Oltre i tecnicismi, verso un nuovo diritto del lavoro: il futuro della certificazione delle competenze

Il tema della certificazione delle competenze ha conosciuto recentemente una rinnovata attenzione ([1]). Da un lato per via dei progressi registrati sul fronte istituzionale e legati alla implementazione del d.lgs. 13/2013. Dall’altro per le molteplici connessioni tra certificazione delle competenze e sviluppi registratisi in aree contigue quali la regolazione delle professioni a livello nazionale e comunitario, da ultimo a seguito del recepimento nel nostro Paese della Direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sul riconoscimento delle qualifiche professionali, con il DECRETO LEGISLATIVO 28 gennaio 2016, n. 15.

 

Sul fronte della implementazione del sistema istituito dal d.lgs. 13/2013 i progressi riguardano la progressiva definizione della “infrastruttura” che dovrebbe rendere possibile la concreta attuazione del sistema: la costruzione del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali e la proceduralizzazione del sistema di individuazione, validazione e certificazione delle competenze, affidata a un Comitato Tecnico Nazionale che ha il compito di predisporre le linee guida attuative del d.lgs. 13/2013.

 

Nel difficile percorso verso la costruzione del Repertorio nazionale, l’avanzamento più significativo è stato il Decreto interministeriale del 30 giugno 2015 riguardante la definizione di un quadro operativo di riconoscimento a livello nazionale delle qualificazioni regionali, condizionalità ex-ante per l’avvio della programmazione del Fondo sociale europeo 2014-2020 e base istruttoria per il completamento di quanto previsto all’art. 8 del d.lgs.13/2013.

 

Il Decreto definisce, infatti, la procedura tecnica attraverso cui giungere alla classificazione delle attività professionali in termini di competenze, in un processo che si vuole partecipativo perché si basa (anche) sulla consultazione periodica del partenariato economico e sociale, degli osservatori settoriali, delle associazioni professionali.

 

La complessità tecnica di tali operazioni (evidente già all’indomani della pubblicazione del d.lgs. 13/2013, vedi i commenti contenuti nell’e-book a cura di U. Buratti, L. Casano, L. Petruzzo, Certificazione delle competenze. Prime riflessioni sul decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, ADAPT e-Book series, 2013, n. 6) non è taciuta né sottovalutabile, a maggior ragione in vista del necessario (e ancora non chiaro) collegamento con quanto previsto dal d.lgs. 150/2015 in merito alla dorsale informativa unica e al fascicolo elettronico del lavoratore.

 

Al contempo, è in atto un processo volto al collegamento tra sistema pubblico di certificazione e sistema della normazione tecnica (norme UNI/EN), relazione che in passato non aveva mancato di destare perplessità in virtù del rischio di scollamento o di spiazzamento del primo sistema ad opera del secondo (vedi L. Casano, La certificazione delle competenze per le professioni non ordinistiche: prospettive e criticità, ora in questo Bollettino Speciale).

 

Non a caso il sistema in via di attuazione in Italia guarda al modello americano di O*NET, la portentosa infrastruttura informatica che negli Stati Uniti rappresenta e classifica le professioni mediante una serie di categorie informative quali i requisiti del lavoratore, i requisiti di esperienza o le necessarie credenziali per svolgere una professione, censiti da esperti attraverso complesse survey. Un “sistema esperto” e senza dubbio efficace, ma non per questo scevro da criticità, come dimostra il contributo di Gina Simoncini in questo Bollettino Speciale (Il modello americano dell’Occupational Information Network e dell’Occupational Licensing), che evidenzia i rischi di modelli metodologicamente validi ma culturalmente lontani da istanze sociali centrali nel nostro contesto, pur se portatori di elementi di innovazione importanti. È il caso del sistema americano delle occupational licencing (su cui si rimanda allo stesso contributo della Simoncini), il cui significato e valore potrebbe essere rinnovato e amplificato in un contesto di maggiore regolazione quale quello europeo, incentrato sul riconoscimento e la trasferibilità delle qualifiche.

 

Se i progressi compiuti sul fronte dell’implementazione del decreto 13/2013 sono da salutare con favore perché segnalano la possibilità di superare un’inerzia istituzionale perdurata per un decennio, essi non sembrano ancora offrire una risposta a interrogativi più profondi che chiamano in causa i presupposti del sistema (e non solo le possibilità di una sua concreta attuazione sul piano operativo). Permane cioè l’impressione che l’impianto in via di perfezionamento lasci inevase le ben più strategiche connessioni con la trasformazione del lavoro e dei suoi strumenti di regolazione.

 

Il primo nodo da sciogliere è ancora quello del ruolo della contrattazione collettiva, fin da subito individuata quale chiave di volta dell’intero sistema (vedi il commento, a ridosso della pubblicazione del d. lgs 13/2013, di Michele Tiraboschi, Certificazione delle competenze: un castello di carta, in Bollettino ADAPT del 18 gennaio 2013).

Se si segnala qualche cenno di dinamismo nell’azione delle parti sociali a livello europeo, che hanno presentato una proposta di istituzione di una Professional skills guarantee ispirata all’idea del riconoscimento delle competenze certificate come diritto soggettivo, non è ancora chiaro come le parti sociali nazionali intendano giocare questa partita – al di là del coinvolgimento in veste consultiva nella costruzione dell’impianto pubblico – ad esempio sul fronte del collegamento tra sistema di certificazione delle competenze e rinnovamento degli inquadramenti contrattuali.

