Smartworking: perché flessibilità e produttività non sono un tabù

Lo Smart Working è un approccio innovativo all’organizzazione del lavoro basato su un forte elemento di flessibilità. Lo Smart Worker, libero da ogni vincolo di orario e di luogo, sceglie in autonomia quando e dove lavorare. Il futuro dell’organizzazione del lavoro passa necessariamente da qui. Da qualche anno anche l’Italia ha iniziato a cogliere l’importanza di questo cambiamento, anche se le realtà in cui viene applicato sono ancora poche: il 68% delle aziende del Belpaese ha, infatti, attivato qualche iniziativa in questo senso, ma solo l’8% lo adotta in modo stabile. Una di queste è Microsoft, leader mondiale nel software, nei servizi e nelle tecnologie Internet per la gestione delle informazioni di persone e aziende.
 
ADAPT ha analizzato i punti chiave di questo nuovo processo insieme al dott. Pino Mercuri, HR Director di Microsoft Italia, il quale, dopo alcune esperienze in grandi realtà come Unilever, Tele2, Vodafone ed altre, ha iniziato la sua esperienza nella multinazionale fondata da Bill Gates. Ha capito, fin dall’inizio, di trovarsi in un contesto aziendale diverso, dove lo Smart Working è all’ordine del giorno dal lontano 2005, quando ha sentito la necessità di avviare un processo di progressivo passaggio verso un’organizzazione del lavoro più flessibile. Il motivo è semplice, sostiene Mercuri: «Viviamo in un settore in cui devi essere innovativo in tutto quello che fai: se vuoi essere innovativo sul prodotto, sul servizio e sul cliente non puoi non esserlo all’interno dell’organizzazione, quindi c’è un tratto di coerenza generale in questo tipo di approccio».
 
Per favorire il passaggio da un modello organizzativo più “tradizionale” ad uno più “flessibile” è necessario investire in un cambiamento radicale che deve però avvenire in maniera graduale. Il cosiddetto change management deve infatti essere gestito in maniera strutturata ed attenta. Oltre a questo prerequisito, però, c’è un altro elemento fondamentale per favorire il cambiamento: «Non si tratta di spingere un interruttore, ma di intraprendere un percorso. In Microsoft siamo partiti nel 2005 e probabilmente non siamo ancora arrivati. Da questo punto di vista credo ci voglia molto commitment dell’organizzazione a partire dal vertice. Noi abbiamo un amministratore delegato che lavora in openspace come tutti noi e che ad ogni meeting che lui organizza prevede una modalità di coinvolgimento in presenza o da remoto, attraverso Lync, un sistema di videoconferenza integrato. Com’è ovvio è necessario un top management che viva i valori che racconta perché se si descrive un mondo dove tutti possono lavorare con grande flessibilità e poi il lunedì mattina alle 9 il comitato esecutivo si deve fare in presenza c’è un po’ di difficoltà a raccontare una storia credibile».
 
Spesso, però, quello che ai manager viene più difficile sopportare dello Smart Working è il senso di assenza di controllo sui propri dipendenti con il dubbio riguardo alla loro effettiva produttività. In Microsoft, però, la risoluzione di questo problema è stata affidata a degli “indicatori di produttività”. L’idea ha un fondamento innovativo e molto logico in quanto ai manager non importa quando, per quanto tempo e dove ogni collaboratore decida di lavorare, ciò che conta sono i risultati che ognuno di essi riesce a conseguire. Viene quindi predisposto per tutti un set di obiettivi individuali misurabili molto concreti e molto specifici. Mercuri infatti racconta: «Io so benissimo chi dei miei sta lavorando e come lo sta facendo perché lo vedo da una serie di dinamiche e metriche che l’organizzazione misura». Le metriche ed i punti di risultato che questa organizzazione è in grado di misurare sono migliaia e quindi c’è una correlazione abbastanza forte tra causa ed effetto. Chi lavora bene si ritrova quasi certamente il frutto delle proprie performance negli esiti e, di conseguenza, nella propria busta paga. È proprio così, in quanto, per circa l’80% della produzione, ai livelli di performance raccolti è legata una retribuzione di produttività calcolata sia in ragione di risultati individuali che collettivi.
 
La sfida dello Smart Working risulterebbe facilmente applicabile in Microsoft dove è previsto un inquadramento per tutti i dipendenti come “personale viaggiante”. Questa scelta impone che i dipendenti, da un lato, siano assicurati INAIL non solo sul luogo di lavoro, ma anche fuori, e dall’altro obbliga costi ben più elevati per l’azienda che possono essere difficilmente sostenibili in una realtà di dimensioni più modeste. Il dott. Mercuri, però, è convinto che ci sia un ritorno di business facilmente evincibile dai dati dei rapporti annuali che indicano come il 90% dei collaboratori dell’organizzazione ritenga di avere un work-life-balance accettabile e si senta libero di organizzare la propria vita privata in maniera indipendente. È infatti fermamente convinto che, in questa direzione, i dipendenti sono più propensi a offrire il proprio tempo, le proprie conoscenze e competenze alla azienda in quanto si trovano in un ambiente dove le qualità di ciascuno sono apprezzate e valorizzate.
 
Lo sviluppo tecnologico, poi, vuole che il tema della digitalizzazione sia un campo che tutte le imprese oggi si trovano ad affrontare. Diverso invece è quanto in realtà le direzioni risorse umane cerchino di avvicinarsi a questo mondo. Tutto ciò è dovuto al fatto che ci sono molte direzioni delle Risorse umane che sono ancorate a schemi tradizionali in parte necessitati ed in parte pure scelti. È ovvio che quando si ha una fabbrica che alla fine della linea di produzione deve far uscire un prodotto finito di un certo tipo, diventa difficile parlare di questi temi, però alle volte è anche la direzione risorse umane che si crea le scuse per non parlarne perché sono ambienti che conosce meno. Nel prossimo futuro, se la direzione HR non abbraccerà questo cambiamento e non diventerà più social e 2.0 si perderà una grande fetta di competitività e di attrazione dei talenti, perché gli strumenti di comunicazione oggi sono molto cambiati rispetto al passato. Emblematico in questo senso è l’esempio che l’HR Director della multinazionale d’Oltreoceano ci ha presentato: «Qualche mese fa ho incontrato dei neo-diplomati ed alla domanda “per che cosa utilizzi la mail?”» hanno risposto “Quando devo lasciare traccia” che è esattamente come quando io vado il sabato in posta per fare una raccomandata. È chiaro che se non intercetti questo cambiamento e non ti ci sai adeguare anche all’interno della direzione Risorse umane, ti perderai un pezzo di competitività».
 
Andrea Cefis
ADAPT Junior Research Fellow
@AndreaCefis
 
Lidia Petruzzo
ADAPT Research Fellow
@PetruzzoLidia
 
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Smartworking: perché flessibilità e produttività non sono un tabù
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