Rete-soggetto e codatorialità: dove finiscono le imprese?  

Dall’introduzione della originaria disciplina (l. n. 33/2009), passando attraverso le varie modifiche e l’inserimento della c.d. codatorialità (l. n. 99/2013), la regolazione delle reti di imprese ha assunto profili di comprensibilità sempre più complessi.
In alcuni casi, quando le imprese si avvicinano per la prima volta al concetto di “rete”, o ancor più quando decidono di definire a livello contrattuale quanto di fatto hanno messo in pratica e sperimentato negli anni (ed è questa la dinamica più frequente nell’ambito delle PMI presenti sul territorio nazionale), si trovano davanti a non pochi punti interrogativi, non tanto sul piano tributario e fiscale, quanto su quello legale e, in particolar modo, giuslavoristico.
 
Molti profili di regolazione delle c.d. reti di impresa appaiono, infatti, ancora indefiniti: basti pensare al concetto di codatorialità, in bilico tra contitolarità/assunzione congiunta o semplice cogestione dei rapporti di lavoro, ma anche al tema della responsabilità solidale automatica o su base volontaria in capo alle singole imprese.
Nonostante i nodi rispetto a questi concetti non siano ancora stati sciolti, a quanto pare neanche tra gli addetti ai lavori in ambito ministeriale, sulla base di quanto emerso in occasione del workshop tenutosi presso la sede di Unioncamere a Bologna lo scorso 28 gennaio il quadro normativo continua ad evolversi.
 
Tra le tante scelte che le imprese si trovano a dover affrontare, quando decidono di “mettersi in rete”, c’è innanzitutto quella riferita alla tipologia di soggetto che si intende creare. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità, introdotta ad opera della l. n. 134/2012 e della l. n. 221/2012, di creare una rete dotata di soggettività giuridica (la c.d. “rete-soggetto”), o di continuare a mantenere la c.d. “rete-contratto”, che al contrario è caratterizzata dalla preminente rilevanza dei rapporti contrattuali in corso tra le singole imprese, le quali, nell’esercizio delle attività economico-produttive, mantengono la loro autonomia ma subiscono, direttamente nella loro sfera individuale, gli effetti degli atti relativi al programma di rete.
 
Tra i principali poteri e le tipiche caratteristiche delle reti soggetto si collocano la possibilità di assumere obbligazioni nei confronti di terzi, agendo per il tramite del proprio organo esecutivo, figurare nei confronti degli istituti di credito come soggetto a sé stante, con un rating proprio e distinto da quello delle singole imprese in rete e acquisire la diretta proprietà di beni (anche di quelli conferiti dalle singole retiste) (cfr. L. Di Salvatore, Rete soggetto e codatorialità, paper, Università degli Studi di Milano, 2014).
Alla luce delle specifiche esigenze giuridiche, fiscali e amministrative del caso concreto, spesso le imprese basano la propria scelta, come è comprensibile, su logiche e strategie commerciali, nel tentativo di cogliere tutte le opportunità offerte dal “fenomeno rete”, nonché di sfruttarne le potenzialità: la c.d. rete soggetto, determinando, appunto, la creazione di una rete dotata di soggettività giuridica, rappresenta una scelta opportuna, ad esempio, nel caso in cui si intenda richiedere finanziamenti bancari per la realizzazione del progetto di rete, oppure quando il numero di reti partecipanti è alto, o ancora in caso di presenza di un cospicuo volume di affari con l’estero.
L’acquisizione della soggettività giuridica non presenta particolari difficoltà sul piano tecnico e legale, considerato che è sufficiente prevedere il fondo patrimoniale, individuare un organo di gestione e la sede della rete, comunicare la denominazione sociale e, infine, registrare la rete all’interno della sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della “rete” (ex dl n. 5/2009, art. 3, comma 4-quater).
 
