Per un sistema di istruzione e formazione professionale/27 – L’esperienza di ASCLA in Puglia. Intervista a Giuseppe Negro

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Bollettino ADAPT 16 novembre 2020, n. 42

 

Intervista a Giuseppe Negro, Presidente di ASCLA, Associazione Scuola e Lavoro fondata nel 2002, con sede a Casarano, in provincia di Lecce e operativa in tutto il territorio salentino, offrendo servizi di orientamento e formazione ai lavoratori e alle imprese locali.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative? Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento dell’anno formativo appena iniziato? 

 

G. Negro: Alcune attività formative nelle quali eravamo coinvolti direttamente sono state sospese. Molte di queste sono state riavviate in modalità FAD, altre hanno goduto del beneficio di poter essere realizzate in presenza. In ogni caso, la pandemia ha impattato sulla nostra organizzazione: implementazione di una piattaforma sulla base delle indicazioni normative e procedurali previste dagli organismi istituzionali preposti (prevalentemente regionale); riorganizzazione del lavoro sulla base delle nuove priorità; lo sforzo di rassicurazione e di comunicazione che abbiamo ritenuto di curare con gli allievi, soprattutto i ragazzi, e con le aziende beneficiarie della formazione. Per fortuna, da oltre dieci anni, avevamo già costruito una piattaforma per la formazione a distanza, quindi non siamo partiti da zero. E non siamo partiti da zero nemmeno per quanto riguarda la riorganizzazione del nostro lavoro che abbiamo sempre centrato sulla relazione di sostegno e di servizio agli allievi e alle aziende che, maggiormente, hanno rischiato di affondare nello scoraggiamento o nella solitudine decisionale.

 

Che ruolo immagina per l’istruzione e formazione professionale nel percorso di ripresa che ci attende? 

 

G. Negro: L’importanza della formazione, alcune volte, non viene percepita nel modo in cui merita. Scontiamo, in alcune aree o presso alcuni ambienti, un pregiudizio strutturale che è difficile da contrastare. È anche vero il contrario, però: da tempo, molte persone e molte aziende hanno cominciato a percepire l’importanza della formazione, sulla pelle della propria competitività d’impresa o del proprio percorso professionale. Immagino come la pandemia svolga un ruolo di acceleratore di questa nuova consapevolezza circa il ruolo ricostruttivo della formazione, a qualsiasi livello.

 

Secondo lei, a seguito della pandemia, dovrete organizzare ex-novo corsi destinati alla formazione di nuove figure professionali, o ripensare alle competenze dei profili professionali in uscita?

 

G. Negro: I corsi destinati a formare nuove figure professionali risentiranno, certamente, di un processo di attualizzazione delle competenze strategiche che trasferiremo senza stravolgere il senso delle scelte che opereremo circa la promozione di una figura professionale piuttosto che di un’altra. Si tratta di potenziare aree di competenze di maggiore impatto sul mercato del lavoro, per come esso andrà a configurarsi in funzione dei cambiamenti veri che tanti settori di lavoro subiranno, spero in modo graduale e strutturale.

Per quanto riguarda le competenze in uscita, occorre considerare che molte figure professionali sono correlate al repertorio regionale, alla nomenclatura di INAPP e, in generale, all’Atlante delle Professioni che condiziona la progettazione di un qualsiasi percorso ormai. Lo scopo di tale correlazione è quello di formare persone in possesso di competenze certificate, spendibili e documentabili. Ma anche quello di “agganciare” la loro formazione a precisi standard di qualità formativa e di performance lavorativa. È evidente che, al di là di questo aspetto che, me ne rendo conto, può risultare formale, i contenuti e la sostanza della formazione sono sempre costantemente oggetto di un’attenzione verso il presente e verso il trasferimento di conoscenze e competenze quanto più funzionali possibili alla nuova realtà che la pandemia sta delineando.

 

Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità della vostra offerta formativa, e come risolverle?

