Old economy

Correggendo un errore si limitano i danni, non si risolvono certo i problemi. Matteo Renzi, facendo apprezzabilmente autocritica, ha più volte n ripetuto di voler modificare l’inasprimento fiscale introdotto per le partite Iva con la legge di stabilità e Giuliano Poletti ne ha annunciato, di conseguenza, la riscrittura. Bene, ma non basta. Perché l’errore deriva dal perpetuarsi di vetusti schemi ideologici che a parole si vorrebbero superare. Il legislatore, invece, resta ancorato alla vecchia cultura del Novecento imperniata sulla diarchia imprenditori-dipendenti figlia  della separazione marxista tra capitale e lavoro, tra padroni e sfruttati, che privilegia solo il dipendente a tempo indeterminato che dipinge i liberi professionisti e chi si è fatto imprenditore di se stesso, nel migliore dei casi come un limone da spremere fiscalmente, e nel peggiore come un popolo di evasori, quando invece la società moderna, che cammina assai più velocemente, ha già costruito nuovi modelli. Il Jobs Act, per esempio: lungi da me sottovalutare le discontinuità che produce, ma ancora una volta il lavoro autonomo è rimasto fuori dalla porta. E gli 80 euro? Una misura da 10 miliardi a favore di chi ha già un lavoro dipendente, stabile e una retribuzione “media”: l’idealtipo dell’elettore di sinistra, insomma. Anche i 5 miliardi di sgravi Irap per i neo assunti, più che generare nuova occupazione, saranno utilizzati dalle imprese per sostituire chi è in uscita, con effetti benefici limitati al turnover. Stesso discorso per gli under 35 che hanno una partita Iva: dopo aver constatato che nella legge di stabilità (chissà poi perché non è stata utilizzata la delega fiscale) l’aliquota nel regime agevolato dei minimi è stata triplicata (il 15 per cento, contro il 5 per cento deciso dal governo dei tecnici) e aver scoperto che all’innalzamento da 30 a 40 mila euro della soglia dì fatturato per l’applicazione del regime fiscale agevolato per artigiani e commercianti, si contrappone l’abbassamento da 30 a 20 mila per lavoratori della conoscenza (addirittura 15 mila nella prima stesura governativa), e dopo aver amaramente visto che i costi saranno definiti in base a coefficienti presuntivi di redditività e non, come sarebbe logico, sulla base delle spese effettivamente sostenute, c’è il rischio che rimpiangano il vecchio Monti. Perché, in un sol colpo, l’esecutivo dei quarantenni ha ridotto la platea e triplicato le tasse a trentenni che iniziano un’attività da freelance della conoscenza. Senza contare che, mentre si prova a rivoluzionare il sistema degli ammortizzatori sociali, il welfare pubblico per i lavoratori autonomi rimane un tabù e l’aliquota contributiva Inps è appena salita al 29 per cento (e continuerà a farlo fino ad arrivare al 33 per cento nel 2018), mentre per i dipendenti si ferma al 25 per cento. In sintesi, con misure che riducono i contributi previdenziali e ampliano la soglia di applicazione del regime dei minimi, si è dato sostegno al lavoro autonomo più tradizionale (artigiani e commercianti), ma non si è neppure provato a distinguere dentro il variegato mondo del lavoro autonomo, magari premiando chi è completamente rintracciabile nei pagamenti rispetto a chi evade.
 
Serve un provvedimento specifico
Ora bisogna rimediare. L’idea migliore, che era circolata ma è poi stata accantonata, sarebbe quella di varare un veicolo legislativo ad hoc per le partite Iva, completo e soprattutto stabilizzante rispetto alle aspettative future visto che nell’ultima parte del 2014 tanti freelance, consigliati dai commercialisti, hanno deciso che fosse meglio giocare d’anticipo e aprire subito la partita Iva per poter usufruire del “forfettone” (5 per cento di tassazione fino a 30 mila euro) per sfuggire dai nuovi minimi. Meglio arrivare a un regime fiscale e previdenziale più severo ma garantito nel tempo e senza tetti anagrafici, piuttosto che offrire vantaggi spot che velocemente evaporano. Nello specifico, è evidente che diventa difficile per il governo far fare un passo indietro ad artigiani e commercianti dopo aver assicurato loro la gran parte degli 800 milioni stanziati per gli autonomi. Ma proprio per questo, bisogna arrivare a un provvedimento specifico, dove è più facile articolare il dare e l’avere e dove lo spirito liberalizzatore di Renzi (almeno a parole) può essere maggiormente valorizzato. Nella litania del “largo ai giovani” e dei “millennials pronti a raccogliere le sfide della globalizzazione” non c’è spazio per provvedimenti che spingono i freelance a diventare imprese artigiane o commerciali. Capisco che delle parole di Acta, l’associazione dei freelance che ha lanciato la campagna “#Renzirewind” “se il presidente del Consiglio è coerente deve bloccare l’aumento dei contributi per la gestione separata Inps e studiare un regime agevolato” possa esserci una lettura corporativa. Ma è altrettanto vero che non ci sarà mai il “nuovo corso” che blairianamente Renzi auspica se l’unico orizzonte resta quello della “old economy”, lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e autonomi “classici”.
 
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