Le complessità sorgono, invece, nella fase di valutazione delle conseguenze che si determinano sul piano della gestione giuslavoristica dei lavoratori, data la costituzione di un soggetto sostanzialmente autonomo rispetto alle imprese che lo compongono.
La rete-soggetto è, come detto, un unico centro di imputazione di diritti ed obblighi, assimilabile alla figura di imprenditore (che peraltro può acquisire).
Sul piano dei rapporti di lavoro, la conseguenza logica e giuridica, che deriva dalla costituzione di un nuovo soggetto in possesso delle caratteristiche di cui sopra, è la possibilità che quest’ultimo assuma direttamente e “personalmente” i propri dipendenti.
Quindi, posto che una rete soggetto può assumere direttamente il personale ed essere titolare dei relativi rapporti di lavoro, la precedente “rete-contratto” (in cui le singole imprese partecipano mettendo a disposizione la propria organizzazione ed il proprio personale) e le “retiste” perdono parte della loro concretezza: nella sostanza, infatti, la rete soggetto diventa assimilabile ad una “grande azienda”, eventualmente anche multinazionale, in cui l’individualità della singola impresa partecipante diventa quasi irrilevante.
 
Quando la rete diventa autonoma titolare dei rapporti di lavoro, cosa accade nel caso fosse stata applicata la c.d. codatorialità? Rispetto a quest’ultimo istituto, introdotto nel 2013, la dottrina ha elaborato alcune divergenti interpretazioni che, poste in relazione alla rete-soggetto, conducono a due conseguenze opposte.
Un primo orientamento (v. M. G. Greco, Distacco e codatorialità nelle reti di impresa, in Arg. Dir. Lav., 2014, 2) considera che, nell’idea del legislatore, la codatorialità fosse lo strumento per rendere possibile alle “retiste” un utilizzo in qualche modo più disinvolto dei rispettivi dipendenti all’interno della rete, attraverso le modalità individuate nel regolamento di rete, e che, pertanto, il rapporto di lavoro del singolo rimanesse quello, tradizionalmente bilaterale, con il proprio datore “originario”.
 
L’interpretazione opposta (cfr. A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, assunzioni in agricoltura, in A. Perulli, L. Fiorillo (a cura di), La riforma del mercato del lavoro, IV vol., Il nuovo diritto del lavoro, Torino, 2014, pag. 463) (che peraltro presenta ulteriori articolazioni in questa sede non oggetto di approfondimento) assimila, invece, la codatorialità alla c.d. assunzione congiunta, definizione elaborata con riferimento alle imprese agricole (art. 31, D.Lgs. n. 276/2003) al fine di individuare una nuova fattispecie per cui ciascun dipendente sarebbe titolare di una pluralità di rapporti di lavoro con ciascuna delle imprese per le quali presta la propria attività lavorativa.
Ma, delle due, l’una.
 
Sulla base della prima interpretazione proposta, la codatorialità, intesa solo quale strumento ed al contempo modalità per la gestione cumulativa dei dipendenti all’interno della rete, senza alcuna ripercussione nell’ambito della titolarità del rapporto di lavoro, sarebbe compatibile anche con le reti soggetto.
Diversamente, alla luce del secondo orientamento di dottrina, il concetto di codatorialità perderebbe la sua identità e completezza e non sembrerebbe rintracciabile nella rete-soggetto, posto che è proprio la rete di per sé ad essere l’unica datrice di lavoro, responsabile peraltro in via esclusiva nei confronti dei propri dipendenti.
 
Permangono alcuni profili di criticità, ancora non chiariti, con riferimento al trattamento delle obbligazioni nei confronti dei dipendenti delle singole imprese in rete, stante l’applicazione del principio di responsabilità solidale.
Ed infatti, parte dei contributi forniti dalla dottrina sul tema ricollegano al concetto di codatorialità la responsabilità solidale delle imprese che gestiscono promiscuamente uno o più dipendenti (anche se formalmente assunti da una sola delle retiste). In altre parole, tutte le imprese che utilizzano promiscuamente la prestazione del dipendente all’interno della rete sono solidalmente responsabili rispetto agli obblighi connessi alla prestazione di lavoro (retributivi e contributivi).
Ciò non avverrebbe, invece, con riferimento alle reti soggetto, in cui, come detto, la codatorialità in qualche modo perde la propria ragion d’essere, posto che l’utilizzo “promiscuo” è insito nel fatto che il lavoratore sia dipendente della rete nel suo complesso.
 
