Una riflessione generale sulle “premialità di parità” e sulle modifiche del codice della pari opportunità

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Bollettino ADAPT 12 dicembre 2022, n. 43
 
Con pubblicazione in GU n.285 del 6 dicembre 2022 del D.I. 20 ottobre 2022 sono state avviate le procedure per la fruizione, da parte delle imprese certificate per la parità di genere ai sensi dell’art.46-bis del D.lgs. n. 198 del 11 aprile 2006, delle agevolazioni previste dall’art.5 della Legge n.162 del 5 novembre 2021. Si tratta di un esonero contributivo spettante nella misura del 1% del versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nel limite massimo di 50.000 euro per azienda e di 50.000.000 di euro complessivi. Al fine di favorire il più ampio accesso all’esonero contributivo, per il quale comunque si attendono ancora le indicazioni operative dell’INPS, l’art.3 del D.I. 20 ottobre 2022 ha peraltro precisato che qualora le risorse “risultino insufficienti in relazione al numero di domande complessivamente ammissibili, il beneficio riconosciuto è proporzionalmente ridotto”. È inoltre previsto un ulteriore proporzionamento in relazione alle mensilità di validità della certificazione della parità di genere.
 
A fronte di questi limiti, un elemento di rilievo, introdotto dalla decretazione, sembra essere la formalizzazione dell’estensione dell’agevolazione per le annualità successive al 2022. L’art.6, in relazione alla “copertura finanziaria” della misura agevolativa, ha infatti precisato che a decorrere dall’anno 2023 l’esonero contributivo graverà sul “Fondo per il sostegno della parità salariale di genere”, sempre nel limite di 50 mln di euro annui. Si tratta di una precisazione importante, in quanto l’art.5 comma 1 della Legge n.162 si limitava a prevedere uno stanziamento solo “per l’anno 2022”, peraltro difficilmente fruibile atteso che i “parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere”, riferiti alla prassi UNI/PdR 125:2022, sono stati pubblicati solo sulla G.U. n.152 del 1° luglio 2022 e prevedono una procedura aziendale piuttosto complessa, articolata in sei aree di intervento. Il raggiungimento dei risultati utili per la certificazione è quindi possibile solo al termine di un processo di adeguamento della gestione aziendale ai principi della parità di genere piuttosto prolungato. Altre agevolazioni indirette sono poi previste dall’art.5 comma 3 della Legge n.162 del 5 novembre 2021, con il riconoscimento di “un punteggio premiale per   la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi   europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini   della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti”. Criteri premiali sono infine previsti, dal medesimo comma nonché dall’art.47 del D.L. n.77 del 31 maggio 2021, per la partecipazione ad appalti pubblici da parte delle imprese titolari della certificazione della parità di genere.
 
Complessivamente quindi le richiamate disposizioni dovrebbero consentire, quando definitivamente a regime, uno stimolo all’adozione di politiche aziendali orientate alla promozione delle pari opportunità sui luoghi di lavoro, in particolare negli aspetti dell’inclusione lavorativa, della crescita professionale, della parità remunerativa, della tutela della genitorialità e della conciliazione vita-lavoro, monitorate nel processo di certificazione. Si tratta tuttavia di agevolazioni che, per limiti economici e impostazione, risultano d’interesse principalmente per le imprese con alta incidenza del costo del lavoro, dimensioni piccole-medie, interessate alla partecipazione a gare di appalto promosse dalla pubblica amministrazione, che possono avvantaggiarsi in misura proporzionalmente significativa dell’esonero contributivo e fruire dei punteggi premiali. A fronte di un intervento promozionale di per sé rilevante ma di applicazione circoscritta, oggettivamente poco utile per ampie fasce di datori di lavoro, le modifiche introdotte dagli artt.2 e 3 della Legge n.162 del 5 novembre 2021 all’art.25 del c.d. codice delle pari opportunità, di cui al D.lgs. n.198 del 11 aprile 2006, per quanto attiene il contrasto sanzionatorio alla discriminazione diretta e indiretta e la compilazione/trasmissione del rapporto biennale sulla situazione del personale, hanno invece estensione applicativa ed implicazioni molto più trasversali. Gli effetti di tali modifiche, allo stato non ancora valutabili con precisione, sembrano peraltro condizionate da alcune criticità.
 
Il monitoraggio interno imposto con la revisione dei contenuti del rapporto biennale, ora particolarmente dettagliato e riferito a molteplici aspetti della gestione del personale, si combina infatti con una nozione di discriminazione di genere, dovuta alla revisione del dettato dell’art.25 del codice, divenuta estremamente ampia. Sono ora identificati e sanzionati anche gli atti e comportamenti afferenti “le candidate ed i candidati in fase di selezione del personale”, nonché le situazioni di svantaggio derivanti da disposizioni criteri, prassi, atti patti o comportamenti anche “di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro”. E’ poi considerata la discriminazione potenziale, prospettica e circostanziata al contesto, in quanto è sanzionato “ogni trattamento o modifica delle condizioni e dei tempi di lavoro” che, in ragione di molteplici elementi; soggettivi, “pone o può porre” il lavoratore “in svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori”, limitarne le “opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali” nonché determinare “limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione di carriera”. Tutti aspetti certamente importanti, per affrontare il tema delle pari opportunità con approccio omnicomprensivo, ma forse difficilmente gestibili in concreto. Si consideri poi che l’art.40 del codice già aveva precisato, in relazione alla precedente e più circoscritta nozione di discriminazione, che l’onere della prova dell’assenza di situazioni illecite, in caso di contenzioso grava sul datore di lavoro convenuto in giudizio, precisando che a fronte di elementi di fatto di carattere anche meramente statistico relativi alla gestione del personale, ora desumibili agevolmente dal rapporto periodico biennale, si impone  la presunzione di responsabilità. La criticità è data dalla circostanza che molti dei fattori di possibile discriminazione, riferibili alla nuova ed ampliata nozione riportata dall’art.25 del codice, sembrano poco accertabili in concreto. Ad esempio è difficile apprezzare l’incidenza di una scelta organizzativa concernente i tempi di lavoro, disposta a seguito di una modifica del regime di produzione, sulle effettive prospettive di crescita professionale e retributiva correlate al genere dei lavoratori coinvolti. La remissione a dati statistici ed a conseguenti presunzioni di responsabilità, a carico del datore di lavoro, non sembra il metodo più efficace per distinguere atti o comportamenti realmente discriminatori da soluzioni dovute a semplici necessità gestionali.
 
Sostanzialmente quindi, seppure con l’avvenuta introduzione di alcune formule agevolative di carattere promozionale, d’interesse per una parte delle imprese, l’approccio legislativo perseguito anche dagli ultimi interventi riformatori, concernenti l’ampio tema delle pari opportunità, sembra ancora condizionato da un intendimento principalmente sanzionatorio, in relazione tuttavia a dinamiche spesso difficilmente accertabili. Il rischio di sostanziali iniquità operative, se in sede giudiziaria dovessero introdursi orientamenti particolarmente rigidi nell’applicare gli elementi contemplati dall’attuale normativa, potrebbe essere alto e deve forse indurre a una riflessione generale. La parità di genere, quando riferita ad aspetti gestionali di minore evidenza rispetto ad effettivi ed evidenti atti discriminatori, potrebbe forse avvantaggiarsi maggiormente di una efficace e trasversale disciplina promozionale, che attualmente non sembra ancora rappresentare la principale linea di intervento perseguita dagli interventi legislativi.
 
Stefano Malandrini

Confindustria Bergamo

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