Politically (in)correct – Perché occuparsi di generazioni e di demografia

Bollettino ADAPT 12 settembre 2022, n. 30

 

Gli alinea dello scenario che segue sembrano – come dice la canzone – “raffiche di mitra che disintegravano cumuli di neve” ovvero i luoghi comuni e le non-verità che circolano liberamente nel nostro dibattito politico-economico (a proposito, per esempio, di lavoro e pensioni) e sono accettati senza che siano tollerate opinioni diverse. I dati che commenteremo sono tratti da una Nota della FNE (la fondazione del Nord Est) a cura di Gianluca Toschi (Ricercatore senior) secondo la quale “LE REGIONI ITALIANE, SENZA BAMBINI E GIOVANI, PERDONO IN PARTENZA LA GARA DELLO SVILUPPO”.

 

lo scenario:

 – In Italia l’età media è di 46,2 anni.

 – Nel 2021 sono nati 398mila bambini, il numero più basso di sempre.

– Per sostenere la stabilità dei sistemi sociali l’indice di fertilità dovrebbe essere di 2,1 figli per donna in età feconda, oggi in Italia è pari a 1,25.

 – L’Italia è il Paese europeo con il più basso numero di giovani e bambini.

 – La quota dei NEET italiani è la più alta in Europa.

– L’età media dei lavoratori nella Pubblica Amministrazione italiana è di 55 anni, nel privato lavora il 60% degli occupati con un’età media di 46 anni.

 – Su 4,5 milioni di Baby Boomer occupati entro il 2025 ne andranno in pensione 1 milione; quindi, i pensionati passeranno da 16 a 17 milioni, contro 23 milioni di occupati. E saranno pensionati classificabili come BB-Baby Boomer (nati tra il 1946e il 1964) con un’età nel 2022 compresa tra 58 e 76 anni. Appartenenti a coorti molto ricche sul piano demografico, entrate presto nel mercato del lavoro e rimasti in modo stabile e continuativo per un lungo periodo, godranno a lungo del trattamento pensionistico a carico delle generazioni successive, molto meno numerose e con rapporti di lavoro più discontinui.

 – In Italia i lavoratori sono i più anziani d’Europa.

 – Gli over55 sono la prima generazione, in Italia, ad avere registrato l’allungamento della vita professionale di almeno 10-15 anni.

– Millennials e X Generation (28-55enni) chiedono lavoro in remoto, scopo e senso delle proprie attività, riconoscimento del merito, maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro e autonomia nel raggiungimento degli obiettivi.

 

Il declino demografico – è scritto nella Nota – anticipa quello economico: il calo dei giovani e l’aumento degli anziani riducono le capacità di apprendimento e la creatività e l’apertura al nuovo di una popolazione. In Europa le regioni italiane sono quelle dove sono meno presenti bambini e giovani e più fitta la schiera degli ultrasessantenni. Inoltre, fino a metà dell’800 la speranza di vita di un adulto era di 60 anni, e adulti si diventava a 15 anni, o poco più. Oggi, invece, già alla nascita si può puntare a 80 anni. In realtà di più, perché la vita si allunga man mano che si svolge, grazie ai progressi medici e nel benessere fisico e mentale. Questo fa sì che oggi convivano sul Pianeta, e spesso nella stessa famiglia, persone appena nate e altre prossime a diventare ultracentenarie. Cioè ben quattro generazioni: mai successo prima nella storia.

 

Quando si parla di generazioni non ci si può limitare – prosegue la Nota – a considerare l’età ma occorre soprattutto considerare il modo di pensare e di guardare al mondo, che è condiviso da persone che sono nate nello stesso periodo. Le diverse composizioni delle popolazioni impattano sulle economie delle regioni europee: quelle più intuitive fanno riferimento al fatto che le regioni con una popolazione più sbilanciata verso Baby Boomer e Matures si troveranno ad affrontare problemi legati all’assottigliamento della forza lavoro, che nel breve e medio periodo non può trovare risposta che nelle politiche mirate ad attirare lavoratori da altre regioni. Ancora, diventeranno centrali le strategie per affrontare l’aumento delle malattie legate all’invecchiamento, che comporteranno, inevitabilmente, un aumento della spesa sanitaria. Va anche detto che il miglioramento della qualità della vita in età avanzata porterà a nuovi bisogni da soddisfare, modificando la struttura dei consumi, generando così nuove opportunità. Ma c’è un’ulteriore implicazione legata alla struttura della popolazione, forse meno intuitiva: i giovani stanno crescendo in un’epoca caratterizzata da grandissima incertezza e questo li obbliga a sviluppare nuove modalità di adattamento a situazioni che cambiano velocemente. Modalità che potrebbero essere utili per tutti. Il rischio per le “regioni più vecchie” è quello di essere più lente non solo a costruire futuri ma anche a cambiare velocemente da uno scenario all’altro.

 

Pur avvertito della trappola delle etichette, l’autore della Nota per comodità di esposizione non esita a farvi ricorso e rappresenta così le sette generazioni che convivono sulla terra nell’attuale fase storica.

