Verso un ripensamento dei luoghi di lavoro come spazi di apprendimento: spunti e proposte da un recente rapporto CEDEFOP

Interventi ADAPT

| di Elisa Macario

Bollettino ADAPT 28 aprile 2025, n. 16

Oggi più che mai la formazione e lo sviluppo delle competenze dei lavoratori risultano essere fattori cruciali per ristabilire la competitività europea a livello globale. Non sorprende, quindi, la crescente attenzione dedicata alla formazione professionale continua (la c.d. Continuing Vocational Education and Training, CVET) da parte delle istituzioni comunitarie che – come si evince ad esempio dall’European Skills Agenda del 2020 – ne riconoscono l’importanza, ribadita anche nell’ambito del più recente Rapporto Draghi. L’esigenza di investire in politiche per lo sviluppo delle competenze dei lavoratori, inoltre, si rivela ancora più urgente se si considera l’impatto di tre fenomeni sociali contemporanei, quali il calo demografico – che sta portando ad una diminuzione delle coorti IVET (Initial VET); la dinamicità del mercato del lavoro – che richiede un continuo aggiornamento delle competenze dei lavoratori; il progresso tecnologico – che ha portato all’integrazione di piattaforme digitali nella quotidianità, e che dunque richiede un ripensamento dei metodi di insegnamento e apprendimento.

A tal proposito, risulta particolarmente interessante il contributo offerto da un recente studio condotto dal CEDEFOP (Towards organisations as learning workplaces. Moving beyond certified, institutionalised continuing vocational education and training) che, attraverso l’analisi di tre modelli di formazione continua individuati a livello europeo, fornisce spunti utili anche per il lettore italiano. Le diverse esperienze approfondite dal CEDEFOP, infatti, sono rilevanti poiché evidenziano la necessità di aprirsi a nuovi contesti formativi, superando i confini tradizionali della CVET: risulta pertanto essenziale innanzitutto ripensare i luoghi di lavoro come spazi di apprendimento, nonché sfruttare le potenzialità del mondo digitale.

Nello specifico, lo studio del CEDEFOP si è concentrato sull’osservazione di tre iniziative strategiche rivolte a settori diversi, ma tutte finalizzate al consolidamento delle competenze dei lavoratori dei seguenti Paesi: la Finlandia, la Spagna e l’Irlanda. Di seguito sono presentati i punti di forza e debolezza di ciascun modello.

Con la “Technology Industries Strategy 2021-30”, ideata dalle Technology Industries of Finland (TIF), la Finlandia si è posta l’obiettivo di agire – relativamente allo sviluppo delle competenze necessarie al settore tecnologico – sotto la guida di un’organizzazione industriale (la TIF, per l’appunto) dal 2021 al 2030, sulla base della consapevolezza del fatto che, senza un piano strategico, il settore in questione patirebbe l’assenza di una direzione precisa e, dunque, rischierebbe un’allocazione delle risorse inefficiente. L’efficacia di tale strategia è però innanzitutto connessa ad un fondamentale ripensamento del rapporto tra formazione e lavoro: a differenza della più tradizionale concezione, riflessa nell’impostazione istituzionale della CVET, che distingue nettamente la sfera della formazione da quella del lavoro, infatti, il modello finlandese non considera lo sviluppo delle competenze come un processo episodico e separato dall’attività lavorativa, ma come intrinseco ad essa. La strategia della TIF, pertanto, mette in luce la rilevanza della trasmissione tacita delle competenze e di come questa possa aver luogo solo se supportata da ambienti lavorativi appositamente adibiti alla coltivazione e allo sviluppo continuo delle competenze dei lavoratori, dove la conoscenza di nuovi strumenti e tecniche non sia mediata ma esperita direttamente, favorendo così l’emergere di innovazioni che permettano di tenere il passo dell’odierna accelerazione tecnologica.

L’approccio altamente contestualizzato del modello finlandese sopperisce dunque ad un grande limite della CVET “istituzionale” (ovvero, organizzata in specifici enti accreditati per l’erogazione di programmi per la formazione professionale), poiché dimostra che ogni impresa deve rispondere a sfide differenti, la cui specificità richiede percorsi di sviluppo ad hoc e non standardizzati; sfide alle quali la TIF riesce a far fronte anche grazie all’interdipendenza tra settore pubblico e privato, a una governance multilivello (aziendale, collettivo, di network), nonché al supporto dagli enti di rappresentanza industriale nella ricerca di opportunità.

