Rileggendo i classici del lavoro/20 – Cesarini Sforza e la relatività del concetto di interesse generale, tra corporativismo e nuovo ordine costituzionale

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Bollettino ADAPT 24 gennaio 2022, n. 3
 
Il concetto di interesse generale per le scienze sociali ha assunto, nel corso del tempo, una connotazione assai evanescente e di difficile declinazione sul piano pratico, specialmente con riferimento alla sua ’”organizzazione”. La frammentazione e la forte dispersione della nozione derivano probabilmente dalla dinamicità, dalla declinabilità al plurale, dall’essere in continuo movimento e dalla relatività dell’aggettivo “generale” con cui si è soliti accompagnare questa nozione. Anche nel suo etimo latino inter-esse – essere fra le cose di alcuno e quindi prendere parte nelle medesime – ci fa comprendere come nelle scienze sociali sia un concetto di fondamentale importanza e trait d’union tra l’io, l’individualità, la coscienza e la molteplicità di persone, ovvero la societas. Assume una sua connotazione ancor più particolare nei moderni sistemi sociali ove la complessità è l’elemento caratterizzante. L’estrema frammentazione del concetto di interesse ha fatto sì che nel corso del tempo lo stesso venisse associato e declinato in vario modo: gruppo d’interesse, interesse collettivo, interesse individuale, interesse sindacale, interesse corporativo, interesse nazionale.
 
Proprio per questa difficoltà, può essere utile ripercorrere alcuni scritti “classici” del mondo corporativo di inizio secolo particolarmente significativi, che hanno messo in evidenza le diverse sfaccettature del poliedrico concetto. Nello specifico, oggi proponiamo Studi sul concetto di interesse generale, di Widar Cesarini Sforza, Archivio di studi corporativi, Firenze, 1935.
 
L’autore parte dalla relatività del concetto di “interesse generale”: posta infatti una collettività di persone, se ne può distinguere non solo l’individuo singolo ma anche le “collettività minori” in modo tale che l’interesse di ciascuna di queste sia anche esso generale nei confronti di quello di ciascuno degli individui che la compongono. Viceversa, sarà considerato interesse particolare rispetto all’interesse della collettività maggiore.
 
Nella affascinante costruzione corporativa, viene preso come interesse generale quello della Nazione (l’interesse superiore della produzione nazionale), all’estremo opposto quello dei singoli individui, e in un punto intermedio quello delle categorie (che secondo l’autore è di carattere generale rispetto a quello dei singoli, ma particolare e individuale rispetto a quello della nazione). Cesarini Sforza si pone il problema della trasformazione che queste nozioni di interesse assumono nel passaggio da interesse individuale a interesse di categoria. Il problema è infatti fondamentale per la definizione del concetto di corporativismo e può essere posto in una modalità differente chiedendosi: in che cosa la scelta economica per la soddisfazione di un interesse generale differisce dalla scelta per la soddisfazione di interessi generali? Tutta la costruzione e la razionalità del sistema corporativo si basa infatti sulla scelta di superarli in nome di un interesse superiore.
 
Nel sistema corporativo, il presupposto è che i fattori della produzione, abbandonati a sé stessi, non riescano a saldarsi in un sistema unitario. All’interno dello scritto viene riportato l’esempio dei consiglieri delle Corporazioni, i quali sono pur sempre dei rappresentanti di interessi di categoria e cioè di interessi che appartengono distintamente ai datori di lavoro e ai lavoratori di questo o quel settore. Ciononostante, il problema dell’interesse generale continuerà a porsi anche nel caso in cui si salga al gradino ultimo del Ministro delle Corporazioni: come si determinerà in concreto l’interesse generale se anche i massimi organi del sistema, i consiglieri della Corporazione, restano esclusivamente i difensori dell’interesse particolare della corporazione che rappresentano? Se ciò avvenisse l’interesse generale non riuscirebbe mai ad affermarsi.
 
L’Autore, per suffragare la tesi della incompatibilità dei diversi interessi (nazionali, di categoria e individuali), mette in luce una serie di fatti dell’epoca. La difficoltà del problema consiste nel definire il rapporto tra individualità e generalità e tra particolarità e totalità, che si potrebbe esprimere sinteticamente dicendo che i termini del rapporto stesso sono fra loro incomparabili. Concepire gli individui come parti di un tutto equivale a concepirli nella loro unificazione al tutto. Se invece dal tutto si staccano gli individui e ciascuno di essi viene considerato fuori dal medesimo “tutto”, quest’ultimo scompare. In altri termini, secondo Cesarini Sforza, le parti componenti di una collettività sono parti finché formano questa collettività e quindi rispetto alla collettività esistente; se si prendono isolatamente, separando ciascuna di esse dalle altre, non formano più una collettività, e quest’ultima viene meno. Di conseguenza, non è possibile pensare contemporaneamente l’individuo nella sua singolarità e come parte di un tutto.
 