– Alpha Gen (2011-2025) età 2022: 0-11 anni

– Z Gen (1995-2010) età 2022: 12-27 anni

– Y-Millennials (1994-1980) età 2022: 28-42 anni

– X Generation (1965-1979) età 2022: 43-57 anni

 – BB-Baby Boomer (1946-1964) età 2022: 58-76 anni

  -Matures (1925-1945) età 2022: 77-97 anni 

– Founders (<= 1924) età 2022: maggiore o uguale di 98 anni

 

Le regioni italiane, che hanno pochi abitanti della Generazione Z, pochi Millennials e tanta Generazione X, rischiano di essere meno adattive e incapaci di cogliere i vantaggi dei mutamenti tecnologici. Diversamente dalle generazioni precedenti. i Millennials hanno avuto accesso fin da piccoli a una serie di tecnologie che hanno modificato il loro rapporto con il lavoro. Appartengono a questa generazione le persone che cambiano posto di lavoro ogni tre o quattro anni, se non vengono motivate adeguatamente e se le loro aspettative vengono frustrate. Ancora, i Millennials e i membri della X Generation sono quelli che chiedono con maggior frequenza di lavorare in remoto, di avere una maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro e anche autonomia nel raggiungimento degli obiettivi. La distribuzione delle diverse generazioni tra le regioni europee non è omogenea. Le regioni che hanno la più alta percentuale di persone appartenenti alla generazione Z si trovano in Francia, Belgio, Irlanda e Danimarca. I Millennials prevalgono nelle regioni dell’Europa orientale, mentre la generazione X caratterizza le regioni dell’Italia e della Spagna. Le diverse composizioni delle popolazioni impattano sulle economie delle regioni europee in diversi modi: quelle più intuitive fanno riferimento al fatto che le regioni con una popolazione più sbilanciata verso Baby Boomer e Matures si troveranno ad affrontare problemi legati all’assottigliamento della forza lavoro, che nel breve e medio periodo non può trovare risposta che nelle politiche mirate ad attirare lavoratori da altre regioni. Ancora, diventeranno centrali le strategie per affrontare l’aumento delle malattie legate all’invecchiamento, che comporteranno, inevitabilmente, un aumento della spesa sanitaria. Va anche detto che il miglioramento della qualità della vita in età avanzata porterà a nuovi bisogni da soddisfare, modificando la struttura dei consumi, generando così nuove opportunità.

 

Ma c’è un’ulteriore implicazione legata alla struttura della popolazione, forse meno intuitiva – prosegue la Nota –: i giovani stanno crescendo in un’epoca caratterizzata da grandissima incertezza e questo li obbliga a sviluppare nuove modalità di adattamento a situazioni che cambiano velocemente. Modalità che potrebbero essere utili per tutti. Il rischio per le “regioni più vecchie” è quello di essere più lente non solo a costruire futuri ma anche a cambiare velocemente da uno scenario all’altro. Le regioni italiane, che hanno pochi abitanti della Generazione Z, pochi Millennials e tanta Generazione X, rischiano di essere meno adattive e incapaci di cogliere i vantaggi dei mutamenti tecnologici. Le competenze digitali generano un vantaggio competitivo a favore delle generazioni più giovani nel mercato del lavoro che sono meglio attrezzate rispetto alle generazioni composte da non nativi digitali. Per affrontare la transizione verso il digitale le imprese hanno bisogno di competenze adeguate e quindi di riuscire ad attirare i giovani, in particolare quelli che appartengono alla generazione dei Millennials e alla Generazione Z. Nell’attrarli – avverte la Nota anche con riferimento ai casi di mismacht – l’errore da non commettere è quello di ignorare l’idea di lavoro che queste generazioni hanno. Si è già detto, ad esempio, che i Millennials chiedono con maggior frequenza di lavorare in remoto, di avere maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro ma anche autonomia nel raggiungimento degli obiettivi. Gli appartenenti a tale generazione sono portati anche a cambiare frequentemente posto di lavoro.

 

Considerando l’allungamento della vita lavorativa è possibile che all’interno di una stessa organizzazione si trovino a lavorare persone di cinque generazioni diverse sul piano cognitivo.  Inoltre, secondo la Nota, la distanza non si misura solo in anni. Tra un Founder o un Mature e un Alpha Gen il divario è analogo a quello tra un contadino medievale e un operaio specializzato automobilistico di sessant’anni fa. Chi è passato per la Seconda guerra mondiale o chi ha assistito alla prima passeggiata umana sulla Luna è spiazzato dalla velocità digitale dei bambini, che oggi sfogliano la pagina di un libro pensando sia touch. Solo le società e le imprese che riescono a fare dialogare le diverse generazioni, superando la Babele di linguaggi e approcci culturali alla vita e al lavoro, migliorano produttività, reddito e benessere.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Politically (in)correct – Perché occuparsi di generazioni e di demografia