Riforma del reddito di cittadinanza: quale idea di lavoro?

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Bollettino ADAPT 26 aprile 2023, n. 16
 
Dopo le indiscrezioni di qualche settimana fa sul nuovo reddito di cittadinanza, già messe da parte dal governo, sembra ora che i suoi sostituti saranno presto approvati dal Consiglio dei ministri. Il plurale è dato dal fatto che, a regime, saranno due gli strumenti previsti. Il primo, la Garanzia per l’inclusione, richiama molto il vecchio reddito di cittadinanza ma ne riduce in modo importante la platea sia abbassando a 7.200 la soglia Isee necessaria sia escludendo coloro che vengono ritenuti “occupabili”, ossia coloro nel cui nucleo famigliare non vi siano un disabile, un over 60, un minore, una persona con invalidità. Ma quello che più ci interessa, perché rivela la visione sottostante al provvedimento è il secondo strumento, la Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal). In questo caso la soglia Isee, si abbassa ulteriormente, scendendo a 6.000 euro annui, il reddito mensile corrisposto scende da 780 a 350 euro, la durata massima a dodici mesi non prorogabili. Tre elementi che non trovano giustificazioni teoriche se non in un modello che vuole spingere il più possibile, con il grimaldello del bisogno economico, le persone ad attivarsi per cercare un lavoro non avendo altre alternative temporanee. Perché è chiaro che anche la durata massima di dodici mesi è una illusione considerato che 350 euro mensili sono una cifra con la quale è sostanzialmente impossibile vivere, e non solo nelle grandi città italiane.
 
Peraltro non si capisce perché la soglia Isee identificata per i non-occupabili debba essere superiore rispetto agli occupabili, se non appunto all’interno di una logica iper-incentivante quasi punitiva. La norma obbliga le persone che percepiscono la Gal a sottoscrivere un patto di attivazione come requisito per percepire il beneficio, e questo pare ragionevole, ma poi i beneficiari dovranno essere convocati entro centoventi giorni da questa sottoscrizione. Il che significa che dei complessivi dodici mesi di durata del povero sussidio previsto (che potrebbero partire, più ragionevolmente, dalla sottoscrizione) quattro potrebbero passare senza alcun coinvolgimento in corsi di formazione, senza considerare che non è certo detto che dopo il contatto con i servizi per il lavoro si avvii immediatamente un percorso formativo o si trovi un lavoro. Basti vedere i dati di monitoraggio del piano Gol, la principale iniziativa di politica attiva nel nostro paese in questo momento. Su 100 beneficiari presi in carico dai servizi per il lavoro dopo 90 giorni solo 23 sono occupati, a riprova che l’inserimento o il re-inserimento lavorativo non sono affatto semplici. E il nuovo decreto del governo non interviene in alcun modo con azioni di efficientamento dei servizi per il lavoro, cosa che fa facilmente prevedere che i dati che vediamo oggi saranno gli stessi che vedremo nei prossimi mesi, se non peggio a causa di un aggravio dato dal maggior numero di persone da coinvolgere che prima non si registravano.
 
Considerato tutto questo, che è chiaramente conosciuto dagli estensori della proposta di sostituzione del reddito di cittadinanza, si evince che la ratio sottostante al nuovo strumento della Gal è quella di dare per scontato che chi oggi non ha un lavoro, e non appartiene alla categoria dei non-occupabili, sia in questa condizione principalmente per colpa sua. Questo sia perché non vuole lavorare o non cerca lavoro o perché occupato con un lavoro irregolare. È chiaro che esiste una percentuale di persone che rientra tra queste fattispecie, ma la generalizzazione non può diventare il criterio principale sul quale costruire una misura così importante. Sappiamo bene infatti che le possibilità di lavoro sono molto diverse dal punto di vista geografico, che molti profili di attuali beneficiari del reddito di cittadinanza non hanno le competenze adeguate e non sono appetibili per le imprese. Un importo così basso e una durata così breve e improrogabile del sussidio significa quindi dire che chi non lavoro è perchè non vuole lavorare e che non appena verrà spinto alla ricerca dalla situazione di necessità indotta dal venir a meno del reddito di cittadinanza lo troverà. Non è difficile prevedere che questo non accadrà, che il rischio di incrementare il lavoro nero di necessità è elevato, che il lavoro di qualità che serve al Paese e alle imprese non si genera così. Perché stiamo dimenticando le persone, che hanno una loro storia particolare e non possono essere “riattivate” unicamente per fame, pena affievolire ancor di più quel fragile equilibrio sociale già oggi preoccupantemente precario.
 

Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione in Transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

@francescoseghezz
 
*pubblicato anche su Domani col titolo Per il Governo Meloni chi non ha un lavoro è colpevole a priori, 19 aprile 2023

Riforma del reddito di cittadinanza: quale idea di lavoro?