È la scienza economica classica tramite la nozione di homo oeconomicus ad aver posto il problema perché sarebbe contraddittorio costruire una economia nella quale gli uomini non siano più homines oeconomici, cioè non più individui singoli. Una delle massime preoccupazioni della scienza economica è stato quella di riuscire a svincolarsi dal soggettivismo, creando dei criteri obiettivi generali per le scelte economiche e per la valutazione della razionalità degli atti economici individuali. Questa preoccupazione spiega gran parte dei fenomeni giuridici e politici che si collegano alle affermazioni del c.d. principio sociale in opposizione all’individualismo.
 
Il corporativismo arriva ad escludere che l’individuo produttore possa essere portatore di interessi individuali, singolari ed egoistici (si basa pertanto su una negazione di fondo dell’individualismo). Perciò posta una serie di categorie quali datori di lavoro, lavoratori, professionisti e artisti, il corporativismo ha creato una serie di associazioni sindacali alle quali è stato attribuito il potere e quindi la capacità di definire l’interesse della categoria rispettiva. Il problema della definizione dell’interesse delle categorie professionali però rimane ed è lo stesso Cesarini Sforza a metterlo in evidenza.
 
La modalità di aggregazione degli interessi è fondamentale e non può parlarsi di semplice sommatoria di interessi che è qualcosa di puramente metaforico. Deve perciò presupporsi che gli interessi sono identici all’interno della categoria e l’espressione “interesse di categoria” non può attribuirsi ad una singola persona bensì a più persone. Allo stesso tempo è perciò l’esistenza di un organo tutelatore, cioè l’associazione professionale, che permette la delimitazione della categoria e quindi la relativa creazione e identificazione di determinati interessi. La categoria come qualcosa di obiettivamente dato non esiste e si possono perciò “pensare infinite categorie professionali, cioè raggruppare in infiniti modi diversi gli interessi dei produttori. Ogni categoria può rientrare in una categoria più comprensiva, o scindersi in molteplici categorie più ristrette. Quando, identificata una categoria (tramite associazione sindacale) appaiono entro di essa degli interessi divergenti perché alcuni suoi componenti interpretano l’interesse professionale in un modo e altri in un altro, nulla vieta logicamente di pensare che esistano non più una, ma due tre categorie distinte, anche se (facendo ancora un’ipotesi estrema) di queste categorie una dovesse comprendere tutti gli addetti a una data produzione meno uno, e l’altra comprendesse solo quest’uno. Non v’è ragione nessuna perché si parli di interesse di categoria nel primo caso e non anche nel secondo”. Per corroborare le sue tesi sulla relatività del concetto di interesse-categoria, Cesarini Sforza pone l’esempio del ricorso effettuato verso il comune di Venezia che aveva deciso di istituire una nuova farmacia e promosso dal sindacato provinciale dei farmacisti. Le ragioni del ricorso si fondavano sull’idea che l’adozione di tale provvedimento fosse lesivo degli interessi della categoria; il Consiglio di Stato respinse il ricorso poiché non poggiante su un’esatta valutazione degli interessi della categoria dal momento in cui a quest’ultima appartengono tanto i farmacisti esercenti quanto quelli non esercenti. È questo uno degli esempi in cui una categoria professionale si scinde esattamente in due ed è impossibile, perciò, trovare una ragione intrinseca del perché qualificare come interesse della categoria dei farmacisti quello dei farmacisti esercenti e non quello dei farmacisti in attesa di esercitare la professione, o viceversa.
 
L’autore arriva alla conclusione di come non si possa derivare la nozione di categoria da quella di interesse, così come non si può assolutamente derivare la nozione di interesse da quella di categoria. Tutto ciò equivale a dire che la categoria, ogni volta che si è cercato di afferrarla come un’entità positiva e di darle significato oggettivo, si è invece disgregata e dissolta nel nulla”. Infine, Cesarini Sforza conclude con un generale discorso sulla democrazia e sul come “per quanto si perfezioni i metodi del conteggio il risultato di dare allo Stato una solida base non è mai raggiunto perché si presuppone, irrazionalmente, che la volontà generale possa ricavarsi dalle cifre. Infatti, col loro più e col loro meno, queste possono esprimere una collettività di interessi e di voleri ma mai un tutto che è unità”.
 
I concetti espressi, seppur appartenenti ad un’epoca e ad un sistema differente, sembrerebbero essere quantomai attuali e d’ausilio per interpretare i nodi di fondo del sistema costituzionale (concetto di interesse generale, categoria, democrazia sindacale e confini settoriali) ove la categoria come sostenuto autorevolmente da F. Mancini non è precostituita, non precede il sindacato ma è “il sindacato che precede e forgia la categoria, o meglio, delimita sostanzialmente a suo arbitrio, il ramo dell’economia in cui organizzarsi e negoziare” (Cfr. F. Mancini, Libertà sindacale e contratto collettivo erga omnes, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1963, p. 570 e ss.). Il concetto di interesse è perciò sempre relativo e dalla sua relatività possono derivare diverse conformazioni della rappresentanza e delle modalità di rappresentare istanze ed interessi confliggenti.
 
Andrea Zoppo

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@AndreaZoppo

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