Renzi: noi vogliamo aprire le fabbriche, non occuparle

«Io non voglio prendermela con i corpi intermedi, ma la disintermediazione dei corpi intermedi è un fatto, e viene dai fenomeni di cambiamento che la realtà sta producendo». Ecco, nei giorni del duro scontro tra Matteo Renzi e la Cgil di Susanna Camusso, conviene partire dal concetto di “disintermediazione” citato durante il discorso conclusivo della Leopolda domenica scorsa per capire le ultime mosse del giovane premier.

 

«Il governo non tratta coni sindacati, è il Parlamento che decide», ha detto Renzi lunedì sera dopo l’incontro sindacati-governo e le lamentele di Camusso. E ancora ieri è tornato sull’argomento con un’intervista ad Oggi: «Noi vogliamo tenere aperte le fabbriche e non occuparle, perché l’occupazione di cui hanno bisogno i nostri lavoratori non è quella che minaccia il sindacato». Non è questione personale, naturalmente, anche se nei rapporti “istituzionali” tra il segretario del maggior partito della sinistra e la leader del sindacato rosso ha sicuramente pesato l’endorsement di Camusso in favore di Pier Luigi Bersani alle primarie del 2012, così come il più recente paragone storico con Margaret Thatcher e le sue politiche di destra.

 

Non è (solo) questione personale ma, appunto, questione che riguarda la funzione dei corpi intermedi. Intesi come rappresentanza sociale (sindacati confederali dei lavoratori così come Confindustria), ma anche come rappresentanza professionale. «Quello che Renzi vuole rottamare ragiona Andrea Romano, appena passato nel “Pd della nazione” renziano dopo la militanza nella montiana Scelta civica non è il corpo intermedio in sé ma la professionalizzazione del corpo intermedio. Non a caso negli ultimi discorsi pubblici Renzi ha citato più volte il Terzo settore, mai divenuto professionista dell’intermediazione. Il ruolo che Camusso difende per la sua Cgil appartiene a un’Italia corporativa sempre più debole, che non rappresenta più il mondo reale e lo stesso sentire degli italiani».

 

L’universo disintermediato per eccellenza è quello di Internet, e non è un caso che già il Renzi sindaco di Firenze si affidava ai “social” per comunicare direttamente con i cittadini. Né l’attacco ai sindacati (in particolare IL NUOVO CORSO è la fine della concertazione vecchio stile, dei veti e della professionalizzazione dei corpi intermedi alla Cgil) e alla loro volontà di imporre veti all’azione di governo tramite lo strumento delle concertazione nasce nelle ultime settimane, con la polemica sul Jobs act.

 

Nella primavera del 2011 il sindaco Renzi, intervenendo a In ora su Rai Tre, difende la scelta di aver permesso l’apertura dei negozi del centro storico di Firenze per il primo maggio. E attacca i sindacati che «fatturano centinaia di milioni di euro» e «rappresentano per il 54% i pensionati che hanno uno spazio, ma chi ha 30 anni non lo ha». È di allora la definizione dei sindacati come «coperta di Linus della sinistra». In quella stessa primavera del 2011, di fronte a scioperi cittadini indetti dalla Cgil su vari fronti, Renzi risponde (su Facebook, ovviamente) con parole molto simili a quelle pronunciate in queste ore: «Se i sindacati fiorentini hanno voglia di confrontarsi con noi bene. Se invece prevale la linea di qualche barricadero fuori stagione si sappia che hanno sbagliato obiettivo. Mi hanno eletto i cittadini. Se vorranno mi manderanno a casa i cittadini, non un sindacato in cerca di visibilità».

 

Né si può dire che il Jobs act sia un’improvvisata delle ultime settimane. La flexecurity modello Ichino è già, nero su bianco, nel programma delle primarie per la premiership del 2012. E durante quella campagna elettorale Renzi è piuttosto chiaro sulla questione articolo 18: «Sarà sbrigativo. Ma l’articolo 18 è un feticcio, un totem ideologico attorno al quale c’è una grande danza degli addetti ai lavori».

 

Fine della concertazione vecchio stile, fine dei veti, fine della professionalizzazione dei corpi intermedi. Se lo strumento della concertazione è stato superato nella prassi di governo da Mario Monti, Renzi è il primo a teorizzarne la fine. Il sindacato deve tornare a fare il sindacato, anche nell’ottica di dare maggior peso alla contrattazione aziendale rispetto a quella sindacale. Aiuta la provenienza non comunista-diessina del giovane leader in questa rottura definitiva della vecchia cinghia di trasmissione? Forse, ma fino a un certo punto. «La novità di questa stagione è che la nuova classe dirigente democratica è partita da un reset, un azzeramento dei vecchi schemi della politica», riflette sempre Romano, che quel vecchio mondo ha descritto nel suo libro del 2007 “Compagni dì scuola: Ascesa e declino dei post-comunisti”. «Anche il modo di essere cattolico in politica di Renzi è disintermediato, non più corporativo».

 

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