Inoltre, al di là del caso in cui la rete-soggetto assume personalmente i dipendenti, persistono diversi dubbi, in assenza di indicazioni da parte del legislatore e/o dal Ministero, in merito alle conseguenze sul rapporto di lavoro dei dipendenti delle singole imprese “retiste” a seguito della costituzione della rete-soggetto. Infatti, parte della dottrina ha rilevato la possibilità per cui nell’ambito della rete (ed ancor di più nei casi di rete-soggetto, come evidenziato in precedenza), si venga a configurare una sorta di unico contesto, soprattutto ai fini dell’applicazione di alcuni istituti, tra cui le norme che regolano il licenziamento, l’obbligo di repechage, i limiti numerici connessi ad assunzioni a termine, ecc. Questi effetti sono stati tradizionalmente ricondotti anche dalla giurisprudenza, ad esempio, al caso di più imprese formalmente distinte ma con un’unica organizzazione imprenditoriale (intesa anche come unico centro decisionale), che utilizzano contemporaneamente le prestazioni degli stessi lavoratori (in tal senso si vedano Cass. 15 maggio 2006, n. 11107, cit.; Cass. 1 aprile 1999, n. 3136, in NGL, 1999, pag. 467; Cass. 22 febbraio 1995, n. 2008, in Riv. Crit. Dir. Lav., 1995, 4, pag. 988).
 
Qualora effettivamente la costituzione di una rete dotata di soggettività giuridica determinasse, analogamente a quanto già accade in altri contesti, l’applicazione dei suddetti regimi, è chiaro come la scelta verso la costituzione di una rete-soggetto possa assumere profili di criticità e determinare conseguenze, magari non immediatamente visibili alle imprese partecipanti, ma certamente dall’impatto sostanziale sulle medesime.
E’ fuori di dubbio che le imprese siano attratte dalla possibilità di attribuire alla rete un’identità specifica e per certi versi autonoma, in modo da aggredire con maggiore forza il mercato ed acquisire una reputazione di spessore crescente. D’altra parte, però, le medesime imprese, stante la scarsa conoscenza delle precise dinamiche che connotano la rete e la gestione dei rapporti di lavoro al suo interno, corrono ancora il rischio di adottare soluzioni imprenditoriali le cui precise conseguenze, sotto il profilo qui in esame, non vengono, talvolta, nemmeno prese in considerazione.
 
Purtroppo, ad oggi, né la legge né altri atti interpretativi e/o di indirizzo hanno provveduto a fornire chiarezza o a collegare a ciascuna fattispecie i suoi precisi effetti.
Le imprese stanno velocemente imparando a comprendere ed a credere nelle potenzialità della rete e per molte realtà della piccola e media industria essa rappresenta lo strumento per mantenere alti livelli di competitività in un mercato altamente contratto, come quello attuale, oltre che per acquisire risorse umane, tecniche ed economiche sufficienti per il raggiungimento di obiettivi che sarebbero fuori dalla portata della singola impresa.
Sotto un altro aspetto, più prettamente operativo, la rete di imprese sta dimostrando una significativa utilità nel favorire gestioni meno rigide del personale e dei mezzi di produzione e nel consentire la liberazione dai vincoli normalmente posti dalla legge e dalla burocrazia allo svolgimento comune delle attività produttive.
 
È, però, indispensabile che ci si concentri anche sul chiarimento di alcuni aspetti e problematiche che, in fase applicativa, creano non poche ombre per le imprese che, diversamente, vorrebbero implementare le proprie best practice. Tali difficoltà sono create proprio dall’attuale disciplina lavoristica che, focalizzata da sempre sulla prevenzione di condotte elusive e fraudolente, finisce per ricondurre i tentavi di implementazione di pratiche flessibili alle ormai storiche situazioni di rigidità.
 
Agnese Moriconi
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@agnesemoriconi1
 
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