Politically (in)correct – Il rendiconto del prof. Tridico

Bollettino ADAPT 27 febbraio 2023, n. 8

 

Avvicinandosi la scadenza del mandato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha voluto fare un bilancio della sua esperienza alla guida del “Pentagono del welfare all’italiana” e tracciare alcune considerazioni e proposte per quanto riguarda le prospettive. Ne è uscita un’ampia ed interessante conversazione con Enrico Marro (uno dei migliori giornalisti economici del Paese) pubblicata dalle edizioni Solferino, col titolo “Il lavoro di oggi, la pensione di domani. Perché il futuro del Paese passa dall’Inps”. Tridico comincia parlando di sé; nato in una famiglia povera con tanti fratelli, a Scala Coeli, 800 abitanti in provincia di Cosenza, si dichiara “figlio dello Stato sociale” ovvero di quel sistema di diritti e tutele che hanno consentito ad un giovane meritevole di salire sull’ascensore sociale e diventare un professore universitario, prima, poi presidente del più grande Istituto previdenziale d’Europa.

 

A questo proposito, Tridico parla di come, giovane docente di economia, entrò in contatto con i vertici (si può dire?) del M5S che lo inclusero, come ministro del Lavoro, nel “governo virtuale” proposto prima delle elezioni del 2018, in cui Giuseppe Conte compariva in qualità di titolare della Funzione Pubblica. Quando si formò la maggioranza giallo-verde, le spartizioni tra Lega e M5S andarono diversamente: Luigi Di Maio si assicurò in superministero che attraversava via Veneto, con il Lavoro da una parte, lo Sviluppo economico dall’altra. In compenso – scrive Marro – Di Maio chiamò il professor Tridico a fargli da braccio destro nello stesso ministero che gli aveva promesso. L’incarico formale era di consigliere. “Mi chiese di dargli una mano su temi quali decreto dignità, reddito di cittadinanza, riders, salario minimo”, insomma le cose che aveva studiato e teorizzato da anni nelle aule universitarie italiane e straniere. “Ci ho lavorato con molto piacere tra giugno 2018 e febbraio 2019. Fu un periodo di grandi innovazioni, che poi si rivelarono molto utili per sostenere l’economia e la coesione sociale durante la pandemia”. Tridico esprime una visione compiuta dei problemi della società italiana e spiega, incalzato da Marro, perché a suo avviso non funziona più quell’ascensore sociale che ha cambiato la sua vita.

 

L’ascensore sociale del Dopoguerra si inseriva in una società in crescita, economia e demografica. Trend che si sono interrotti da molto tempo, aprendo la porta a un ripiegamento strettamente legato all’invecchiamento della popolazione e alla crisi delle nascite. Un problema tanto centrale quanto complesso da affrontare. Io credo che il lavoro sia il punto fondamentale. Dobbiamo aumentare il numero di occupati, migliorare le tutele per dare continuità e dignità al lavoro. Negli ultimi due-tre decenni, penso che la politica abbia registrato troppi fallimenti su questo: nel 1996 avevamo un tasso di occupazione appena sotto il 60% e un numero di occupati inferiore ai 23 milioni, più o meno come nel 2022. Sono state fatte numerose riforme che promettevano di aumentare l’occupazione, la produttività e gli investimenti, se liberavamo il mercato del lavoro da briglie, anzi da lacci e lacciuoli. Non abbiamo avuto nulla di questo. Siamo al punto di partenza. L’occupazione non è aumentata. E in più c’è una flessibilità spuria, non necessaria, anzi dannosa, che andrebbe eliminata. Ci sono bassi salari per oltre quattro milioni e mezzo di lavoratori, in prevalenza donne e giovani. Ci sono lavoratrici discriminate e costrette al part-time involontario, che abbassa i salari e le relative contribuzioni per la futura pensione. Le forme contrattuali precarie andrebbero riviste o cancellate: mi riferisco al contratto a chiamata e intermittente, ai tirocini extra-curriculari non retribuiti o retribuiti con somme molto basse. Il welfare oggi interviene anche per compensare queste forme di precarietà, ma il costo così lo paga lo Stato, vale a dire i contribuenti, la fiscalità generale o, per meglio intenderci, le future generazioni, i nostri figli.

