Licenziamenti, controlli a distanza, jus variandi: spunti per una riflessione interpretativa

Breve resoconto del seminario “I licenziamenti dopo le recenti riforme: il dibattito teorico e nella giurisprudenza”, Università Bicocca, Milano, 26 settembre 2016

 

Nel corso del seminario che si è tenuto lo scorso 26 settembre presso l’Università degli Studi di Milano, numerosi sono stati gli spunti di riflessione nati dal dibattito tra i relatori ed il pubblico.

 

In particolare, l’intervento del prof. Armando Tursi ha evidenziato come il tema dei licenziamenti disciplinari ha assunto, a seguito della legge n. 92/2012 e del più recente decreto legislativo n. 23/2015, una nuova centralità, almeno sotto due profili.

Da un lato sono numerose le questioni che la nuova disciplina dei licenziamenti disciplinari ha sollevato tanto in dottrina quanto in giurisprudenza sin dall’entrata in vigore della c.d. riforma Fornero (v. P. RAUSEI, M. TIRABOSCHI (a cura di), Lavoro: una riforma sbagliata, ADAPT University Press, 2012, spec. 129 ss.; F. CARINCI, C. CESTER (a cura di), Il licenziamento all’indomani del del d.lgs. n. 23/2015, ADAPT University Press, 2015, nonché M. T. CARINCI, A. TURSI (a cura di), Jobs Act. Il contratto a tutele crescenti, Giappichelli, 2015.) Dall’altro lato il tema ben può essere indagato attraverso una riflessione di più ampio respiro a livello di politica del diritto, ed è ciò che interessa in questa sede.

 

Come è stato sottolineato, l’intervento riformatore si innesta in un più ampio processo di ridefinizione degli istituti fondanti il diritto del lavoro, laddove – al di là della disciplina dei licenziamenti – l’opera demolitoria dello Statuto pone un profondo cambiamento anche in materia di controlli a distanza (art. 4 Stat. lav.) e sulla disciplina delle mansioni (art. 13 Stat. lav.)

 

Per quanto attiene ai controlli a distanza (sul tema cfr. A. MARESCA, Jobs Act, come conciliare potere di controllo e tutela della dignità e riservatezza del lavoratore), obiettivo primario è quello di garantire un effettivo bilanciamento tra l’interesse produttivo aziendale e il rispetto della dignità dei lavoratori conformemente ai principi costituzionali (art. 41 Cost.) In questo scenario, la modifica integrale dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (art. 23 del decreto legislativo n. 151/2015), ha comportato non poche difficoltà interpretative/applicative dovute principalmente all’incessante crescita del progresso tecnologico e ai mutati tempi di lavoro (cfr. E. DAGNINO, Tecnologie e controlli a distanza, in DRI, n. 4/2015). In particolare viene eliminato il divieto generale previgente di controllo a distanza del lavoratore, prevedendo dunque la possibilità di impiegare impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi anche di controllo a distanza «esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale» (primo comma) previo accordo con il sindacato o autorizzazione amministrativa; nel secondo comma si statuisce, invece, che per quanto riguarda «gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa» non si applica la disposizione di cui al primo, svincolando così i controlli dal limiti relativi alla finalizzazione e dal necessario rispetto della procedura concertativo-autorizzativa. Il terzo comma, anch’esso innovativo, consente di utilizzare, tutti i dati e le informazioni raccolte tramite gli impianti e gli strumenti di controllo a distanza, per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, ma a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dalla normativa sulla privacy.

Si può dunque parlare di una maggiore liberalizzazione dei controlli con un conseguente aumento dell’autorità in capo al datore di lavoro?

 

Per quanto concerne invece la nuova disciplina dello jus variandi, il Legislatore – oltre all’abbandono del criterio dell’equivalenza quale limite di esigibilità delle mansioni – ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la facoltà per il datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento immediatamente inferiore (art. 2103 co. 2 c.c.), ancorando peraltro tale potere alla sussistenza di determinate – seppur generiche ed astratte – oggettive esigenze organizzative e produttive. In seconda battuta si è introdotta la facoltà per la contrattazione collettiva ed anche individuale di prevedere ulteriori ipotesi di legittimo demansionamento.

 

Nel corso del dibattito, si è evidenziato come tutto ciò abbia comportato, nei fatti, un progressivo superamento del grado di democraticità che lo Statuto del 1970 portò all’interno delle realtà produttive, con la conseguente (ri)affermazione dell’autorità del datore di lavoro.

 

Tuttavia, come sottolineato dallo stesso prof. Tursi, ciò è vero solo in parte. Nel suo complesso, la disciplina del licenziamento prevede ancora oggi ipotesi di reintegra (licenziamento nullo, discriminatorio). La disciplina dei controlli a distanza continua ad essere assistita da precisi limiti, e con la previsione di specifici accordi sindacali. La disciplina delle mansioni, pone invece una chiara sfida alla contrattazione collettiva. In altri termini – si è detto – “stiamo assistendo ad un ritorno dell’autorità nel rapporto di lavoro”.

 

Ci troviamo, infatti, di fronte a norme che possono essere giustificate da istanze che provengono direttamente dal mondo del lavoro, ed in particolare dalle esigenze di flessibilità interna al rapporto di lavoro (v. F. SEGHEZZI, Lavoro e relazioni industriali in Industry 4.0, in DRI, n. 1/2016) tipiche della “Grande trasformazione del lavoro” in atto.

 

Sostanzialmente, nell’adozione delle nuove discipline (licenziamenti, controlli, mansioni), il Legislatore del Jobs Act (v. M. DEL CONTE, Premesse e prospettive del Jobs Act, in DRI n. 4/2015) si è trovato a dover mediare fra due diverse tendenze: da un lato le esigenze di maggior flessibilità numerica e funzionale richieste dal mondo dell’impresa, secondo le best practices in tema di flexicurity, e dall’altro, ripensare il paradigma di tutela dei lavoratori, sui quali incombe il timore della possibile perdita del posto di lavoro, soprattutto di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie di produzione (v. M. TIRABOSCHI, Industry 4.0: rischi e opportunità sono nelle nostre mani).

 

In questo scenario è da non trascurare la centralità del ruolo della contrattazione collettiva, in particolare nella sua dimensione aziendale, che risultando più vicina agli interessi delle parti, meglio potrà valorizzare questo processo di continua riqualificazione del lavoro e del paradigma della sua regolazione.

Peraltro, attraverso un simile approccio – orientato al principio di sussidiarietà –, si rifugge dall’idea secondo cui l’adeguamento delle norme statutarie non possa che sfociare in un affievolimento delle tutele per il lavoratore ed in un minor grado di democraticità nei rapporti di lavoro.

 

Marco Menegotto

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@MarcoMenegotto

 

Idapaola Moscaritolo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@idapaola

 

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