Se il lavoro cresce, perché non ce ne accorgiamo?

La pubblicazione dei dati Istat di maggio sulle forze di lavoro permette di fare il punto sull’occupazione nel nostro paese ragionando su quanto è accaduto dall’inizio della crisi. Concentriamoci sui valori assoluti degli occupati, ossia su dati che meglio permettono di dare una misura della capacità del sistema Italia di creare (o di distruggere) lavoro.

Nel 2008, prima della crisi, il numero di occupati toccò un picco, superando 23 milioni di unità. La crisi ha provocato una grande distruzione di lavoro: in cinque anni, più di un milione di posti sono andati perduti, quasi equamente ripartiti fra lavoro dipendente e indipendente .

Dopo il 2013 le cose cambiano in meglio: nel giro di tre anni vengono recuperati mezzo milione di posti di lavoro, ossia metà di quelli perduti nei cinque anni precedenti. Questa volta si tratta esclusivamente di lavoro dipendente: +400 mila a tempo indeterminato e +200 mila a tempo determinato, mentre i lavoratori autonomi continuano lentamente a declinare. Nel maggio del 2016, il recupero del lavoro dipendente è completato, perché i posti di lavoro di questo tipo sono gli stessi del 2008, mentre i lavoratori autonomi sono mezzo milione in meno rispetto a otto anni prima.

Grandi sono le modifiche della composizione per età dei lavoratori (tabella 2). Nel giro di appena otto anni (dal 2008 al 2016) i lavoratori con meno di 35 anni diminuiscono del 28% e quelli in età centrale del 6%. Al contrario, nello stesso periodo i lavoratori ultracinquantenni aumentano del 39%. In questo breve arco di tempo il rapporto fra lavoratori giovani e lavoratori maturi si inverte: da 7/5 a 5/7.

 

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