 

Arrivato all’Inps prima come commissario, poi come presidente, Tridico si è trovato a governare da solo una portaerei come l’Inps, perché il Consiglio di amministrazione fu nominato ed insediato in tempi successivi. Peraltro la politica ci infilò lo zampino. Dal Conte 1 si è passati al Conte 2 con una diversa maggioranza: il cambio si è riflesso anche nel ruolo dei consiglieri, nel senso che Maria Luisa Gnecchi entrata in rappresentanza della minoranza (Pd) fu nominata vice presidente al posto del consigliere in quota della maggioranza giallo-verde. L’Inps è una realtà complessa che interagisce con tutte le famiglie e le imprese. Tridico ne diventò presidente nel periodo drammatico della pandemia quando l’Istituto fu chiamato a gestire gli interventi di soccorso alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese.

 

La pandemia da Covid-19 si è abbattuta sul Paese come uno Tsunami. E ha impegnato l’Inps nell’erogazione di circa 60 miliardi di euro per prestazioni e aiuti decisi dal governo. I beneficiari, nel biennio 2020-21, sono stati 15,7 milioni, così ripartiti: 6,7 milioni di lavoratori interessati alla cassa integrazione Covid, per una spesa di 29,6 miliardi di euro; 4,6 milioni di destinatari di bonus per lavoratori autonomi, professionisti, stagionali, agricoli, lavoratori del turismo e dello spettacolo, per una spesa di 8,3 miliardi; 1,4 milioni di beneficiari di bonus baby sitter, estensione della legge 104 e congedi parentali, per 2,1 miliardi; 900mila famiglie beneficiarie del Reddito di emergenza, per un valore di 3 miliardi; 1,9 milioni di famiglie interessate al Rdc/Pdc, per un totale di oltre 3,7 milioni di persone e 15,9 miliardi di spesa; 200mila lavoratori col prolungamento della Naspi (indennità di disoccupazione), per un costo di 800 milioni di euro. Il tutto – va sottolineato – mentre 42 milioni di utenti, cittadini e imprese ricevevano dall’Inps le prestazioni ordinarie. Non smetterò mai di ricordare quanto il ruolo dell’Inps durante la fase emergenziale sia stato fondamentale per l’attuazione dei provvedimenti emanati dal legislatore per attenuare gli effetti economici e sociali della pandemia. Milioni e milioni di persone, in poco tempo e con un impegno straordinario di tutta la struttura dell’Istituto, sono state raggiunte dalle prestazioni, in alcuni casi categorie di persone che mai prima avevano ricevuto nulla tramite lo Stato e l’Inps.

 

INDENNITÀ BENEFICIARI

(in migliaia)

 

BENEFICIARI

(in migliaia)

Bonus 500, 600, 1.000 e 2.400 euro                                                             

4.415

Estensione del congedo parentale                                                                

305

Bonus baby sitting                                                                                            

901

Estensione della legge 104                                                                               

226

Cassa integrazione ordinaria                                                                          

2800

Cassa integrazione in deroga                                                                           

1702

Fondi di solidarietà           

2.247

Reddito di emergenza

934

Bonus lavoratori domestici                                                                             

216

Reddito/Pensione di cittadinanza                                                                  

1.925

TOTALE                                                                                                              

 

15.671

Spesa stimata

 

59,7 miliardi

(Fonte: Inps)

 

Enrico Marro, poi, incalza Tridico sui principali temi che lo hanno visto fornire un contributo al dibattito in corso.

 

Pensioni

 

E arriviamo così alla famosa proposta Tridico che da molti mesi è al centro del dibattito tra esperti e meno esperti su cosa fare per rendere il sistema attuale un po’ più flessibile. Sentiamola – scrive Marro – spiegata dal suo stesso autore. Si tratta di questo: dare la possibilità, al raggiungimento dei 63-64 anni d’età, di lasciare il lavoro prendendo solo la parte contributiva della pensione, ovvero quella che si è maturata con i versamenti dal 1996 in poi, a patto che questa sia pari ad almeno 1,2 volte l’assegno sociale (nel 2022 si tratta di 561,7 euro al mese per 13 mesi). La restante parte della pensione, quella retributiva, cioè calcolata sui contributi precedenti il 1996, si riceverebbe – integrando quella contributiva – a partire dai 67 anni di età. Una pensione in due tempi, quindi: prima parziale, poi completa. Flessibile e sostenibile, perché non graverebbe sui conti pubblici, e inserita coerentemente nell’attuale modello pensionistico contributivo. Quanto costerebbe – chiede Marro – al bilancio pubblico questo nuovo canale di pensionamento anticipato? Nel Rapporto annuale Inps del 2022 abbiamo fatto una simulazione sulla mia proposta e su altre due che sono al centro del dibattito: la penalizzazione dell’importo della pensione in funzione dell’uscita anticipata del lavoro, da 64 anni in poi, e quella di estendere a tutti la pensione anticipata prevista nel solo regime contributivo, riducendo però il minimo di importo maturato da 2,8 a 2,2 volte l’assegno sociale. Rispetto ai tre scenari di spesa, la mia proposta è quella che costerebbe meno: meno di 4 miliardi nei primi tre anni. 

