Un mondo del lavoro in trasformazione. Appunti di viaggio sulle forme di lavoro senza contratto/4 – Un fenomeno che non sbiadisce mai: il lavoro nero

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Bollettino ADAPT 7 dicembre 2020, n. 45

 

Il perimetro

 

Il lavoro nero (o sommerso) può essere definito, legalmente, come “l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria” ex art. 3 comma 3 decreto-legge 22 febbraio 2002 n. 12 convertito in legge 23 aprile 2002 n. 73.

 

Ad oggi, affinché si configuri un rapporto di lavoro sommerso, dirimente è l’assenza della comunicazione obbligatoria preventiva (ad eccezione di casi particolari come per i rapporti di lavoro con le agenzie di somministrazione) salvo che “dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione”, da parte del datore di lavoro. In buona sostanza, i lavoratori che sono sconosciuti alla Pubblica Amministrazione durante la resa della prestazione lavorativa, in base ad un comportamento omissivo e commissivo del datore di lavoro (si vedano Cass. n. 27002/2018 e Cass. n. 173/2020), sono considerati lavoratori in nero.

 

La portata di questo illecito è imponente. Più rami del nostro ordinamento ne vengono colpiti: si parla di una spirale di violazioni che tocca norme di rango costituzionale (ad esempio il mancato rispetto degli artt. 36 e 38), norme di puro diritto del lavoro, norme di diritto sindacale, di legislazione sociale e in ultimo, non per importanza, norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

 

Al di là delle importanti considerazioni etiche, e delle rilevanti conseguenze sociali, questo fenomeno scatena una serie di conseguenze lavoristiche, di cui si approfondisce di seguito.

 

Sanzioni, conseguenze e risarcimenti

 

Non vi è dubbio che il nostro ordinamento miri all’emersione del rapporto di lavoro sommerso per i motivi già citati. La stessa solitamente avviene tramite:

– Ispezione in azienda con conseguente riconoscimento di lavoro sommerso da parte degli organi ispettivi;

– Denuncia del lavoratore.

Queste circostanze possono portare ad un corollario di conseguenze e sanzioni, che debbono essere analizzate nelle loro molteplici sfaccettature e, in particolare, da due punti di vista principali: quello del datore di lavoro e quello del lavoratore.

 

Vagliando la posizione del datore di lavoro si può affermare lo stesso possa dover fronteggiare:

  • Sanzioni (di tipo amministrativo pecuniario come la Maxi-sanzione per lavoro nero ex 22 del D.Lgs. n. 151/2015 e s.m.i., e/o sanzioni di altro tipo);
  • Conseguenze e provvedimenti di tipo gestionale-lavorativo, come le sospensioni ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs 81/2008;
  • Eventuali risarcimenti del danno (ad esempio nei confronti del lavoratore per retribuzioni, e differenze retributive, pregresse non erogate);
  • Conseguenze di tipo operativo che coinvolgono, solitamente, l’intermediario professionista o chi gestisce operativamente gli adempimenti relativi al personale. Le stesse possono essere suddivise in:
  1. Dirette, ovvero quelle che rendono necessarie delle operazioni volte a sanare direttamente la posizione lavorativa irregolare, tra cui, a titolo esemplificativo, l’invio della Cob (Modello Unificato Lav) e l’invio del modello Uniemens (e pagamento dei contributi) per i mesi arretrati;
  2. Indirette, ossia quelle che scaturiscono dalla modifica del numero di dipendenti occupati presso il datore di lavoro e che rendono necessaria una nuova valutazione degli obblighi cui lo stesso è soggetto. A titolo esemplificativo gli obblighi derivanti da L. 68/99 (Assunzioni obbligatorie per categorie protette).

Il quadro normativo di riferimento è complesso.

La sanzione principale è la cosiddetta “maxi-sanzione” per lavoro nero (non prevista per rapporti di lavoro domestico): l’art. 22 del D.Lgs. n. 151/2015 ha novellato quanto inizialmente previsto, e più volte modificato, dall’art. 3, co. 3, DL n. 12/2002, conv. L. n. 73/2002, stabilendo tre diversi range di sanzione, sulla base della durata del rapporto di lavoro irregolare:

– Fino a 30 giorni di prestazione di lavoro in nero è prevista una sanzione da 1.500 € a 9.000 €;

– Da 31 a 60 giorni di prestazione di lavoro in nero è prevista una sanzione da 3.000 € a 18.000 €;

– Oltre 60 giorni di prestazione di lavoro in nero è prevista una sanzione da 6.000 € a 36.000 €.

