Politically (in)correct – E se gli anziani fossero “poveri benestanti’’

Arriverà ad una qualche conclusione condivisa il confronto tra Governo e confederazioni sindacali che ormai è in corso da mesi ? A quanto se ne sa il tema centrale e prioritario resta quello delle pensioni, tanto che al tavolo siedono, nella delegazione sindacale, anche i rappresentanti dei pensionati. Probabilmente di occupazione si parlerà allo scopo di mortificare il lavoro che cresce per il semplice fatto che viene retribuito con i voucher (il nuovo sterco del diavolo), benché dai dati statistici raccolti risulti che solo il 2,2 per cento dei lavoratori percepisce compensi superiori a 3mila euro annui. Questa dovrebbe essere la prova inconfutabile  che si tratta davvero di “lavoro accessorio” che, prima della liberalizzazione dei voucher era svolto magari “in nero”; e tornerà ad esserlo se si rimetteranno eccessivi vincoli al loro utilizzo. Tutto lascia credere che il versante di carattere sociale della legge di stabilità per il 2017 riguarderà le pensioni, con misure che non guardano al futuro, ma al presente e al passato, nel senso che saranno rivolte a chi in pensione c’è già, ma, soprattutto, a chi è vicino a varcare quell’agognata soglia.

 

Il piatto delle proposte è ricco: si va dall’Ape, al ripristino della gratuità della ricongiunzione contributiva  (in aggiunta a quanto già disposto alla fine della XVI Legislatura), agli sconti  per l’età pensionabile dei c.d. precoci (quelli che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni), all’ampliamento della “Notax area” per i pensionati, al miglioramento o all’estensione della “quattordicesima” a coloro che percepiscono trattamenti bassi pur avendo versato contributi per  un significativo numero di anni. Oltre  a tali questioni  in qualche misura prioritarie, altri aspetti sembrano essere usciti di scena (l’opzione donna) e i benefici per i lavori usuranti (che dovrebbero essere assorbiti all’interno delle agevolazioni previste per l’Ape). C’è poi da aspettarsi che il Parlamento, con propria iniziativa, vari l’ottava salvaguardia per i c.d. esodati: tutte le forze politiche sono d’accordo e viene fatto valere l’argomento per cui nell’apposito fondo esistono dei risparmi che possono essere destinati a parziale copertura di nuove tutele.

 

Ovviamente ampliando il perimetro delle salvaguardie. Logica vorrebbe che se si scopre un numero inferiore di aventi diritto rispetto a quelli programmati, le risorse residue venissero utilizzate per altre finalità. Ma siamo in Italia e si preferisce inventarsi nuove tipologie di “esodati”. Tutto ciò premesso proviamo ad immaginare quale potrebbe essere una conclusione che almeno riduca il danno prodotto dall’ossessione nazionale sulle pensioni. L’Ape è sicuramente una misura utile. Nonostante il suo nome – Anticipo pensione – non è un trattamento anticipato, ma un prestito garantito dalla futura pensione che opera in un circuito estraneo al sistema pensionistico (ma che cosa pensano le banche e le assicurazioni fino ad ora silenziose e non coinvolte?), il quale prende in carico il soggetto soltanto nel momento in cui matura i requisiti previsti dalla riforma Fornero (che non viene messa in discussione nei suoi capisaldi).

 

L’Ape si base su di un principio equo e corretto: che vuole esercitare quell’opzione è giusto che se la paghi, a meno che non vi sia costretto da ragioni obiettive e meritevoli di tutela. In tali circostanze il lavoratore interessato potrà compensare l’onere delle rate ventennali deducendone l’importo dall’imponibile fiscale. Attraverso l’Ape dovrebbero essere risolte altre situazioni: la problematica degli esodati e dei precoci, innanzi tutto. Meriterebbe, poi, una particolare attenzione la questione della ricongiunzione che fu determinata da un errore nella passata legislatura. Quanto alla questione dei lavori usuranti – oltre alla particolare considerazione nell’utilizzo dell’Ape – sarebbe necessario un riesame della materia, dal momento che la normativa, introdotta (dopo un ventennio di tentativi) nel 2011, non ha funzionato, nonostante fosse prevista una copertura di 300 milioni l’anno (che non sono praticamente stati spesi se non in parte durante il primo anno).

 

Relativamente alle altre proposte sarebbe bene soprassedere, non perché non si tratti di provvedimenti  ragionevoli, ma per una considerazione di carattere generale: le misure a favore  degli anziani non sono una priorità, dal momento che  – per quanto riguarda la povertà e l’esigenza di inclusione sociale – la loro non è certamente la condizione peggiore, rispetto a quella di altre coorti della popolazione. Ha trattato l’argomento, da ultimo, lo “Scenario economico” del Centro Studi della Confindustria (CSC), sottolineando appunto questo dato di fatto. “Per fronteggiare questa grave situazione  – scrive il CSC – si discute di inserire nella Legge di bilancio per il 2017 un bonus per le pensioni più basse senza neppure condizionarlo all’ISEE o ad altre misure di capacità di spesa familiare.

 

Tuttavia, i dati mettono in luce come il gruppo sociale dei pensionati abbia potuto fare affidamento, anche negli anni della crisi, su una sostanziale tenuta dei redditi. Anzitutto, infatti, la spesa pubblica previdenziale in Italia, pur essendo già la più elevata tra i paesi europei (15,8% del PIL nel 2015, contro l’11,3% medio UE nel 2013) è continuata ad aumentare: +15,9% tra il 2008 e il 2015. Una spesa previdenziale così alta e in crescita – prosegue il documento – spiazza altre voci importanti di spesa. Il pagamento delle pensioni assorbe quasi un terzo della spesa pubblica e poco meno del 60% delle uscite per prestazioni sociali, comprese quelle sanitarie (all’esclusione sociale va solo lo 0,7%)”. Inoltre “nell’ultimo decennio la povertà è aumentata soprattutto tra i giovani e i minori, mentre è rimasta sostanzialmente stabile tra gli anziani. Prima della crisi la percentuale di persone in povertà assoluta tra gli over 65 era superiore a quella in tutte le altri classi di età. Oggi è la più bassa (4,1% contro il 10,9% tra i minori e il 9,9% per i 18-34enni)”.

 

Ma c’è dell’altro. “Un’indicazione simile – insiste il CSC – deriva dalla disaggregazione per condizione professionale del capo famiglia: i nuclei guidati da un pensionato sono gli unici per cui l’incidenza della povertà è diminuita durante la crisi, attestandosi al 3,8% nel 2015 contro il 6,1% medio. La povertà è invece cresciuta molto per le famiglie con a capo un disoccupato, al 19,8%, +12,8 punti percentuali dal 2007. E nemmeno avere un lavoro – sottolinea il report – mette al riparo dalla povertà: +4 punti percentuali l’incidenza per i nuclei guidati da un occupato’’. Eppure di queste statistiche non si parla mai nei talk show.

 

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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Politically (in)correct – E se gli anziani fossero “poveri benestanti’’
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