 

Si guarda adesso a best practice come il modello del Fondo Banche Assicurazioni (FBA), che insieme all’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e con la collaborazione delle organizzazioni sindacali del settore ha creato il Manuale di certificazione delle qualifiche delle banche commerciali. I principi dell’European Qualifications Framework (EQF) (a cura di G. Durante e A. Fraccaroli, Bancaria Editrice, 2013) che raccoglie al suo interno un Repertorio delle figure professionali del settore del credito (si rimanda al contributo di Federico D’Addio, Certificazione delle competenze: un esempio di come le parti sociali possano intervenire nella costruzione del sistema, in questo Bollettino Speciale). Anche in tale positiva esperienza resta tuttavia molta strada da fare per far sì che dal piano delle buone pratiche si passi a quello della costruzione di diritti sostanziali per i lavoratori: ciò tanto sul fronte del riconoscimento della professionalità, quanto su quello della costruzione di tutele che accompagnino i lavoratori nei loro percorsi di mobilità.

 

Sempre dal settore bancario e in continuità con l’esperienza sopra descritta è stato di recente avviato un innovativo progetto europeo (“I diritti di informazione e consultazione e il ruolo del CAE nello sviluppo di un sistema di qualifiche professionali. Apprendimento permanente e modelli di lavoro nel contesto di una più ampia mobilità transnazionale nel settore della finanza” VP/2015/003/0051 – VS/2016/0064) che ha l’obiettivo di concorrere alla formazione di un quadro giuridico comunitario certo e univoco in materia di contrattazione collettiva transnazionale nell’ambito del riconoscimento delle competenze. Il progetto mira a sensibilizzare gli attori sindacali e a valorizzare il ruolo dei CAE attivando un nuovo “circolo virtuoso” nell’esercizio dei diritti di informazione e consultazione per arrivare a un processo condiviso di validazione dei percorsi formativi. Un importante tassello in vista di una maggiore responsabilizzazione e di un maggiore protagonismo delle parti sociali in tale ambito.

 

Tra le sfide ancora da affrontare c’è poi quella della integrazione del dispositivo della certificazione negli importanti processi di trasformazione che stanno interessando il segmento dell’istruzione e della formazione iniziale e continua: da un lato, il rinnovato slancio dato dalla riforma dell’istruzione al tema dell’alternanza scuola lavoro rappresenta una nuova grande occasione (dopo quella – persa – dell’apprendistato) per fondare il rapporto tra scuola e mercato del lavoro sul lessico delle competenze.  Dall’altro, sono ancora tutti da costruire i ponti e le passerelle “invocati” dalla Riforma Fornero (le reti territoriali per l’apprendimento, in primis) che rappresentano elementi di contesto cruciali per la concreta attuazione del sistema, insieme alla rete dei servizi delle politiche attive che, però, non sembra “leggere” e intercettare il percorso di attuazione sopra descritto.

 

Oggetto di un’opera monumentale di ingegneria istituzionale la certificazione delle competenze non è ancora, in definitiva, quell’istituto innovativo in grado di sostenere, tutelare e valorizzare i lavoratori e favorire la qualificazione delle imprese e dei mercati, perché ancora debole è il suo collegamento con le vicende legate al rapporto di lavoro e alle transizioni nel mercato del lavoro e ancora inesplorato il tema del peso e del valore che la certificazione delle competenze può assumere all’interno delle relazioni (individuali e collettive) di lavoro.

 

Un primo passo verso tale innovativa prospettiva è sicuramente rinvenibile nell’art. 5 del Disegno di legge N. 2229 comunicato alla Presidenza il 3 febbraio 2016 “Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale” (vedi Lilli Casano, Al cuore del lavoro agile: certificazione delle competenze e alfabetizzazione digitale degli adulti, ora in questo Bollettino Speciale). Il comma 2 prevede che, in attesa della messa a regime del sistema di cui al decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, la certificazione delle competenze sia resa su base volontaria da una delle commissioni di cui all’articolo 76, comma 1, lettera a) e c) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, a condizione che operino in convenzione con uno o più fondi interprofessionali per la formazione continua  di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.

 

Per la prima volta con tale previsione si collega il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze a una innovativa forma di tutela del lavoratore di fronte alle asimmetrie informative nel rapporto e nel mercato del lavoro, prefigurando uno scenario di possibile integrazione tra diversi strumenti accomunati da una visione moderna della regolazione del lavoro, ispirata al contempo a istanze di libertà, di tutela e di valorizzazione della persona del lavoratore. Come già sottolineato in un precedente contributo, inoltre, la disposizione valorizza il ruolo dei fondi interprofessionali per la formazione continua, il cui impegno sul versante della certificazione delle competenze sembra rappresentare una frontiera di rinnovamento cruciale.

 

Un nuovo spazio sembra dunque aprirsi, per gli interpreti e gli studiosi attenti alle trasformazioni del lavoro e alla necessità di una modernizzazione delle sue forme di regolazione, con riferimento a un tema che da corollario delle politiche formative ed educative si è trasformato in tassello fondamentale delle politiche del lavoro e potrebbe ambire a rappresentarne il futuro (vedi Michele Tiraboschi, Lilli Casano, Diritto alla occupabilità e competenze: la riforma del lavoro che ancora non c’è, e per uno sguardo alle politiche europee Lilli Casano, Are we going informal? Validation of informal and non-formal learning in Europe, between new regulation paths and occupational transitions’ organization, European Labour Law Network Blog, November 2015, ora in questo Bollettino Speciale).

 

 

Michele Tiraboschi

Coordinatore scientifico di ADAPT

@Michele_ADAPT

 

Lilli Casano

ADAPT Senior Research Fellow

@lillicasano

 

[1] Si rimanda ai diversi contributi pubblicati sul tema e alla documentazione raccolta dal nostro gruppo di ricerca alla voce Certificazione delle competenze dell’Indice AZ su www.adapt.it per una ricostruzione degli interventi in tale ambito.

 

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