 

Con la Legge di bilancio 2019 (art. 1, co. 445 lett. d) della Legge n. 145/2018), è stato previsto un aumento delle sanzioni del 20%, attivo dal 1° gennaio 2019 per condotte che si realizzano a partire dal 2019 (la collocazione temporale di condotte a carattere permanente va individuata nel momento in cui cessa la condotta stessa, sul punto si veda la circolare INL n. 2 del 14 gennaio 2019), con l’aumento delle sanzioni nella misura seguente:

  • da 1.800 € ed a 10.800 € per il primo range;
  • da 3.600 € a 21.600 € per il secondo;
  • da 7.200 € a 43.200 € per il terzo.

La legge di bilancio 2019 ha inoltre inasprito le sanzioni in presenza di recidiva, prevedendo che vi sia un raddoppio della sanzione in caso di medesimo comportamento già sanzionato, con sanzioni civili o penali definitive, nei tre anni precedenti (si veda Art. 1 comma 445 lett. e) della Legge di Bilancio 2019 e, per ulteriori dettagli, Note INL n. 1148 del 5 febbraio 2019 e n. 2594 del 14 marzo 2019).

 

La maxi-sanzione, si specifica, non si applica nei seguenti casi:

  • quando dagli adempimenti in precedenza assolti dal datore di lavoro risulti la volontà di non occultare il rapporto (anche nel caso di errata qualificazione del rapporto);
  • quando il datore di lavoro, prima dell’ispezione, dell’accertamento o di un’eventuale convocazione per un tentativo di conciliazione, abbia regolarizzato spontaneamente il rapporto inizialmente privo della comunicazione obbligatoria preventiva.

Si chiarisce, inoltre, che è possibile ricorrere alla diffida obbligatoria ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 (non applicabile per le ipotesi di lavoro sommerso di lavoratori stranieri irregolari e di minori non in età da lavoro) che consente di ottenere la sanzione minima di cui sopra, a fronte di una regolarizzazione del rapporto di lavoro per almeno tre mesi (che decorrono dalla data dell’accesso ispettivo) che avvenga tramite la stipula di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche part-time (non inferiore al 50% dell’orario a tempo pieno), o con contratto a termine di durata non inferiore a tre mesi (la prova della avvenuta regolarizzazione e del pagamento delle sanzioni e dei contributi e premi previsti deve essere fornita entro il termine di 120 giorni dalla notifica del relativo verbale).

 

In aggiunta alla mera sanzione pecuniaria, può trovare applicazione quanto previsto all’art. 14 del D.Lgs 81/2008, ovvero la sospensione dell’attività imprenditoriale (per singola unità produttiva) disposta quando durante l’attività ispettiva siano trovati lavoratori in nero per una percentuale pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro. Per dovere di chiarezza si specifica che il provvedimento è annullabile o revocabile a particolari condizioni.

 

Le sanzioni di cui sopra non escludono altre sanzioni (o conseguenze) “a cascata” dettate da altra normativa, con la particolarità che, in caso di maxi-sanzione, non sono applicate le sanzioni di cui all’art. 22, co. 1, D.Lgs. n. 151/2015 ovvero quelle riguardanti l’omessa comunicazione telematica preventiva (art. 19, co. 3, del D.Lgs. n. 276/2003), l’omessa consegna al lavoratore del documento contenente le informazioni relative all’instaurazione del rapporto di lavoro (art. 19, co. 2, del D.Lgs. n. 276/2003) e le omesse registrazioni dei dati sul LUL (D.L. n. 112/2008), altrimenti applicate.

 

Non si può, inoltre, escludere la presenza di conseguenze dettate dal mancato rispetto del ccnl di riferimento (art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006) e di conseguenze di tipo penale (ad esempio, per il mancato versamento di contributi per determinati importi).

