Uno sguardo alle politiche attive in Germania: tra similitudini e dissonanze

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La XI Commissione Permanente della Camera dei Deputati ha recentemente svolto una missione di studio in Germania inerente ai servizi per l’impiego e alle politiche attive per il lavoro. Lo sguardo italiano volto verso il sistema di politiche attive tedesco cerca ispirazione su come implementare un’efficace rete per i servizi per l’impiego all’interno di uno Stato multilivello, dove le competenze in materia di politiche attive sono ripartite tra l’organo centrale e quelli periferici.

 

La relazione della XI Commissione Permanente (lavoro pubblico e privato) Sulla missione di studio sui temi relativi ai servizi per l’impiego e alle politiche attive per il lavoro, svolta a Berlino nei giorni 25 e 26 settembre 2017”, presenta interessanti spunti per la comparazione tra Italia e Germania, ma non affronta il nodo della ripartizione delle competenze costituzionali.

 

Il testo pare infatti presuppore che il sistema costituzionale tedesco abbia i medesimi principi di quello italiano in materia di legislazione concorrente. Tale nodo invece è cruciale soprattutto in ottica di una valutazione sulle possibilità di trarre insegnamento dal sistema tedesco. La Germania è uno stato federale, composto quindi dalla Federazione e i singoli stati (Länder), nel quale le competenze statali si intrecciano con quelle dei Länder.

 

Ciò che rileva nel nostro contesto sono i principi che regolano le materie di competenza concorrente. In tali materie di competenza concorrente rientra anche il “diritto del lavoro, l’ordinamento dell’impresa, la protezione del lavoro e il collocamento dei lavoratori, nonché le assicurazioni sociali, compresa l’assicurazione contro la disoccupazione” (Art 74, comma 1, lettera 12 della Costituzione tedesca, Grundgesetz).

 

Le politiche attive del lavoro rientrano in tale categoria. Sebbene anche in Italia esista la categoria della legislazione concorrente (nella quale ugualmente rientrano le politiche attive), esistono sostanziali differenze: nel sistema italiano lo Stato legifera dettando principi lasciando la legislazione di dettaglio alle Regioni (questa impostazione è simile alle competenze quadro previste all’art 75 della costituzione tedesca abrogato nel 2006) oppure in caso di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (ex art 117, comma 2 lettera m, Costituzione). 

 

Al contrario, nel sistema tedesco la competenza Federale o dei Länder è alternativa: “i Länder hanno il potere di legiferare solo fino a quando e nella misura in cui la Federazione non eserciti nei modi previsti dalla legge la propria competenza legislativa” (Art 72, comma 1 Grundgesetz). La riforma costituzionale del 2006 ha permesso che alcune delle materie concorrenti, tra cui rientrano quelle elencate alla lettera 12 comma 1 dell’art 74, fossero esonerate dalla clausola di necessità, ovvero la clausola per la quale la Federazione legifera in materia concorrente solo in caso di necessità per l’uniformità delle condizioni di vita nel territorio federale o la tutela dell’unità giuridica o economica nell’interesse dello Stato, clausola sottoposta al vaglio della corte costituzionale tedesca.

 

Ciò significa che in tale materie la Federazione legifera, senza bisogno di alcuna clausola di necessità e quindi senza subire alcun vaglio della corte costituzionale, ovvero con alta discrezionalità. Tale accentramento è però stemperato dalla possibilità da parte dei Länder di influenzare l’iter legislativo attraverso la camera di rappresentanza a loro dedicata, il Bundesrat, un sistema non troppo dissimile da quello che si sarebbe configurato con la riforma costituzionale bocciata al referendum dello scorso dicembre.

 

Con il fallimento del referendum si è cercato di ricreare simili condizioni tramite l’accordo quadro in sede di Conferenza tra Stato e Regioni e tramite e le singole convenzioni Stato-Regione. L’accordo quadro non ha però un chiaro valore normativo e sicuramente non può invadere le competenze concorrenti regionali, sebbene possa eventualmente raggiungere tale obiettivo a mero livello politico.

 

Tale differenza di fondo influenza l’intero sistema tedesco che attualmente gode di maggiore stabilità decisionale a livello centrale, nonostante l’implementazione sia efficacemente condivisa con i Länder. Il sistema tedesco è guidata dalla BA (Bundesagentur für Arbeit), un‘agenzia federale sotto il controllo e la vigilanza del Ministero. Questa è paragonabile all’Anpal, sebbene il suo obiettivo, la sua organizzazione e le sue risorse siano indubbiamente più estesi di quelle della controparte italica (ad esempio nella BA opera una università interna, un sistema duale di apprendistato, una scuola tecnica superiore e una scuola per manager). Essa è poi suddivisa in 10 sedi regionali che gestiscono l’implementazione delle politiche nazionali a livello dei Länder. La BA gestisce 156 agenzie per il lavoro, con 647 filiali sul territorio. A questi si affiancano i Job Centers, di cui 303 sono gestiti assieme alle municipalità mentre altri 105 sono gestiti direttamente dalle municipalità (Optionskommunen).

 

Le agenzie del lavoro gestiscono ed erogano l’indennità di disoccupazione, mentre i Job Center si occupano della gestione ed erogazione dell’assegno di sostegno al reddito. La prima misura è destinata ai disoccupati “standard” (chi ha lavorato almeno 12 mesi negli ultimi 3 anni) mentre la seconda si rivolge alle persone più ai margini della società e del mercato del lavoro, ovvero persone abili al lavoro ma con soglie di reddito insufficienti e disoccupati di lunga durata.