 

Salario minimo

 

Marro passa quindi ad affrontare il tema del salario minimo che è stato al centro del dibattito nella precedente legislatura e che ora è stato accantonato dal governo. Le stesse parti sociali hanno avuto dei dubbi a proposito di un salario minimo orario per legge, perché, a loro avviso, ne risulterebbe danneggiata la contrattazione: molte imprese potrebbero infatti trovare conveniente applicare il minimo legale, rinunciando a negoziare con i sindacati. Ora questa preoccupazione sembra superata, almeno dalla Cgil e dalla Uil. E Marro chiede se c’è questo rischio. “A mio parere no. Nei Paesi avanzati come il nostro i sindacati sono fondamentali non solo per stabilire il riferimento monetario, ma anche per contrattare condizioni di lavoro, ferie, permessi, orari, salute e sicurezza, welfare integrativo, eccetera. Per questo la contrattazione continuerebbe a essere fondamentale. L’esempio della Germania, che ha introdotto un minimo legale nel 2019 pari a 9 euro, alzato nel 2022 a 12 euro, lo dimostra: la contrattazione risulta addirittura più forte”. Poi, proseguendo nel ragionamento, Tridico aggiunge: “L’introduzione di un salario minimo in Italia, che sposterebbe in aggregato sulla quota lavoro circa 4-5 miliardi di euro, avrebbe un impatto macroeconomico positivo e risolleverebbe i salari reali, fermi in Italia dal 1992”. Fermi anche perché la produttività è cresciuta pochissimo. “È vero, abbiamo avuto una scarsa performance della produttività del lavoro, di circa il +10% cumulata, ma non negativa come i salari, che sono diminuiti del -2,9%, come si vede nelle statistiche Ocse”.

 

Percentuale dei lavoratori con contratto a tempo determinato per classe di giornate retribuite e genere (quadrimestri)

 

   

1 giorno

2-7 giorni

8-30 giorni

31-60 giorni

61-180 giorni

181-365 giorni

Oltre 365 giorni

LAV. NON STAGIONALE

2021Q1

9,2

9,1

15,9

12,9

28,1

23,7

1,2

2021Q2

14,2

9,8

16,2

12,7

30,1

16,3

0,8

2021Q3

10,4

6,3

12,9

12,8

29,4

27,3

0,8

2021Q4

13,2

10,0

14,9

16,0

29,3

15,5

1,1

 

Il ragionamento – replica Enrico Marro – funziona a patto che i salari vadano di pari passo con la produttività. E questo ha a che fare con la qualità del capitale umano, la dimensione d’impresa, le infrastrutture, gli investimenti in innovazione, tutti fattori sui quali l’Italia deve recuperare posizioni nelle classifiche internazionali. Altrimenti salari alti si traducono in perdita di competitività. Direi quindi che le basse retribuzioni che caratterizzano il nostro Paese sono figlie anche dei suoi ritardi e, a loro volta, vi contribuiscono, in un circolo vizioso. Fissare un salario minimo per legge potrebbe – si chiede Marro – spezzare questa spirale negativa?

 

Reddito (e pensione) di cittadinanza

 

