Tra invecchiamento e gender gap: le sfide dei sistemi pensionistici secondo il rapporto OCSE “Pensions at a glance 2025”
| di Giuliana Sarcina
Bollettino ADAPT 9 dicembre 2025, n. 43
Recentemente l’OCSE ha rilasciato la nuova edizione del report “Pensions at a glance”, la pubblicazione biennale che racconta lo stato e le sfide dei sistemi pensionistici dei Paesi dell’area OCSE. L’edizione 2025 mette in luce due principali trend che caratterizzano i sistemi pensionistici nei paesi industrializzati: l’invecchiamento della popolazione e il divario di genere nelle pensioni.
L’aspettativa di vita cresce infatti velocemente e si prevede che il numero di over 65 ogni 100 persone tra i 20-64 anni crescerà nel 2050 fino a 52, contro i 33 del 2025. In particolare, l’Italia, insieme a Korea, Grecia e Spagna, riscontrerà un aumento di anziani con più di 65 anni particolarmente significativo, con un rapporto tra anziani e persone in età lavorativa, il cosiddetto “old-age to working-age ratio”, superiore a 70.
Nel frattempo, i tassi di fertilità calano o rimangono stabili, aggiungendo pressioni al quadro demografico di molti Paesi e mettendo a rischio la sostenibilità finanziaria di sistemi pensionistici basati sul “pay-as-you-go”, ossia modelli a ripartizione in cui le pensioni correnti sono finanziate dai contributi versati dai lavoratori attivi. Se questi ultimi diminuiscono rispetto ai pensionati, l’equilibrio del sistema diventa sempre più difficile da mantenere.
Queste tendenze avranno ripercussioni sostanziali sulle pensioni. Il report, infatti, evidenzia che per far fronte a queste sfide, l’età pensionabile è destinata a crescere, per chi è entrato nel mercato del lavoro nel 2024, da 64,7 a 66,4 anni per gli uomini e da 63,9 anni a 65,9 anni per le donne, con una pensione netta per un lavoratore con stipendio medio pari a circa il 63% della sua retribuzione netta. In particolare, alcuni Paesi raggiungeranno un’età pensionabile per gli uomini pari a 70 anni o anche superiore come nei casi di Italia, Danimarca ed Estonia (Figura 1).
Figura 1. Età pensionabile di uomini che entrano nel mercato del lavoro a 22 anni

Fonte: OECD, 2025
Non è un caso che negli ultimi due anni molti Paesi abbiano intrapreso iniziative di riforme dei sistemi pensionistici per migliorarne la sostenibilità finanziaria. Le principali misure includono aumenti dell’età pensionabile, come in Cechia e Slovenia, e l’adozione di strumenti di incentivazione che incoraggino le persone più anziane a restare attive nel mercato del lavoro più a lungo. Un esempio di questi meccanismi è l’aumento del bonus di rinvio per le pensioni di vecchiaia da 4,2% al 5,1%, per ogni anno intero di posticipazione, adottato in Austria. Anche la Danimarca e la Finlandia hanno adottato iniziative per incentivare a lavorare oltre l’età pensionabile. In particolare, sono stati varati aumenti delle prestazioni forfettarie non tassate in Danimarca e un aumento della soglia di età oltre la quale il lavoro viene tassato in via preferenziale in Finlandia.
Oltre a fornire una panoramica completa delle riforme e dello stato dei sistemi pensionistici dei diversi Paesi, l’analisi dell’OCSE evidenzia come il divario delle pensioni tra uomini e donne nelle pensioni sia ancora molto vasto. Nonostante il cosiddetto “gender pensions gap” (GPG)[1] sia calato del 5% tra il 2007 e il 2024, il divario di genere nelle pensioni di uomini e donne rimane significativo e riflette le disparità tra uomini e donne già osservabili nel mercato del lavoro. In particolare, nell’insieme dei Paesi OCSE, le donne ricevono in media pensioni che sono circa un quarto inferiori a quelle degli uomini. In Italia, questo dato si attesta intorno al 28,6%.
