Salario minimo legale: quando semplificare significa negare la complessità del lavoro

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Bollettino ADAPT 27 settembre 2021, n. 33

 

Che sia legale o contrattuale, il salario minimo deve essere effettivoLa sola esistenza di una legge sul salario minimo o di una tariffa sindacale non è garanzia della sua reale effettività.

 

Le ricerche internazionali, richiamate anche nello studio di impatto della Commissione Europea sulla proposta di Direttiva sul salario minimo, evidenziano che sia nei paesi con salario minimo legale, sia in quelli con salario minimo contrattuale l’inosservanza dei minimi retributivi applicabili è un fenomeno generalmente diffuso nei Paesi membri. Il fenomeno è noto, da noi più che altrove, vuoi per gli alti tassi di lavoro sommerso e irregolare, vuoi anche per il dilagare di forme di dumping contrattuale per l’assenza non di una legge quanto della volontà politica di avviare una stretta sui sistemi di contrattazione collettiva che non sono maggiormente rappresentativi e che, come tali, non potrebbero portare grandi benefici alle aziende nella misura in cui sarebbe loro vietato coltivare le numerose deleghe che la legge fa in favore del contratto collettivo al punto da renderlo ancora oggi lo strumento preferibile nella regolazione del lavoro dentro i processi produttivi d’impresa.

 

Quali sono allora le condizioni e i fattori che determinano l’effettività di un salario minimo?

 

Il primo elemento è banalmente (ma non troppo, per quanto sopra segnalato) il rispetto della previsione normativa, legale o contrattuale, che definisce il salario minimo. È evidente che se i datori di lavoro retribuiscono i lavoratori al di sotto dei minimi previsti, tali minimi non potranno essere effettivi.

 

A sua volta, la mancata applicazione del salario minimo da parte dei datori di lavoro non dipende soltanto da scelte completamente opportunistiche di non conformarsi agli standard previsti. Tale comportamento è influenzato dai livelli a cui sono fissati i minimi salariali. Infatti, “quando il livello del salario minimo supera la capacità di pagamento delle imprese, è probabile che l’inadempienza diventi inevitabile” (cfr. U. Rani, M. Oelz, P.M. Belser, Improving compliance with minimum wage standards, 28 aprile 2016). Inoltre, è noto che un livello troppo elevato del salario minimo si traduce non solo in una mancata applicazione dei minimi, ma anche in una fuga verso l’informalità e quindi ancora una volta verso il lavoro nero, con tutte le relative conseguenze negative, non soltanto per i lavoratori, ma per il sistema del suo complesso in termini di concorrenza tra le imprese e contribuzione alla finanza pubblica.

 

Questo evidenzia ancora una volta la rilevanza della fissazione dei salari minimi ad un livello “adeguato”, come prevede la stessa proposta di Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea (COM(2020) 682. Benché il concetto sia aleatorio, questo significa che il livello dei salari deve essere sufficientemente alto per garantire uno standard di vita dignitoso (possibilmente raggiungere la soglia di rischio di povertà, cosa che ora in molti paesi europei non accade), ma non troppo elevato da portare i datori di lavoro a non osservare tale minimoLa difficoltà sta proprio nell’individuare tale livello adeguato.

 

Come per ogni norma, essenziale per garantire l’effettività del salario minimo (legale o contrattuale) è la previsione di adeguate sanzioni in caso di violazione. Le sanzioni devono costituire un forte disincentivo all’inadempienza, rendendola particolarmente costosa.

 

Il sistema sanzionatorio deve, poi, necessariamente essere completato da un adeguato meccanismo di controlli, che rilevino le inadempienze e applichino le sanzioni.

 

C’è chi sostiene che il salario minimo legale avrebbe il vantaggio della semplicità e della conoscibilità generale, che ne faciliterebbero l’applicazione e i controlli e in ultima analisi l’effettività. L’argomento della semplicità è molto sostenuto dall’Organizzazione internazionale del lavoro, soprattutto guardando ai paesi in via di sviluppo. Ma è la stessa organizzazione che riconosce che i sistemi semplici con un unico salario minimo non consentono di tenere in considerazione non solo le specificità di singole regioni o settori all’interno di un paese (cfr. ILO, Minimum Wage Policy Guide, 2016, 14) ma anche il pluralismo dei mestieri e delle professioni oltre che le più complesse dinamiche dello scambio che, nella moderna contrattazione collettiva e come documentato dai periodici rapporti ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia (da ultimo, La contrattazione collettiva in Italia (2019), VI Rapporto ADAPT, 2020), vanno ben oltre la fissazione della tariffa per determinare una ricca articolazione di voci lato sensu retributive come per esempio il welfare bilaterale o il diritto soggettivo alla formazione in orario di lavoro.

 

L’argomento della semplicità del salario minimo legale rischia pertanto di diventare semplicistico se non anche caricaturale della complessità dei moderni mercati del lavoro e delle connesse dinamiche di scambio che è invece ben nota alle parti sociali e ai relativi sistemi contrattuali e bilaterali.

 

Silvia Spattini

Direttore ADAPT

@SilviaSpattini

 

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