Serve una svolta sindacale per tutelare gli investimenti

La lettera sulla trattativa Alitalia Serve una svolta sindacale per tutelare gli investimenti Ia complessa vicenda Alitalia- Ethiad sta mettendo a nu4 do ancora una volta tutte le contraddizioni ed i ritardi culturali del sindacalismo italiano di fronte al cambiamento del nostro sistema economico. Oggi più che mai il sindacato è ad un bivio della propria storia: o sa accettare la sfida della economia globalizzata, oppure il paese si priverà dell’ apporto prezioso anche di uno degli ultimi soggetti che in altre congiunture gravi ha garantito stabilità al sistema economico e sociale. Non si ottengono posti di lavoro e condizioni salariali convenienti senza aziende solide e produttive. Non si incentivano investimenti stranieri o locali senza le opportune “garanzie” dal parte del sistema paese nel quale c’è anche il sindacato. Non è stato edificante nella vertenza su Alitalia, non garantire l’approvazione compatta all’accordo dopo aver ridotto quasi a un terzo il numero degli esuberi grazie a un lungo confronto serio e responsabile. È sacrosanto difendere tutti i posti di lavoro e trovare gli strumenti più adeguati per garantire questo diritto costituzionale. Ma difronte ad investimenti importanti e cospicui un sindacato responsabile non può alzare continuamente l’asticella sul contratto di lavoro, sfidando le altre associazioni per ragioni corporative, per difendere interessi professionali o di bottega Si dirà che c’erano delle opinioni discordi: ma fino a quando nelle complesse relazioni industriali italiane si potrà perpetrare l’ostinata condotta di inconciliabilità con gli altri sindacati anche quando essi sono largamente maggioritari? Ma, soprattutto, fino a che punto questa ostinazione si può condurre in presenza di investitori non adusi ai bizantinismi italiani? Questo gioco può fare saltare l’investimento, con conseguenze gravi per i lavoratori di Alitalia e l’economia italiana In tal senso è importante che le Poste abbiano confermato la sinergia e l’investimento nella nuova Alitalia, con l’opportunità di avere convenzioni e nuovi prodotti per la rete dei 14 mila sportelli postali Questo significa fare sistema-Paese. Anche il ruolo di un grande sindacato confederale deve essere quello di conciliare gli interessi specifici di un’azienda o di un territorio con l’interesse generale del paese. Qualcuno lo ha scritto bene in queste giornate: quando una vertenza approda al centro dei riflettori mediatici una certa parte del sindacato non sa più scegliere, si blocca, incapace di assumersi le proprie responsabilità.
 
Basterebbe pensare a quello che è accaduto alla Fiat dove la maggioranza dei sindacati ha garantito gli investimenti e l’occupazione con divisioni, strascichi giudiziari e con la gran parte dei mass media e delle forze politiche che remavano contro. Ecco perché occorre un nuovo clima ed un cambio culturale, a partire dai posti di lavoro, assicurando un dibattito trasparente, libero dai settarismo e dalla violenza verbale. Come possiamo conciliare capitale e lavoro, attuare la partecipazione dei lavoratori e la democrazia economica, con un sindacalismo che non sa conciliare con gli altri le proprie posizioni, che ha ancora la testa al novecento, succube, in molti casi, dell’antagonismo ideologico di alcune categorie, nostalgico della “unità della sinistra” e dei vecchi riti di piazza dal sapore sessantottino?
 
Io penso, con molta umiltà ma altrettanta determinazione, che il sindacato abbia bisogno autonomamente di rivedere i propri modelli culturali, la sua organizzazione e la sua capacità di rappresentare i reali bisogni della società italiana A cominciare proprio dalle istanze dei giovani, che oggi alle prese con la precarietà del lavoro, sono i primi a non comprendere i comportamenti e il linguaggio del sindacato. Più che di congressi, convegni e parate, abbiamo bisogno nei prossimi mesi di una svolta negli obiettivi e nelle scelte conseguenti, di un’assunzione di responsabilità chiara e unitaria sulle scelte di politica economica e le necessarie riforme del lavoro, così com’è avvenuto nei momenti topici della storia del sindacalismo italiano: penso alla politica dei “sacrifici” e alla svolta dell’Eur di Lama del 1977, all’accordo di Sant’Valentino, alla concertazione degli anni novanta che salvò l’Italia dalla bancarotta, alle intese sulla contrattazione aziendale e la rappresentanza che abbiamo siglato negli ultimi anni. Facciamo tesoro della lezione del passato e delle opportunità del presente. Tocca a noi riformare il sindacato e le sue politiche per non dare spazio o alibi al populismo dilagante che si avvantaggia degli errori della rappresentanze sociali per imporre il proprio oscurantismo.
 

Raffaele Bonanni

Segretario Generale Cisl

 

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