Un quarto di secolo…  

La ricorrenza odierna, in parte sottaciuta dai media, segna una meta importante non solo per tutti i soggetti di minore età, bensì per l’intera comunità umana. Risale infatti al 20 novembre del 1989 l’approvazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC) che, ad oggi, è il trattato internazionale in tema di diritti umani ad aver ottenuto il maggior numero di Ratifiche. La Magna Charta dei diritti di ogni bambino, indipendentemente dal sesso, dalla religione, dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, culturale o etnica è il risultato di un lungo iter, iniziato nel 1978 ad opera della Polonia a margine della trentacinquesima sessione della Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite.

 

La tutela dei minori, nonché la promozione dei loro legittimi interessi rappresenta, in particolare dal secolo scorso, una delle grandi sfide che la società contemporanea rivolge non solo alla regolazione giuridica dei singoli Stati ma a tutti gli interventi della sfera pubblica, sebbene i risultati non siano sempre soddisfacenti. Infatti, a nessuno può sfuggire come nel contesto occidentale in cui viviamo, seppur con apparenti segni di benessere rispetto ad altre realtà sociali e culturali non distanti da noi, assistiamo quotidianamente a gravi ed allarmanti contraddizioni sull’infanzia. Troppo spesso da tappa spensierata e gioiosa della vita si trasforma, per l’egoismo di noi adulti, in una tappa triste e buia all’interno della quale lo sconforto trova, purtroppo ed inevitabilmente, il sopravvento.

 

A tutti è noto come nelle nostre città, piccole o grandi che siano, esistono molti, anzi troppi, bambini abbandonati non tanto all’interno di comunità o case – famiglia quanto nelle loro stesse famiglie; molti bambini abusati non solo sul piano fisico ma anche sul piano psicologico anche attraverso quella terribile, e sempre crescente, forma di violenza che è costituita dalla trascuratezza; molti bambini manipolati non solo dalla famiglia o da noi adulti ma anche da parte di istituzioni che impongono loro false identità; molti bambini dimenticati e indifesi perché i loro diritti fondamentali sono misconosciuti da agenzie educative che li emarginano, da servizi pubblici poco attivi e da famiglie spesso affettivamente assenti o pedagogicamente insufficienti; molti bambini invisibili: i migranti e i minori non accompagnati la cui infanzia è irriconoscibile e ferita quotidianamente, bambini a volte tollerati ma quasi mai veramente accettati e integrati; molti bambini a cui è stata negata l’infanzia perché troppo presto oberati da responsabilità che pesano come un macigno sulla loro vulnerabile età; molti bambini diversamente abili che nascono e crescono all’interno di famiglie spesso lasciate sole e che, con estrema fatica, vivono il senso di appartenenza con nuclei familiari che condividono con loro lo stesso percorso: età dei bambini, frequenza della stessa scuola, dello stesso quartiere, della stessa comunità religiosa, delle stesse realtà ludiche e sociali.

 

A tale proposito è indubbio che le solenni Dichiarazioni internazionali del secolo scorso abbiano contribuito a limitare alcune di queste contraddizioni sull’infanzia riconoscendo ai fanciulli una particolare titolarità di diritti e di interessi, in considerazione della loro peculiare condizione di soggetti in formazione.

 

Il merito di aver intrapreso, in ambito sovranazionale, un impegno per la tutela dei più piccoli risale alla più antica delle organizzazioni internazionali esistenti, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), che già dal momento della sua costituzione nel 1919, aprì alla Ratifica degli Stati la Convenzione n. 5 che fissava a quattordici anni l’età minima di accesso al lavoro industriale da parte dei bambini, salve deroghe alquanto restrittive presenti nella medesima Convenzione; tale età fu, successivamente, innalzata a quindici anni, così come espressamente previsto nella Convenzione n. 59 del 1939. L’impegno profuso con tenacia negli anni, da parte dell’ILO, trova altresì un particolare punto di approdo nella Convenzione n. 182 del 1999 finalizzata ad abolire le peggiori forme di sfruttamento lavorativo a danno di un minore, ivi comprese le attività illecite e il reclutamento di minorenni per i conflitti armati. Accanto alla tutela lavorativa dei soggetti più vulnerabili la normativa internazionale ha compiuto ulteriori e significativi, sebbene limitati, progressi: si pensi, ad esempio, dapprima alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo di Ginevra del 1924 che sanciva, per la prima volta, alcuni diritti fondamentali da garantire al minore in vista di una sua armonica crescita, fino ad approdare alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata anch’essa all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di New York nel 1959. Entrambe le Dichiarazioni, per loro stessa natura, si caratterizzavano per un valore meramente programmatico, essendo prive di efficacia giuridica vincolante per gli Stati. Ma sono stati proprio i principi sanciti nei due trattati internazionali sopra citati, pur non essendo esigibili nei singoli ordinamenti, a rendere concreti alcuni valori insiti nei diversi sistemi giuridici contribuendo, così, ad un graduale riconoscimento verso i diritti dei minori.

