Politically (in)correct – I sindacati al governo: “caro amico ti scrivo…”

Bollettino ADAPT 26 aprile 2023, n. 16

 

Dopo un’ampia campagna di assemblee sui luoghi di lavoro CGIL, CISL e UIL stanno organizzando tre manifestazioni interregionali (Nord, Centro, Sud) che si svolgeranno a Bologna (6 maggio), Milano (13 maggio) e Napoli (20 maggio). “La mobilitazione – è scritto nel documento unitario – intende sostenere le richieste unitarie avanzate da CGIL, CISL e UIL e dalle Categorie nei confronti del Governo e del Sistema delle Imprese al fine di ottenere un cambiamento delle politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali, e concreti risultati” nelle materie che vengono elencate:
 

– Tutela dei redditi dall’inflazione ed aumento del valore reale delle pensioni e dei salari, rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati;

– Riforma del fisco, con una forte riduzione del carico su lavoro e pensioni, maggiore tassazione degli extraprofitti e delle rendite finanziarie;

– Potenziamento occupazionale e incremento dei finanziamenti al sistema sociosanitario pubblico per garantire il diritto universale alla salute e al sistema di istruzione e formazione, maggiore sostegno alla non autosufficienza;

– Un mercato del lavoro inclusivo per dire no alla precarietà, orientato e garantito da investimenti, da un sistema di formazione permanente, da politiche attive, e da ammortizzatori sociali funzionali alla transizione;

– Basta morti e infortuni sul lavoro, contrasto alle malattie professionali. Occorre ridare valore al lavoro, eliminare i subappalti a cascata e incontrollati, e portare avanti una lotta senza quartiere alle mafie e al caporalato;

– Riforma del sistema previdenziale;

– Politiche industriali e d’investimento condivise con il mondo del lavoro per negoziare una transizione ambientale sostenibile, sociale e digitale, realizzando un nuovo modello di sviluppo con particolare attenzione al Mezzogiorno e puntando alla piena occupazione.

 

Proseguendo nella lettura del documento, le rivendicazioni divengono più concrete e mettono in evidenza anche questioni di merito. Per esempio, in materia di pensioni vengono richiamate le richieste presentate (separazione tra previdenza ed assistenza, pensionamento a partire da 62 anni di età o con 41 anni di versamenti, pensione contributiva  di garanzia per i giovani) da tempo immemorabile ai diversi governi che si sono succeduti e che sono state discusse su tanti tavoli tecnici da sollevare il dubbio che le suppellettili a rotelle acquistate durante la prima fase della pandemia siano state usate allo scopo di ospitare i “magnanimi lombi” degli sherpa governativi e sindacali.

 

Ma ha un senso una piattaforma così? Che cosa può rispondere un governo quando gli vengono proposte rivendicazioni che sembrano auspici?  E’ negoziabile la richiesta di un mondo ideale, in cui un governo affronti tutti in una volta i tanti problemi del Paese? Immaginiamo che alla fine delle manifestazioni del “maggio italiano” (quello francese si è spento in aprile) il governo incontri le organizzazioni sindacali; che i leader sindacali illustrino la loro piattaforma; come potrebbe rispondere un governo su questi punti, se non dimostrare disponibilità tanto generica quanto sono i punti della piattaforma? E quindi dare modo ai sindacalisti di uscire da Palazzo Chigi e svolgere le loro dichiarazioni davanti alle telecamere e alla selva di microfoni? Alcuni diranno che il governo ha manifestato una concreta disponibilità al confronto; altri, più radicali, affermeranno che le risposte del governo sono state generiche ed elusive dei problemi sollevati a prova che non basta la mobilitazione, ma occorre passare alla lotta “fino allo sciopero generale”. In realtà le richieste e le risposte non si incontrano perché ognuna delle parti segue un suo percorso. Il governo ha parlato con il Def, con la delega in materia fiscale. Ha già detto che intende soprassedere per quanto riguarda la riforma delle pensioni. Il 1° maggio – a stare a quanto annunciato – l’esecutivo farà la messa in scena di riunirsi e varare un decreto in materia di lavoro. Poi c’è la grande partita del PNRR a cui potrebbero essere ricondotti (non ci sono alternative) tutte le sollecitazioni dei sindacati in materia di sviluppo, occupazione, transizione ecologica, Mezzogiorno e quant’altro. Su questi temi le Organizzazioni Sindacali lamentano di essere di fatto escluse da un confronto preventivo e di essere semplicemente informate delle decisioni di volta in volta assunte dal Consiglio dei Ministri.

 

A leggere la piattaforma si riceve un’altra impressione: quella per la quale i sindacati hanno un solo interlocutore nel governo. I miglioramenti della condizione dei lavoratori possono venire soltanto dalle politiche pubblica; anche la classica “redistribuzione” (l’assillo della socialdemocrazia realizzata) è affidata al fisco, attraverso la stessa riduzione del cuneo tra costo del lavoro e salario netto. Non si sono accorti che mettendo insieme il taglio contenuto nella legge di bilancio e quello annunciato nel Def si arriva ai 5 punti rivendicati (“La riduzione del cuneo contributivo di 5 punti fino a 35.000 euro di reddito annuo va fatta subito, e tutta a vantaggio dei lavoratori). Ma a saper fare la somma dei tagli effettuati negli ultimi anni, compresi quelli del governo Draghi, si arriva a 10 miliardi (80 euro netti in busta paga) destinati a divenire strutturali come fu per il bonus disposto dal governo Renzi. E per la prima volta tutti a favore dei lavoratori.

 

 Il mondo delle imprese è sempre su di uno scenario sfuocato. A volte gli vengono riconosciute persino delle giustificazioni: “La redistribuzione della produttività è inadeguata anche nelle imprese che hanno alti profitti e i salari risentono negativamente anche di politiche aziendali volte al dumping contrattuale e a occultare gli utili eludendo o evadendo il fisco”. Poi ecco che ricompare la solita faccia feroce: “I contratti collettivi nazionali di milioni di lavoratori tardano ad essere rinnovati, compresi quelli dei dipendenti pubblici. Il lavoro irregolare e precario, i tirocini extracurriculari, le false partite iva, la discontinuità lavorativa con contratti di breve durata e i part time involontari rendono povero anche chi lavora, colpendo in particolare giovani e donne’’. Quale deve essere allora la risposta del sindacato (visto che tutte le difficoltà elencate non sono “figlie di nessuno”, ma rientrano nei compiti del sindacato? “Va aperta una vertenza generale per l’aumento dei salari agendo sia sul piano della riduzione del carico fiscale e contributivo per i lavoratori (ecco che viene chiamato in causa lo Stato, ndr) sia rinnovando i contratti nazionali pubblici e privati con aumenti che recuperino il potere d’acquisto in rapporto con l’inflazione e puntino ad una crescita del valore reale dei salari”. Sembra che nel fare queste affermazioni Cgil, Cisl e Uil parlino come se fossero degli spettatori di un dramma di cui invece dovrebbero le principali protagoniste.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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