Si fa (troppo) presto a dire “concertazione”

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Bollettino ADAPT 15 marzo 2021, n. 10

 

Stando al quadro dipinto dalla comunicazione mediatica e politica, il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale firmato il 10 marzo scorso da Cgil, Cisl, Uil e Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione avrebbe sancito il ritorno della concertazione ispirandosi alla stagione di confronto inaugurata nel 1993 con il c.d. protocollo Ciampi-Giugni. Ora come allora il Paese si trova di fronte ad una grave crisi economica e ora come allora è l’obiettivo di non perdere il treno economico-finanziario dell’Europa a indurre le parti ad uno storico patto.

 

Questa almeno è la lettura proposta nelle parole pronunciate con tono solenne dal ministro Renato Brunetta durante la firma in diretta streaming: “Con la firma di oggi vogliamo mettere le basi per la costruzione di una nuova Italia, partendo dall’intuizione di Carlo Azeglio Ciampi, per avviare un percorso che investa sulle parti sociali”. Non si è trattato di una conferenza stampa, ma di una vera e propria cerimonia nella quale il neo-ministro, giovane consulente del ministro del lavoro Gino Giugni al tempo del protocollo Ciampi, ha coinvolto anche il Presidente del Consiglio Mario Draghi.

 

Nella vicenda in questione, il legame tra il canale istituzionale e quello mediatico pare essere stretto se è vero che il frame della concertazione modello ‘93 è stato proposto il giorno prima della firma dal Corriere della Sera (L’Economia), al quale, per stessa dichiarazione del quotidiano, erano state fornite prime indicazioni sui contenuti del patto. Una narrazione alla quale si sono allineati la maggior parte degli interventi sulla stampa del giorno dopo e che i sindacati non avevano certo interesse a mettere in discussione.

 

A ben vedere basta leggere tra le righe della comunicazione sindacale per capire che di concertazione non si tratta (come segnalato anche da Roberto Mania su Repubblica: “La concertazione non ritorna” il titolo del suo articolo il giorno della firma e “Il metodo Draghi oltre la concertazione” è il titolo dell’articolo pubblicato il giorno seguente). Almeno se si prendono a riferimento proprio l’accordo interconfederale del 1993, o i patti successivi (quelli del ‘95 e del ‘97 sulle Pensioni, il “Patto di Natale” del 1998, il Patto per l’Italia del 2002).

 

Difficile infatti non notare come dopo un anno in cui tutte le parti sociali hanno invocato il loro coinvolgimento nelle scelte politiche del Governo, ognuna chiamandola con nomi diversi (dal “patto sociale” alla “democrazia negoziale” fino proprio alla “concertazione”) i sindacati si siano trovati quasi sorpresi per l’improvvisa conclamazione del ritorno della concertazione. Tanto che solo il giorno prima il neo-segretario generale della Cisl Luigi Sbarra in unintervista al Messaggero chiedeva che Draghi tornasse “al metodo concertativo di Ciampi”, senza fare alcun cenno al patto sulla PA.

 

E così, durante la cerimonia, i leader delle tre confederazioni hanno tenuto a sottolineare il cambio di passo nel metodo seguito dal Governo, ma precisando che questo metodo “non dovrà valere solo per il lavoro pubblico, ma anche per altri temi come gli ammortizzatori sociali, la riforma del fisco, il piano di investimenti per la ripresa e la resilienza” (così il segretario della Cgil Maurizio Landini). Il sindacato sa insomma che parlare di concertazione significa parlare di un confronto che verte su temi di politiche generali come quelle di cui si occupava proprio il protocollo Ciampi-Giugni: politica dei redditi e dell’occupazione, politiche del lavoro e di sostegno al sistema produttivo. E non di un confronto bilaterale tra datore di lavoro (in questo caso pubblico) e rappresentanza dei lavoratori.

 

Certo, il coinvolgimento dei leader delle confederazioni al posto dei sindacati del pubblico impiego, l’insistenza sul ruolo strategico della PA e la presenza di Mario Draghi tra i firmatari hanno ottenuto l’effetto evocativo di un patto dal significato generale e hanno prodotto una errata identificazione, forse collaterale, tra lo Stato e il Governo.

 

E ad incassare un posto nella cronaca (se non nella storia) del lavoro e delle relazioni sindacali è stato così Renato Brunetta. A tutto discapito della visibilità del Ministro del Lavoro Andrea Orlando che nelle sue comunicazioni programmatiche mandate in streaming dal Senato relazionava uno sforzo per “affrontare la riforma degli ammortizzatori sociali” con il “confronto con Cgil, Cisl e Uil”. Un confronto che, a rigore, avrebbe meritato l’etichetta di “concertazione” più di quello del collega che nel frattempo andava in onda in alta definizione dalla Sala Verde di Palazzo Chigi, con tanto di regia multicamera.

 

Mentre si parlava di “concertazione” e coinvolgimento delle parti sociali, non avrebbe comunque dovuto passare inosservata l’assenza di Confindustria, che solo l’8 marzo, sempre dalle pagine del Messaggero, chiedeva a Draghi un’immediata convocazione per discutere della proroga dei licenziamenti all’orizzonte.

 

Ci sono, in altre parole, temi di politica generale (non solo i licenziamenti e gli ammortizzatori sociali, ma anche la salute e sicurezza sul lavoro con il protocollo condiviso da parti sociali e Governo del marzo 2020) sui quali nell’ultimo anno le parti sociali sono state coinvolte dal Governo, e con un confronto effettivo, ma per i quali giornali e politica non hanno pensato di spendere la definizione di concertazione.

 

Infine, l’accostamento alla stagione del 1992/93 non è pertinente, almeno non ancora, nemmeno con riferimento fosse anche solo al già battezzato “metodo draghi”. La concertazione che portò al protocollo Ciampi-Giugni durò più di un anno e fu particolarmente sofferta (per avere un’idea di quanto si legga l’intervista di Ciampi a Repubblica del 25 gennaio 2009). Il 10 marzo 2020 è invece stato firmato un patto su linee condivise per la contrattazione nel pubblico impiego stilato dal Ministero e sufficientemente generico da poter essere firmato in breve dalla triplice.

 

Se dunque questo patto avrà un ruolo nell’avvio di una nuova stagione del metodo concertativo, saranno il tempo e risultati a dirlo. Il premier del “non comunichiamo quello che non abbiamo fatto” ci ha tenuto a sottolinearlo: “Il patto è sicuramente di grande importanze per il metodo, per questa relazione di dialogo che c’è. Il Ministro Brunetta ha preparato questo Patto. Ma è, ricordiamocelo, il primo passo. Il molto, se non quasi tutto, resta da fare”.

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

Si fa (troppo) presto a dire “concertazione”