Quando l’infermiere svolge mansioni da OSS: chiaro l’orientamento dalla magistratura*

Interventi ADAPT

| di Marco Menegotto

Bollettino ADAPT 22 settembre 2025, n. 32
 
All’infermiere possono essere assegnate mansioni da OSS purché non siano completamente estranee alla sua professionalità, vi siano esigenze organizzative o di sicurezza e ciò avvenga in maniera marginale rispetto alle attività core, quindi non in maniera prevalente. Anche dopo le recenti sentenze, restano questi i limiti di adibizione a mansioni inferiori.

La magistratura ha avuto modo di occuparsi a più riprese dello stretto confine dei mansionari dell’infermiere e dell’operatore socio sanitario, in un contesto spesso affetto da carenza di personale ed esigenze di servizio che comportano uno sconfinamento quasi inevitabile. Le ultime sentenze di Cassazione circolate e rilevanti per il discorso che qui vogliamo condurre sono di marzo, maggio, agosto 2025, a conferma della importanza e ricorrenza del tema. Su quest’ultima si è assistito ad una levata di scudi visto il (presunto) passo indietro sulle tutele in caso di esercizio di mansioni plurime, anche inferiori.

Contesto di riferimento

È bene intanto precisare come il dibattito si collochi dentro una precisa area dell’ordinamento, quella dell’impiego pubblico privatizzato che, nel suo Testo Unico conosce – ben prima della (più ampia) riforma dell’art. 2103 c.c. per il lavoro privato – il principio (art. 52, co. 1, d. lgs. n. 165/2001) della riconosciuta equivalenza delle mansioni dentro il perimetro dell’area inquadramentale del lavoratore, dove però mancano disposizioni chiare sulla possibilità di adibizione a mansioni inferiori.

I precedenti giurisprudenziali

A questa mancanza ha tradizionalmente supplito la giurisprudenza, fissando principi, talvolta recuperati anche dal vicino impianto del diritto del lavoro privato, che possiamo ritenere ormai ampiamente consolidati e richiamati sempre, quasi in maniera didattica, anche dalle ultime sentenze (v. oltre).

In concreto, i giudici di legittimità hanno chiarito a più riprese come l’adibizione anche a mansioni inferiori possa avvenire purché essere risultino richieste marginalmente o incidentalmente (Cass. nn. 22901/2022, 8910/2019, 17774/2006), in maniera temporanea e non definitiva (Cass. n. 19419/2020), in risposta ad esigenze di servizio, organizzative, anche di efficienza/economia del lavoro o di sicurezza, purché restino sempre prevalenti/assorbenti quelle proprie del livello d’inquadramento di assegnazione (Cass. n. 4301/2013) o – in altri termini – assicurando comunque la pertinenza e prevalenza quantitativa e qualitativa delle mansioni della propria professionalità (Cass. n. 33781/2024). Sulle esigenze di servizio si è talvolta fatto richiamo, senza successo, ai soli vincoli di spesa o al blocco delle assunzioni, che di per sé sole non garantirebbero comunque la legittimità della condotta.

Le sentenze nn. 7683 e 12128 del 2025

Principi, come detto, confermati anche dalle ultime pronunce. In particolare, con la Cass. n. 7683/2025 si è cassata con rinvio ad altra composizione la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, n. 1169/2023, perché non aveva tenuto in debita considerazione tutte le circostanze fattuali, introducendo peraltro un inedito requisito, quello delle mansioni (inferiori) collaterali sconosciuto alla giurisprudenza di legittimità. In particolare, non si era valutato il complesso dei turni dell’infermiere ricorrente ma solo il turno notturno ove la carenza di personale e le provate esigenze organizzative giustificavano l’adibizione anche a mansioni inferiori.

La sentenza del maggio scorso, la n. 12128/2025, è invece interessante non fosse altro che per il richiamo che fa, nei motivi (punto 3.4), ad un preciso principio di diritto, secondo cui «nel pubblico impiego privatizzato il lavoratore, venendo in rilievo il suo dovere di leale collaborazione nella tutela dell’interesse pubblico sotteso all’esercizio dell’attività, può essere adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di assegnazione, ma ciò a condizione che tali mansioni non siano completamente estranee alla sua professionalità, che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro e che inoltre la richiesta di tali mansioni inferiori avvenga in via marginale rispetto alle attività qualificanti dell’inquadramento professionale del prestatore o che, quando tale marginalità non ricorra, fermo lo svolgimento prevalente delle menzionate attività qualificanti, lo svolgimento di mansioni inferiori sia meramente occasionale». Lo enuncia, peraltro, dopo aver chiarito i fondamentali nodi interpretativi, partendo prima dalla insussistenza di una illegittimità a priori dell’adibizione a mansioni inferiori sulla scorta del generale principio di leale collaborazione nella tutela dell’interesse pubblico, chiarendo poi come tale assunto non possa estendersi laddove il ricorso a mansioni inferiori risulti sistematico e non marginale, con conseguente violazione del diritto al rispetto della propria professionalità.

Nei fatti, la pronuncia rigetta il ricorso datoriale, confermando la sentenza di secondo grado (Appello L’Aquila, n. 738/2020) con relativa condanna al risarcimento del danno.

La sentenza n. 23431/2025

Dell’ultima sentenza della serie si è scritto da più parti, spesso con toni preoccupati rispetto ad una possibile revisione, in senso peggiorativo, dei principi finora enunciati.

Come per il caso esaminato da Cass. n. 7683/2025, la pronuncia origina dal ricorso di un lavoratore avverso la sentenza di appello (a lui sfavorevole) ove veniva accertato il carattere non prevalente dell’adibizione a mansioni di OSS. A differenza che nel precedente caso però, qui i giudici non intervengono nel merito, limitandosi a contestare invece i termini del ricorso, carente nei previsti canoni della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, dichiarandolo quindi inammissibile. Inammissibile non già per una inversione di rotta, quanto per motivi di ordine processuale.

La pronuncia è comunque utile per il richiamo fatto alla decisione della corte territoriale, che appare in linea con la giurisprudenza consolidata, avendo provato l’insussistenza del demansionamento in ragione della (accertata) mancata prevalenza delle mansioni inferiori, svolte in contemporanea alle proprie e comunque in termini complementari.

Insussistenza del demansionamento accertata, insomma, in applicazione degli ordinari canoni di giurisprudenza.

Marco Menegotto

Ricercatore ADAPT Senior Fellow

X@MarcoMenegotto

* articolo pubblicato anche su Guida al Lavoro, n. 35, 17 Settembre 2025