Politically (in)correct – Il Libro Nero sulle pensioni

Bollettino ADAPT 17 febbraio 2020, n. 7

 

Dal 1995 al 2018, nei soli settori privati dell’Inps, sono state erogate, cumulativamente, 3,9 milioni di pensioni anticipate/anzianità (il dato comprende uomini e donne, anche se il numero di lavoratori è sempre largamente superiore a quello delle lavoratici) ad un’età media alla decorrenza inizialmente pari 56 anni per arrivare, alla fine del periodo considerato, a 61 anni. E’ quanto si ricava da una tabella, con numeri microscopici (immaginiamo per ragioni editoriali) del Rapporto n.7 (2020) del Centro studi della Fondazione Itinerari previdenziali, presentato a Roma, la settimana scorsa. 

 

Come di consueto, il Rapporto è una miniera di preziosi dati statistici e meriterebbe di diventare, dapprima, materia di esame per l’accesso alla professione, poi di formazione periodica per i giornalisti, i quali, troppe volte, diffondono notizie inconsistenti, tali da raccontare una condizione inesistente, fallace e luogocomunista della condizione dei pensionati italiani. 

 

Va da sé che regole generose sul piano dell’età pensionabile riconosciute a coorti entrate molto presto e in modo stabile nel mercato del lavoro ed applicate quando l’attesa di vita spiccava il suo “grande balzo” in avanti, hanno determinato l’effetto di un lungo periodo di godimento della prestazione. Con punte davvero eccezionali fino a rendere l’esistenza da pensionato più o meno uguale a quella trascorsa lavorando

 

Il 1° gennaio 2019 risultavano in pagamento, da parte dell’Inps, oltre 650 mila pensioni IVS ((Invalidità, Vecchiaia, Superstiti n.d.r)  percepite da 38 anni e più. Di queste, 585mila circa nei settori privati, dipendenti e autonomi, e 67mila in quelli pubblici. Per via della maggiore longevità i due terzi dei percettori sono donne. La durata delle pensioni, erogate dal 1980 o prima nel settore privato ed ancora oggi vigenti, è in media di circa 44 anni e nel settore pubblico di 44,4 anni per gli uomini e di 43,3 per le donne. Si tenga conto che, ad oggi, per un 65enne la durata media della prestazione pensionistica (valore attuale medio per maschi e femmine della pensione diretta e di reversibilità) è calcolata a poco più di 19 anni. Attualmente sono in pagamento 5.926.341 prestazioni IVS che – sostiene il Rapporto – hanno una durata di 20 anni e più, pari al 35,3% del totale delle pensioni IVS (circa 16,05 milioni). Le donne, più longeve, fanno la parte del leone, con il 79% del totale di prestazioni IVS in pagamento da 38 anni e più e con il 67,3% sul totale per genere di quelle con durata da oltre 25 anni; si tratta prevalentemente di pensioni di invalidità, superstiti e vecchiaia. 

 

Ma la “pacchia” non finisce qui. Come direbbe il grande Totò: “è la somma che fa il totale”. Se si considera, infatti, non solo il settore privato ma anche quello pubblico (ex Inpdap) e il settore dello spettacolo (ex Enpals), escludendo solo le Casse “privatizzate” dei liberi professionisti, emergono dati abbastanza clamorosi che non sono percepiti come tali dall’opinione pubblica. Al 31 dicembre 2018 le pensioni di anzianità erano più di 6 milioni (il 36,1% del totale), quelle di vecchiaia 5,2 milioni (il 31,4%), quelle di invalidità previdenziale 1,1 milioni (6,8%), quelle ai superstiti 4,3 milioni (25,7%). Una situazione analoga non esiste in nessun altro Paese, anche laddove (quasi ovunque) è prevista una forma di trattamento anticipato

 

E su questo punto il Rapporto compie nuovamente un atto di trasparenza (alcuni giornali nei giorni scorsi avevano scritto che, in Italia, vige l’età pensionabile più elevata d’Europa. Ma chi osserva l’età legale fa la figura della persona che concentra la sua attenzione sul dito che indica la Luna, perché è l’età effettiva alla decorrenza il dato rilevante da prendere in esame). Così Itinerari previdenziali cita gli ultimi dati OCSE, disponibili al 2017, i quali stimano l’età media effettiva di uscita dalle forze lavoro per pensionamento (vecchiaia, anzianità e invalidità) dei paesi europei ed evidenziano che in molti Stati della UE l’età media effettiva è più elevata di quella italiana. Il Portogallo con un’età legale unica di 66,3 anni registra l’età effettiva di pensionamento più elevata della UE con 69,6 anni per gli uomini, che restano attivi per altri 3,3 anni oltre l’età legale, e 65,6 anni per le donne. Seguono: la Svezia che, rispetto all’età legale unica di 65 anni, ha età effettive di pensionamento superiori (66,0 anni gli uomini e 65,1 anni le donne); l’Irlanda (età legale 66 anni) con età effettive maschili di 66,0 anni e di 64,2 anni per le donne e l’Estonia che nonostante un’età legale di 63 anni registra un’età effettiva di uscita per gli uomini di 65,8 anni e di 65,2 anni per le donne. 

 

Al contrario, l’OCSE per l’Italia (considerando ancora l’età legale differenziata nel 2017 di 66,6 anni per gli uomini e di 65,6 anni per le donne) con una popolazione che sta rapidamente invecchiando e il debito pubblico in rapporto al PIL più alto d’Europa, vanta età medie effettive di uscita nettamente inferiori alle età legali di oltre 4 anni per il settore privato e pubblico: 62,4 anni per gli uomini e 61,0 anni per le donne. La Francia (età legale unica di 62 anni), che ha però una situazione demografica migliore di quella italiana, registra età effettive di uscita di 60,5 anni per gli uomini e 60,6 anni per le donne. Per la Germania (età legale unica di 65 anni), con una popolazione che invecchia ma con un debito pubblico sul PIL di oltre la metà di quello italiano (che quindi può garantire la sostenibilità a lungo termine del suo sistema previdenziale), l’OCSE registra età effettive di uscita di 63,6 anni per gli uomini e 63,4 anni per le donne. 

 

Eppure, chi si occupa della materia sa che nel confronto tra governo e sindacati si potrebbe realizzare una convergenza intorno ad un sostanziale abbassamento dell’età pensionabile anticipata, magari sottoponendo la prestazione ad un calcolo contributivo integrale. Nonostante che le discussioni si svolgano su più tavoli è presumibile che non si arrivi a capo di nulla, vista la precarietà del quadro politico. Ma prima o poi qualcuno si dovrà porre il problema di quali saranno le regole del sistema pensionistico al termine del periodo di sperimentazione (per quota 100 e altre misure) introdotto dal decreto n. 4/2019.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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