 

L’evoluzione fin qui delineata e la lunga strada percorsa, dalla normativa in analisi, ha contribuito a “preparare il terreno” per la stipulazione di accordi internazionali aventi efficacia vincolante per gli Stati, come la già citata Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo di New York del 1989, di cui celebriamo oggi i venticinque anni, che raccoglie, in forma unitaria, i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali che si devono riconoscere ad un soggetto età evolutiva. Il principio generale, canone interpretativo di tutti gli istituti giuridici a tutela di un fanciullo, viene quindi a coincidere con l’interesse superiore del fanciullo, di cui l’art. 3 della CRC fa esplicito richiamo: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

 

Appare evidente, dalla chiara formulazione dell’art. 3, che il criterio del preminente interesse risulti indirizzato a regolare in particolare tutte quelle situazioni giuridiche in cui gli interessi del fanciullo si contrappongono con gli interessi di altri soggetti e, segnatamente, dei suoi genitori o di coloro che esercitano responsabilità genitoriali; conseguenza immediata è quindi il riconoscimento al minore di uno status autonomo ed indipendente rispetto a quello degli adulti nonché di un impegno, da parte degli Stati, di assumere l’obbligo di far rispettare a tutti i diritti sanciti. Per la prima volta si pone l’accento sulla necessità di favorire lo sviluppo armonico della personalità del minore dotato di legittime aspirazioni, potenzialità e naturali inclinazioni che dovranno essere rispettate dagli adulti e dalla comunità sociale.

 

In questa prospettiva emerge un palese richiamo affinché ogni adulto si impegni a contribuire non solo alla crescita del minore ma, in particolare, alla sua realizzazione personale limitandone ansie, paure e incertezze in modo da rendere meno difficile un suo maturo e responsabile inserimento nella società.

 

Fiducia, sicurezza e disponibilità vengono ad essere prerogative fondamentali da garantire ad ogni bambino, prerogative che lo aiuteranno ad una solida costruzione del suo destino non solo come uomo, bensì come responsabile cittadino in grado di rispondere alle molteplici ed impegnative sfide che si troverà a dover fronteggiare nel corso della sua esistenza.

 

Garantire, quindi, la protezione e l’effettiva tutela dei diritti e degli interessi di coloro che si affacciano alla vita costituisce, ora più che mai, una priorità assoluta su cui nessun essere umano può sentirsi esonerato. Solo abbracciando questa impegnativa sfida si trasferirà da un piano teorico ad uno pratico ciò che la normativa internazionale prevede. Il dovere per noi adulti di riconoscere un primato giuridico e morale agli interessi legittimi dei minori non deriverà, in ultima analisi, da una “metafisica dell’innocenza”, cioè dal considerare i fanciulli come soggetti costitutivamente deboli, bensì dall’interpretare la loro debolezza ed innocenza come un esplicito dovere da parte di chiunque si trovi ad operare con loro predisponendo, adeguatamente, le dinamiche relazionali che li coinvolgono evitando, così, di soffocare per sempre i loro legittimi interessi.

 

Un quarto di secolo è passato. Non attendiamo altri venticinque anni per contribuire alla piena e reale attuazione di ciò che dopo molti anni è stato loro riconosciuto. La posta in gioco non è il nostro bene, ma il bene presente e futuro dell’umanità.

 

Michele Riondino

Pontificia Università Lateranense – Roma

Università LUMSA – Roma

@RiondinoMichele

 

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Un quarto di secolo…  
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