Sul fronte spagnolo, invece, la “Construction Labour Foundation 2016-20” offre un esempio di piano strategico sviluppato da un’organizzazione istituzionale bilaterale, la Construction Labour Foundation (FLC), con il fine di supportare lo sviluppo sistematico delle competenze necessarie non solo ai dipendenti ma anche ai datori di lavoro del settore edile. In quanto basata sul partenariato sociale, la FLC riesce a coprire un più ampio spettro di obiettivi: l’equa rappresentanza degli interessi dei datori di lavoro e dei dipendenti, infatti, porta al raggiungimento di scopi strategici che, seppur diversi, risultano bilanciati – valorizzando al contempo risultati economici e sociali. Il modello spagnolo, tuttavia, si attiene alla visione tradizionale della relazione tra formazione e lavoro, che si riflette nel forte legame orizzontale tra il settore edile – relativamente alle sue esigenze in termini di competenze – e il sistema istituzionale di istruzione: i corsi di formazione promossi dalla FLC, infatti, sono stati strutturati sulla scia della CVET che abbiamo definito “istituzionale”, dunque erogati in centri di formazione che, seppur appositamente costruiti, perpetuano la dissociazione del processo di formazione dal contesto di lavoro. Ad ogni modo, l’impostazione definita e capillare della governance della FLC ne assicura la sua efficienza, poiché riesce a captare i bisogni di ogni impresa del settore, oltre a mantenere i contatti con le più piccole realtà locali grazie ad una forte rappresentanza regionale.

Il modello irlandese, infine, offre un esempio di approccio policy-driven allo sviluppo delle competenze: il “Green skills Approach for Construction”, infatti, consiste in una rete di iniziative e politiche pubbliche volte ad uno sviluppo comune al settore edile di competenze inerenti al tema della sostenibilità. A differenza dei precedenti casi, dunque, essendo guidata da istituzioni pubbliche, la strategia irlandese persegue obiettivi limitati e ben definiti che, seppur facilmente misurabili poiché circoscritti, trascurano le eventuali ulteriori esigenze del settore. Infatti, l’approccio top-down del modello irlandese, che si traduce in un forte legame verticale con le istituzioni, si propone di rispondere alle esigenze immediate del settore interessato attraverso percorsi istituzionali di aggiornamento e riqualificazione delle competenze dei lavoratori, ma rimane in linea con l’obiettivo politico della sostenibilità e non con l’intento di indurre una trasformazione dell’intero settore. Nonostante ciò, il modello irlandese dimostra la possibilità di creare una governance ibrida, dove alla leadership delle istituzioni pubbliche viene integrata la consultazione delle industrie.

Come precedentemente accennato, dunque, i tre casi-studio approfonditi dal CEDEFOP e qui brevemente riportati offrono spunti utili per il lettore italiano, in particolare in relazione ad una difficoltà comune a molte realtà presenti nel panorama nazionale: il fatto che le piccole-medie imprese (PMI) mancano frequentemente di conoscenze, tempo e risorse per potersi impegnare nello sviluppo sistematico delle competenze del proprio personale. Sulla base di quanto sin qui messo in luce, infatti, si apprendere innanzitutto l’importanza di promuovere approcci settoriali e altamente contestualizzati, rivolti alle specifiche esigenze di ogni impresa; si evince inoltre che una formazione più accessibile e flessibile, basata sulle necessità dei lavoratori di ciascuna PMI, incentiverebbe la partecipazione ai programmi di formazione, così come la creazione di aggregazioni regionali di PMI dello stesso settore permetterebbe di rispondere collettivamente alla domanda di competenze, riducendo i costi; infine, emerge il ruolo centrale della bilateralità – soprattutto a livello territoriale – per l’analisi dei fabbisogni di ogni impresa e l’erogazione della formazione.

Affinché lo sviluppo delle competenze venga concepito come una responsabilità fondamentale delle stesse imprese, infatti, le aziende sono chiamate a rispondere a molteplici esigenze – come la creazione di ambienti in cui i dipendenti possano coltivare continuativamente la propria formazione e generare nuove skills – per le quali necessitano di un supporto sistematico e dunque di una governance basata su solide relazioni: a tal proposito, oltre alle reti regionali e agli specialisti della formazione continua, le parti sociali giocano un ruolo fondamentale nel supportare le imprese verso uno sviluppo sistematico e integrato delle competenze.

Pertanto, a fronte di un contesto italiano particolarmente caratterizzato da PMI che, oltre alle differenze dimensionali, devono affrontare grandi disparità territoriali e sopperire ad una carente cultura della formazione continua, la necessità di costruire ponti tra contesti istituzionali e aziende risulta ancora più urgente affinché anche la formazione appresa sul posto di lavoro venga riconosciuta e accreditata, oppure resa accessibile laddove l’impresa non abbia la possibilità di rispondere a tale esigenza da sola. Sono quindi necessarie nuove politiche industriali per lo sviluppo di sistemi di apprendimento sistematici e integrati che siano complementari al contributo apportato dalla CVET “istituzionale”, e che dunque promuovano il ripensamento dei luoghi di lavoro in spazi di apprendimento. È bene ribadire, però, che un simile cambiamento potrà essere innescato solamente attraverso il superamento del paradigma separazionista della relazione formazione-lavoro riflesso nell’odierna impostazione della CVET, il cui valore non vuole essere sostituito dalla formazione sul posto di lavoro, bensì integrato ad essa per massimizzarne l’impatto.

Elisa Macario

ADAPT Junior Fellow

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