 

G. Negro: A volte ci sono dei disallineamenti tra i tempi di un ente di formazione come il nostro, molto attivo e presente sul territorio, e i tempi della burocrazia di alcuni organismi del welfare o istituzionali che intervengo nel processo di definizione e di start up dei processi di erogazione della formazione. L’amministrazione, spesso sottodimensionata, non ha le risorse e il tempo per coinvolgersi pienamente in queste esperienze e così percorsi formativi validi rimangono sospesi per troppo tempo, in attesa di un’approvazione burocratica. In questi casi, a perderci sono le aziende, le persone che potrebbero sfruttare il tempo e le opportunità in modo tempestivo e funzionale ai problemi del presente, per sviluppare competenze importanti per la vita aziendale e per sé stessi. È una questione anche di qualità, di aderenza ai bisogni formativi che cambiano, soprattutto in questo momento, e diventano obsoleti. Queste difficoltà cerchiamo di risolvere stando accanto alle aziende e alle persone, senza interrompere il filo di un rapporto di aiuto e di suggerimento che a volte risulta decisivo. Mi sia consentito una punta di auto-lode ma lo dico perché sono contento che ciò avvenga, perché ci rendiamo conto di servire.

 

Come giudica un possibile allargamento del ruolo dell’istruzione e formazione professionale, alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?

 

G. Negro: Molto positivamente. Durante i cicli congiunturali iniziati nel 2008 e proseguiti poi, abbiamo partecipato alla realizzazione di diversi percorsi di formazione per adulti fuoriusciti dal mercato del lavoro, in cassa-integrazione, in mobilità o al di fuori di qualsiasi misura di sostegno in termini di ammortizzatori. In questi percorsi abbiamo avuto un ruolo di definizione delle nuove prospettive di lavoro assieme alle persone, aiutandole a scommettere sulla riformulazione del loro percorso di lavoro e di vita. Siamo passati da insuccessi ma anche da importanti soddisfazioni. Quello che conta, è che ogni percorso professionale per adulti marginali dal punto di vista occupazione, sia sostenuto da un robusto investimento sull’orientamento degli adulti e sulla customizzazione della formazione, sull’andragogia piuttosto che su una generica pedagogia della formazione permanente. Lo scopo non è fare formazione con gli adulti ma fare formazione utile per gli adulti. Nell’immediato futuro questa leva rischia di diventare dirimente per il futuro di tante persone che la pandemia isolerà dal punto di vista produttivo.

 

Perché scegliere, oggi e domani, i percorsi di istruzione e formazione professionale? Che relazioni cambiare, o sviluppare, con il mondo della scuola, dell’istruzione terziaria e del sistema produttivo?

 

G. Negro: Perché la scuola, la formazione professionale, l’apprendistato professionalizzante, il sistema duale sono aspetti diversi di una sola filiera che permette, se ben organizzata, di transitare tra esperienze che, insieme, costruiscono la persona e il lavoratore. Sul fronte dei rapporti tra scuola, formazione e sistema produttivo, è evidente che gli strumenti che ho appena menzionato rappresentano una piattaforma comune di intervento, sulla quale si gioca il destino di intere generazioni. L’auspicio è che le ingenti risorse comunitaria che sembrano destinate ad arrivare, con una vera e propria onda anomala (almeno per noi del settore) di finanziamenti, siano utilizzate al meglio. Innanzitutto per potenziare i servizi, sia incrementando che riqualificando il personale dedicato alla gestione amministrativa. In secondo luogo, per incentivare la partecipazione alle attività formative, ipotizzando anche soluzioni economiche premiali per chi sceglie di investire il proprio tempo nell’accrescimento del proprio patrimonio professionale.

Infine, mi auguro che le misure messe in campo ci aiutino a riscoprire il valore della formazione che troppo frequentemente viene schiacciata dall’obiettivo della ricollocazione immediata: sempre più spesso gli enti di formazione sono costretti a strutturare percorsi qualificanti brevi, finalizzati a un inserimento immediato. Eppure ciò di cui c’è più bisogno è la formazione di base e trasversale, e questa richiede un tempo lungo e adeguato, soprattutto per i giovani. I tanti NEET che abitano la terra pugliese non hanno bisogno appena di 150 ore per fare un po’ di inglese e informatica; non hanno bisogno di un tirocinio frettoloso e fine a se stesso, ma di una compagnia più seria.

 

Giorgio Impellizzieri

ADAPT Junior Fellow

@giorgioimpe

 

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