 

Ciò che accomuna le due misure è la strategia di attivazione che si concretizza nei patti per l’indennità di disoccupazione e per il sostegno al reddito. Entrambe le misure prevedono come condizione necessaria all’erogazione l’accettazione del percorso per re-inserire il soggetto nel mercato del lavoro, con conseguenti sanzioni in caso di mancato adempimento. Anche qui è inevitabile il paragone con il patto di servizio personalizzato per la NASPI (ex art. 20 D.Lgs 150/2015) e il progetto personalizzato nel REL (ex dall’art 6 del D.Lgs 147/2017).

 

Il rapporto evidenzia anche una fragilità del sistema tedesco, ovvero il cosiddetto effetto creaming, la selezione da parte dei servizi per l’impiego dei disoccupati maggiormente ricollocabili (quindi con un sicuro ritorno sull’investimento) emarginando ai servizi assistenziali i rimanenti. Tale effetto si è particolarmente manifestato successivamente alla riforma Hartz IV che ha in pratica uniformato le misure per i disoccupati di lunga durata e quelle di sostegno al reddito, facendole entrambe confluire nel sistema di assistenza sociale. Come evidenziato dal rapporto, tale approccio è molto simile al REL italiano che ha sostituito sia la ASDI che il SIA.

 

Nella pratica il sistema italiano rischia molto la medesima problematica, in quanto il sistema più rafforzato di politica attiva (almeno sulla carta), ovvero l’assegno di ricollocazione, è attivabile solamente dai beneficiari di NASPI da almeno 4 mesi, escludendo quindi la platea di persone che non arrivano ai requisiti per la NASPI. Tali persone possono accedere eventualmente al reddito di inclusione, che prevede anche misure di politica attiva, ma resta un servizio di minor forza rispetto all’assegno di ricollocazione (su tutte l’assegno gode di un tutor specifico, mentre il progetto personalizzato ha una vaga persona di riferimento).

Ciò che si può ricavare da questo sguardo al sistema tedesco è la sua innegabile assonanza con quello italiano, sebbene l’assetto politico-istituzionale tedesco, sul quale si basa l’intera rete dei servizi per il lavoro, sia decisamente più chiaro, con uno Stato che non ha alcun problema di sovrapposizione di competenze regionali e statali, un sistema informativo comune e una chiara gestione delle unità territoriali.

 

Come lo stesso report sottolinea, il sistema italiano è completamente agli arbori, nonostante siano ormai passati due anni dalla riforma. Tale ritardo è dovuto allo spostamento dell’amministrazione dei centri per l’impiego dalle province alle regioni tramite la legge 56/2014 (cd. Del Rio), al mancato risultato referendario, alle risorse limitate ed in generale ad una scarsa cultura dell’attivazione e di buoni servizi dell’impiego nel nostro paese. Il recente Disegno di Legge di Bilancio, attualmente sotto analisi del Senato, provvede finalmente al passaggio del personale dei centri per l’impiego dalle Città Metropolitane e Province, alle Regioni (art 68, commi 17-18), fornendo un quadro di governance amministrativa più chiaro a livello territoriale, seppure con 3 anni di ritardo dalla entrata in vigore della legge Del Rio.

 

Il sistema pare al momento avere ancora molti nodi critici da sciogliere, con il sistema informativo unitario che resta tutt’ora lettera morta, il fallimento della sperimentazione dell’assegno di ricollocazione e una governance tra Stato e Regioni ancora non chiara.  Proprio nel fallimento della sperimentazione dell’assegno di ricollocazione si deve guardare il maggiore ostacolo da superare: la mancanza di fiducia dei cittadini nei servizi per l’impiego. Tale sfiducia è sottolineata dai dati Eurostat (riportati nella relazione) che evidenziano che l’84% dei disoccupati si rivolge ai canali informali, mentre solo il 25% contatta un centro per l’impiego (in Germania è il 75%).  Come risposta a questa sfiducia è stato indicato l’obbligo immediato di accettazione della misura (P. Ichino), oppure l’utilizzo di una massiccia campagna di informazione che tranquillizzi i cittadini sulla definizione di “offerta di lavoro congrua” ex art 25 D.Lgs 150/2015 (il Presidente dell’ANPAL, M. Del Conte).

 

Sicuramente è importante informare i cittadini sul nuovo sistema, ma per farlo al meglio sarebbe utile sapere le motivazioni del rifiuto (o dell’accettazione), utilizzando lo stesso pool di persone selezionate per la sperimentazione. Da qui poi partire per instaurare il dialogo tra i disoccupati e la rete dei servizi per l’impiego, un dialogo che fino ad oggi si è spesso tradotto meramente nel riconoscimento della disoccupazione (mentre l’erogazione è a carico dell’INPS). In merito all’assegno di ricollocazione è da segnalare la novità che il Disegno di Legge di Bilancio intende inserire: la possibilità per il lavoratore di chiedere in anticipo l’assegno di ricollocazione, con sgravi sia per il datore di lavoro che per il lavoratore. Questa norma ha il grosso pregio di anticipare la disoccupazione in modo da accompagnare al meglio la transizione, seppure il suo scopo sia limitato e ovviamente non risolva l’impasse creatosi nella sperimentazione, che necessiterà ulteriori misure.

 

A livello di sistema è necessario uniformare maggiormente la situazione nazionale implementando il sistema informativo unitario che permetta un dialogo tra le diverse Regioni e lo Stato, anche nel caso le prime siano organizzate con propri criteri.

 

Sicuramente la riforma ha migliorato la situazione previgente, resta però ancora molto da conseguire in un cammino che si preannuncia lungo.

 

Tommaso Grossi

ADAPT Phd Fellow

@TommasoGrossi1

 

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