 

Una volta analizzati i punti salienti che concernono la parte datoriale si deve procedere con una analisi delle conseguenze in capo al lavoratore.

 

Come anticipato, questa forma di lavoro senza contratto non offre alcuna garanzia al prestatore di lavoro, se non quella di non avere, in definitiva, alcuna tutela.

 

In realtà, vige un saldo principio che permea anche il rapporto di lavoro che si svolge al di fuori di una regolamentazione contrattuale, ovvero l’automaticità delle prestazioni previdenziali prevista dall’art. 2116 c.c.: In attuazione di quanto stabilito dall’art. 38 della Costituzione devono essere erogate al lavoratore le prestazioni di previdenza e di assistenza obbligatorie, previste all’art. 2114 c.c., anche se il datore di lavoro non ha versato regolarmente i contributi o il premio assicurativo (circostanza che si realizza in occasione del rapporto sommerso), e se questo non fosse possibile a causa dell’insorgere di una prescrizione il datore di lavoro è comunque tenuto al risarcimento del danno.

 

Come visto, l’impianto sanzionatorio per il datore di lavoro è assai articolato e dai molteplici risvolti. Per il lavoratore, invece, non sono previste sanzioni per il semplice fatto di essere occupato in nero (coerentemente, in quanto già vittima di questa forma patologica di lavoro). Non si dimentichi però che anche la posizione del prestatore di lavoro deve essere valutata attentamente, non si possono escludere infatti, a priori, responsabilità che possano scaturire in conseguenze di tipo risarcitorio e penale.

 

Si ipotizzi un lavoratore che gode di un sussidio statale (ad esempio la Naspi ex art 1, d. Lgs n. 22/2015), erogato sulla base dell’assenza di un rapporto lavorativo, o per bassi redditi. Lo stesso, in presenza di rapporto di lavoro in nero, dovrà rispondere penalmente della richiesta, e conseguente percezione, ingiustificata di tali sussidi e, ovviamente, risarcirli (artt. 483 e 316 ter cod. pen.).

 

Ulteriori considerazioni

 

E’ bene ricordare che le regolari e regolamentate forme di lavoro senza contratto, “sono state recentemente introdotte dal legislatore proprio al fine di assorbire e contrastare l’impiego di forza-lavoro nell’economia sommersa” (M. Tiraboschi), eppure, se le modalità di lotta al lavoro nero sono quelle così laboriose e macchinose del contratto di prestazione occasionale (art. 54 bis, legge 21 giugno 2017, n. 96 di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50), lo strumento principe della lotta al sommerso (su cui, peraltro, già avevo avuto modo di esprimermi in Bollettino Adapt n. 30/2020), il problema appare lungi dall’essere risolto.

 

Inoltre, in aggiunta alle considerazioni di cui sopra, vi è un ulteriore aspetto su cui dover riflettere: in ragione del vigoroso e inarrestabile sviluppo tecnologico e telematico, che rende possibile l’attuazione di nuove modalità di resa della prestazione di lavoro (peraltro incentivate dall’ordinamento per la realizzazione di una maggiore conciliazione di vita e lavoro), quale il lavoro agile (legge n. 81/2017), si potrebbe assistere ad un pericoloso incremento di lavoro sommerso reso proprio in queste modalità, per il quale il controllo da parte degli organi ispettivi diventa innegabilmente più complicato.

 

Viene infatti decisamente indebolito, da queste nuove modalità di resa della prestazione attuabile, innegabilmente, anche per il lavoro nero, uno dei capisaldi (suindicati) dell’emersione del rapporto di lavoro: l’ispezione in azienda.

 

Nuovi strumenti, quindi, e nuove frontiere, dovranno essere esplorati nel breve dagli organi ispettivi per combattere questo fenomeno.

 

Concludendo, sintetizzando e astraendo, è possibile, per certi versi, parlare di “dark work”, ovvero di quel lavoro che si svolge senza regole, senza tutele per chi vi si immerge o ne affoga, nel non rispetto delle più basilari normative sul lavoro, specchio di una società civile.

 

Marco Tuscano

Consulente del lavoro

@MarcoTuscano

 

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