Viene il momento in cui Marro porta Tridico a “giocare in casa”. Il presidente dell’Inps si vanta di aver svolto un ruolo molto significativo e determinante nell’immaginare e definire un Istituto come il RdC (e di averne gestito la prima applicazione e garantito l’erogazione come presidente dell’Inps. Tridico ci tiene a rivendicare il proprio ruolo di studioso, ripercorrendo tutto il cammino che lo ha portato dall’Università al ministero prima e all’Inps, poi: “Nel 2015 – rammenta il Presidente – avevo scritto un saggio scientifico sul reddito di cittadinanza come misura di reddito minimo. Tra il 2018 e i primi mesi del 2019, come consigliere economico del Ministero del Lavoro, lavorai concretamente per creare una misura di policy efficace. Bisognava tenere insieme una serie di esigenze, alcune difficili da conciliare. Ricordo l’entusiasmo di quelle giornate: sapevamo che stavamo realizzando una cosa epocale, una delle più importanti politiche sociali del paese, come l’introduzione dell’invalidità o dell’assegno sociale. Si sarebbe decisa una spesa consistente, talmente grande che molti pensavano che i mercati, la finanza, i timori sullo spread, alla fine ci avrebbero bloccato. Invece, per la prima volta la lobby dei poveri entrava nel Palazzo e prendeva per sé risorse importanti. Al Ministero del Lavoro esiste una direzione che si chiama ‘Lotta alla povertà e programmazione sociale: mai come in quel momento era al centro dell’azione politica. Era diretta, all’epoca, da uno dei più bravi dirigenti che abbia mai conosciuto, Raffaele Tangorra, che aveva realizzato, da tecnico, tutte le misure di contrasto alla povertà fino a quel momento adottate. Per mesi, io e lui, chiusi nella sua stanza a via Fornovo dalla mattina alla sera, facemmo simulazioni, messe a punto della platea e dell’articolato di legge. Volevamo raggiungere, con il Reddito, le tante facce che assume la povertà, dal barbone della stazione alla ragazza madre con un lavoretto e mille difficoltà, il tutto rispettando i desiderata politici e cercando di trovare i migliori compromessi possibili tra le diverse anime di governo, che avevano visioni opposte sulla misura, tra chi la voleva unicamente come una politica attiva e chi la vedeva come una misura di contrasto alla povertà. Per individuare la platea dei poveri nella maniera più inclusiva ricorremmo all’Isee, l’indicatore della situazione economica familiare, anziché seguire il criterio dell’Istat che classifica i poveri sulla base dei consumi individuali. Del resto, è impossibile ottenere una variabile amministrativa unicamente basata sui consumi”.

 

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Sta di fatto – obietta Marro – che il Rdc non si è rivelato una misura di reinserimento nel mondo del lavoro, se non altro perché i percettori, nella stragrande maggioranza dei casi di coloro che sono occupabili (esclusi quindi minori, anziani e disabili), non hanno mai lavorato, hanno bassi livelli di istruzione e spesso problemi di salute e di inserimento sociale che li rendono inabili al lavoro o difficilmente collocabili, tanto più da parte di personale inesperto come i navigator, i quali, tra l’altro, sono stati spesso ostacolati dai centri per l’impiego, che avrebbero dovuto accoglierli e sostenere. Secondo il monitoraggio dell’Anpal, a giugno 2022, i beneficiari del Rdc tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro erano solo 660mila, quasi la metà con più di 40 anni d’età, mentre quelli già occupati appena 173mila (il reddito da lavoro è però così basso da far loro ottenere il Rdc). Dei 660mila indirizzati al Patto per il lavoro, ben il 73% non ha avuto un’occupazione negli ultimi tre anni e il 71% ha come titolo di studio al massimo la licenza media inferiore. Solo 280mila (42,5%) sono stati presi in carico dai centri per l’impiego o avviati a un tirocinio. E alla fine del primo semestre 2022 appena 115mila sono decaduti dal sostegno al reddito perché hanno trovato un lavoro mentre erano percettori del Rdc (che poteva, prima della sua abrogazione, durare al massimo 18 mesi, rinnovabili dopo un mese di sospensione), ma non si sa se questa occupazione sia stata trovata per proprio conto o grazie ai servizi per l’impiego. “La stima di 660 mila ‘occupabili’, replica Tridico, è una stima categoriale (ovvero basata su età, abilità, carichi familiari); una stima inferiore, non categoriale, ma basata sulla storia contributiva, sul profilo lavorativo e sulla vicinanza al mercato del lavoro, è quella contenuta in una analisi del coordinamento statistico attuariale dell’Inps, pubblicata a febbraio 2022, che parla di 350/400 mila persone, circa il 18% dei beneficiari”.

 

Resta comunque un problema che chiama in causa quanto contenuto nella legge di bilancio per il 2023 a proposito del RdC. Siamo ormai alla fine del mese di febbraio. Nei cinque mesi che rimangono all’abolizione del RdC dovrebbero essere organizzati corsi di formazione obbligatoria della durata di un semestre e offerto almeno un posto di lavoro congruo (i criteri di questa congruità non sono definiti e quindi dovrebbero restare in vigore i precedenti) il rifiuto del quale comporterebbe la decadenza dal beneficio. Non è certo responsabilità del presidente Tridico e tutto questo lavorio rimane (e rimarrà?) una “speranza delusa” che indurrà inevitabilmente il governo a rifare i conti.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Politically (in)correct – Il rendiconto del prof. Tridico