Parità di genere nei consigli di amministrazione. L’orientamento generale dei ministri dell’Occupazione e degli affari sociali

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Bollettino ADAPT 21 marzo 2022, n. 11

 

La strategia dell’Unione europea per la parità di genere 2020-2025 tiene fede all’impegno della Commissione von der Leyen per un’”Unione dell’uguaglianza”. Essa riguarda gli obiettivi strategici e le azioni volte a compiere progressi significativi entro il 2025 verso un’Europa garante della parità di genere e, in sintesi, i sui obiettivi principali sono: porre fine alla violenza di genere, combattere gli stereotipi sessisti, colmare il divario di genere nel mercato del lavoro, raggiungere la parità nella partecipazione ai diversi settori economici, affrontare il problema del divario retributivo e pensionistico, colmare il divario e conseguire l’equilibrio di genere nel processo decisionale e nella politica.

 

Ed è nell’alveo di questa strategia che è possibile collocare il recente orientamento generale raggiunto lo scorso 14 marzo dai ministri dell’Occupazione e degli affari sociali e riguardante una proposta legislativa dell’UE volta a migliorare l’equilibrio di genere tra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate. In particolare, l’accordo raggiunto in sede di “Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori” (EPSCO) rappresenta una tappa importante e apre la strada ai negoziati tra il Consiglio e il Parlamento europeo per definire una posizione comune per giungere all’adozione definitiva di una direttiva – presentata dalla Commissione Europea già nel 2012 – volta a combattere il “soffitto di cristallo” che troppo spesso le donne devono ancora affrontare nel mondo del lavoro.

 

Infatti, sebbene siano stati compiuti progressi verso una maggiore parità di genere nei consigli di amministrazione, la situazione rimane disomogenea. Secondo l’European Institute for Gender Equality e l’Eurostat, nel 2021 le donne rappresentavano soltanto il 30,6% dei membri dei consigli di amministrazione, il 20,2% degli executive e appena il 3,6% dei presidenti. In Italia, oggi le donne hanno significativamente accresciuto le loro posizioni di vertice, raggiungendo quasi il 39% dei componenti nei consigli di amministrazione nazionali rispetto al 7% del 2011.

 

Nel dettaglio, secondo l’orientamento, la direttiva avrà l’intento di fissare un obiettivo quantitativo per la percentuale di membri del sesso sottorappresentato nei consigli di amministrazione delle società quotate. Queste società dovrebbero, pertanto, introdurre delle misure per raggiungere, entro il 2027, l’obiettivo minimo, vale a dire il 40% di membri del sesso sottorappresentato per gli amministratori senza incarichi esecutivi, o il 33% per tutti i membri del consiglio di amministrazione. In caso di mancato raggiungimento di tali obiettivi, la società sarebbe tenuta a procedere a nomine oppure a elezioni di amministratori applicando criteri chiari, univoci e formulati in modo neutro. Gli Stati membri dovranno inoltre garantire che, nella scelta tra candidati con pari qualifiche, in termini di idoneità, competenze e rendimento professionale, le società diano priorità al candidato del sesso sottorappresentato.

 

Con riferimento agli eventuali adeguamenti nazionali, i paesi che avranno già introdotto misure, quali obiettivi nazionali per raggiungere una rappresentanza più equilibrata di genere, potranno sospendere i requisiti in materia di nomina o elezione previsti dalla direttiva. Questo potrebbe essere, ad esempio, il caso dell’Italia che con la legge 120/2011 ha introdotto l’obbligo normativo della riserva di posti a favore del genere sottorappresentato negli organi di amministrazione e dei collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle partecipate. Inoltre, con la legge 160/2019 (Legge di Bilancio 2020) sono state introdotte modifiche alle previsioni della legge Golfo-Mosca sia circa la riserva dei posti -che, dal 30% come era previsto nell’impianto normativo originario, è stata portata al 40%-, sia al periodo di vigenza dei mandati con riferimento al criterio di riparto -non più tre, ma sei consecutivi-.

 

Lo stesso varrà qualora si saranno già conseguiti progressi prossimi agli obiettivi fissati nella direttiva. Nella sua posizione, il Consiglio ha inoltre precisato che spetterà agli Stati membri (piuttosto che alle società) scegliere tra i due obiettivi proposti, vale a dire il 40% per gli amministratori senza incarichi esecutivi o il 33% per tutti i membri del consiglio di amministrazione.

 

Secondo la Strategia soprarichiamata, “le donne che occupano posizioni dirigenziali, che si tratti di politica o di agenzie governative, dei più alti organi giurisdizionali o dei consigli di amministrazione, sono ancora troppo poche, anche se, a livelli più bassi, la parità di genere si è in realtà affermata. Il fatto che posti di vertice siano occupati esclusivamente da uomini per lungo tempo influisce sulle successive modalità di assunzione, talvolta solo per pregiudizi inconsapevoli”.

 

Quali gli effetti positivi sul mercato del lavoro della direttiva? Una percentuale più elevata di donne negli incarichi decisionali in ambito economico dovrebbe produrre effetti positivi in tutta l’economia. Infatti, considerando che le donne rappresentano quasi il 60% dei laureati nell’UE (dato Eurostat 2019), un migliore equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società -quale tassello di una più generale strategia di incremento della partecipazione della componente femminile al mercato del lavoro e di valorizzazione delle loro credenziali educative-, consentirebbe dunque di trarre il massimo vantaggio dalle moltissime donne altamente qualificate in Europa: disporre di un ampio ventaglio di talenti e competenze contribuirà dunque a migliorare processi decisionali e governance societarie inclusive ed eterogenee, capaci di rispondere alle  sfide e esigenze della società e dell’economia europea.

 

Margherita Roiatti

ADAPT Research Fellow

@MargheRoi

Parità di genere nei consigli di amministrazione. L’orientamento generale dei ministri dell’Occupazione e degli affari sociali