quanto ci vorrà per passare dal disegno di legge delega ai fatti non è possibile saperlo. Rispetto ai primi cento giorni per #cambiareverso, però, il Governo parla ora di una progettualità di quasi tre anni. Per il secondo tempo della riforma della Pubblica Amministrazione bisognerà, così, attendere lo scorrere dei 1.000 giorni che l’Esecutivo si è dato per portare a casa i risultati promessi.
 

Umberto Buratti

ADAPT Senior Research Fellow

@U_Buratti

 
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