Una delle principali cause identificate nel report che spiega questo gap è la durata media della carriera lavorativa. Si stima infatti che la durata media della carriera delle donne sia 6 anni più breve rispetto a quella degli uomini, con conseguenze significative sugli assegni pensionistici. In Paesi come l’Italia, questo dato è ancora più problematico, con le carriere delle donne che durano 9 anni in meno rispetto a quelle degli uomini (Figura 2).
Figura 2. Durata di carriera prevista, 2023

Fonte: OECD, 2025
Un altro fattore chiave che spiega il divario pensionistico di genere è rappresentato dalle differenze nei guadagni lungo l’intera vita lavorativa. Secondo i dati del rapporto, nei Paesi analizzati le donne guadagnano in media circa un terzo in meno degli uomini nel corso della loro carriera. Sebbene negli ultimi 20 anni il divario nei guadagni si sia ridotto in tutti i Paesi OCSE, passando dal 49% nel 2002 al 35% nel 2022, le differenze sussistono soprattutto in relazione alle limitate opportunità di accesso delle donne ad occupazioni con salari più alti.
In Italia, in particolare, la differenza di reddito nel corso della vita tra uomini e donne è superiore alla media OCSE di circa 5 punti percentuali, essendo il tessuto occupazionale italiano caratterizzato da una più bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro e da un numero elevato di donne che svolgono attività non retribuite come il lavoro domestico o attività di cura. A questi fattori si aggiunge il basso numero di donne in ruoli apicali. Secondo i dati dell’Inps, nel 2022 solo il 21% dei manager in Italia era di genere femminile. Inoltre, analizzando le evidenze statistiche disponibili, emerge che nel mercato del lavoro italiano le donne lavorano maggiormente in settori caratterizzati da retribuzioni relativamente più basse, come ad esempio l’istruzione.
Nell’analisi dell’OCSE si evidenzia anche un’altra causa del divario di genere nelle pensioni, ovvero il numero di ore lavorate. Le donne lavorano infatti meno ore rispetto ai colleghi uomini. In media, la differenza nel numero di ore di lavoro a settimana tra uomini e donne si attesta intorno alle 5,1 ore nei Paesi OCSE. La differenza varia da 1 ora in Paesi come l’Ungheria e la Lettonia, a più di 7 ore in Paesi come Austria e Germania.
Il report presenta diverse opzioni per i decisori pubblici volte a riformare ulteriormente i sistemi pensionistici e renderli più equi e resilienti. Tra queste, la promozione di forme flessibili di pensionamento, come i regimi che consentono di combinare lavoro e pensione, potrebbe contribuire a limitare pensionamenti precoci e favorire una maggiore permanenza dei lavoratori più anziani nel mercato del lavoro. Secondo l’OCSE, tali misure avrebbero effetti positivi non solo sulla sostenibilità dei sistemi pensionistici, ma anche sull’economia in generale, grazie a un aumento dell’attività produttiva e delle entrate fiscali.
Inoltre, al fine di ridurre e colmare il divario nelle pensioni di uomini e donne, il rapporto sottolinea la possibilità di intervenire eliminando l’accesso anticipato alla pensione per le donne, così da ridurre il divario di genere nella durata della carriera lavorativa. Inoltre, l’aumento delle pensioni di base e il potenziamento di strumenti come le prestazioni pensionistiche correlate all’assistenza potrebbero offrire un sostegno significativo, attenuando gli effetti delle disuguaglianze lavorative tra uomini e donne. Anche la riduzione dei requisiti minimi, ad esempio il numero di ore lavorate necessarie per maturare i diritti pensionistici, potrebbe contribuire a contrastare le disparità osservate, spesso legate a un minore monte ore lavorato dalle donne.
ADAPT Junior Fellow
[1] Il gender pensions gap (GPG) è definito come la differenza nel reddito pensionistico o nella ricchezza pensionistica per uomini e donne.
Condividi su:
