Politica e comunicazione: il coraggio che manca per limitare davvero i danni del Coronavirus su imprese e lavoratori

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Bollettino ADAPT 9 marzo 2020, n. 10

 

L’episodio della fuga di notizie che nella serata di sabato scorso 7 marzo 2020 ha portato sui grandi quotidiani online la bozza del DPMC con il quale il Governo disponeva ulteriori misure per il contenimento del nuovo Coronavirus alla Lombardia e a altre undici Province è solo l’ultimo di una serie di errori politici e di comunicazione che hanno avuto pesanti ricadute per imprese e lavoratori nell’emergenza in corso. E proprio per questo è più difficile da giustificare.

 

Le scorse due settimane hanno visto evolversi una situazione inedita, nella quale inizialmente le certezze scientifiche non erano sufficienti a fare previsioni e non consentivano alla medicina di esprimersi in maniera univoca circa il rischio reale e quindi circa le misure di contenimento davvero necessarie (emblematico la divergenza tra il “poco più di un’influenza di Gismondo e “fare il tampone anche a chi ha 37,5° di febbre” di Burioni). In questa fase dunque la politica aveva dovuto fare un esercizio di interpretazione risoltosi in un certo numero di contraddizioni. Sono state molte e venute da più parti le denuncie circa una evidente schizofrenia nella diffusione dei dati, nei protocolli (anche quelli sanitari) trasmessi dalle autorità, nella frammentazione territoriale dei provvedimenti. Basti pensare al diverso impiego dei tamponi, alla polemica innescata sull’utilità della quarantena per tutte le persone di ritorno dalla Cina e poi alla confusione generata dalle prime misure restrittive per le zone rosse e conseguenti provvedimenti in materia di gestione di circolazione di merci e persone e regolazione dei rapporti di lavoro. Eclatante l’esempio del lavoro agile, con l’obbligo inizialmente previsto di depositare l’accordo di lavoro agile, che però le stesse misure temporanee di semplificazione rendevano non necessario.

 

Sul piano della comunicazione tutto ciò si era tradotto nei toni altalenanti con i quali istituzioni e mezzi di informazione avevano tentato di guidare l’opinione pubblica. Un fattore di impatto sui comportamenti di consumo, cui alcuni settori dell’economia, come il commercio e il turismo, sono direttamente esposti. Si è osservato infatti un doppio picco di allarme, uno più grave dell’altro. Dopo le prime conseguenze generate dall’istituzione della zona rossa di Codogno (Lodi) e Vò Euganeo, media e politica sono infatti passati ad una fase di rassicurazione volta a contenere gli effetti negativi dei comportamenti collettivi sull’economia. A raccontarci questo trend è anche l’analisi di Twitter, dove si osserva la stretta correlazione tra l’uso della parola “normalità” e l’hashtag #Coronavirus, con il picco del 27 febbraio ed i livelli sostenuti anche nei due giorni seguenti.

 

Hasthag contenuti nei tweet che contengono anche la parola “normalità”. Dati forniti da Catchy – Alkemy Lab

 

Il 27 febbraio è il giorno in cui si susseguono gli appelli dei Presidenti delle Regioni colpite dalle misure d’emergenza per un ritorno alla normalità. Il Presidente del Veneto Zaia auspica che l’ordinanza per la zona rossa sia revocata, il presidente della Regione Piemonte Cirio parla di “Condizioni per un ritorno alla normalità”. Attilio Fontana (Lombardia) parla di una “inversione del trend” dei contagi e quindi chiede la revoca delle misure. Il gesto comunicativo più marcato è forse il video #Milanononsiferma lanciato dal sindaco Giuseppe Sala.

 

I governatori delle Regioni del nord non sono invece stati così compatti nel ritorno al rigore che ha caratterizzato i giorni scorsi, quando ormai era inoltre più difficile convincere i cittadini prima tranquillizzati ad adottare distanze sociali e isolamento. Rigore ora sollecitato chiaramente dall’evidenza di una crisi sanitaria in corso, causata dall’alta contagiosità del virus e da una percentuale di ricoveri mediamente attorno al 50% e con livelli molto superiori in alcune regioni, come la Lombardia (si veda il grafico relativo sul sito dedicato di Lab 24). Ai malumori del presidente della regione Veneto Zaia e di quello dell’Emilia-Romagna Bonaccini, si contrappone l’appello della Lombardia di Fontana e di molti sindaci lombardi per misure più rigide e soprattutto certe (si pensi al “serviranno due mesi per tornare alla normalità” dello stesso sindaco di Milano Sala o si veda il video diffuso dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori per avere un’idea della serietà della situazione).

 

Mancanza di rigidità e certezza sono i difetti proprio del nuovo DPCM pubblicato ieri. La bozza del DPCM circolata sabato, non firmata e non pubblicata se non il giorno seguente, conteneva infatti una formulazione di alcune norme diversa da quella adottata nella versione definitiva. Se nella bozza si parlava di spostamenti concessi solo per “indifferibili esigenze lavorative”. La formulazione del DPCM pubblicato il giorno seguente in Gazzetta Ufficiale parlava invece “comprovate esigenze lavorative”. Basterà dunque un’autocertificazione o un documento del datore di lavoro per comprovare l’esigenza e solo successivamente potrà essere verificato se era invece percorribile il lavoro agile. Una combinazione che rende meno incisiva la “raccomandazione” (così nel decreto) ai datori di lavoro di “promuovere […] la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi  di congedo ordinario e di ferie”.

 

Ora i media e Palazzo Chigi si scambiano reciproche accuse di mancata prudenza, ma ciò che sembra ormai imputabile alla politica è piuttosto una mancanza di coraggio nel tradurre in norme chiare la richiesta dei medici e degli stessi operatori sanitari: stare a casa quanto più si possa.

Per ora quindi la vicenda Coronavirus si è rivelata una una grande occasione persa per la politica, perché in un momento di profonda e generalizzata crisi come quello in corso si aprono le porte per un processo di reintermediazione e di recupero dei rapporti tra cittadini e organizzazioni. Sia per i servizi che queste sono in grado di erogare dal punto di vista tecnico, ma anche per il bisogno cognitivo delle persone di fare affidamento su rappresentazioni del rischio e della posta in gioco in base alle quali scegliere come comportarsi.

 

Va da sè che un’opera di supplenza dovrebbe essere condotta ora dai sindacati e dalle associazioni degli imprenditori, soggetti che avrebbero le carte in regola per guidare imprese e lavoratori nella corretta interpretazione della gravità della situazione. E cioè spiegare che i sacrifici necessari oggi sono l’unico strumento in grado di limitare la durata della crisi, che avrà altrimenti ricadute ancora più gravi sull’economia e sull’occupazione.

 

Francesco Nespoli

ADAPT Research Fellow

@Franznespoli

 

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