Nuovi requisiti Naspi: dall’Inps la conferma delle storture di una disposizione

Interventi ADAPT

| di Marco Menegotto

Bollettino ADAPT 16 giugno 2025, n. 23
 
Dopo 5 mesi dall’entrata in vigore della novella (art. 1, co. 171, l. n. 207/205), l’INPS ha emanato, con sua Circolare n. 98 del 5 giugno 2025, alcune istruzioni amministrative in merito ai nuovi requisiti per l’ottenimento del trattamento di disoccupazione (Naspi) in caso di perdita involontaria dell’occupazione entro i dodici mesi da una precedente cessazione per dimissioni o risoluzione consensuale.

Sui limiti della riforma e sui cortocircuiti da essa generati ci eravamo già esercitati all’epoca della proposta (vedi M. Menegotto, Naspi per dimissioni volontarie? Tutt’altro). Invero, il dibattito parlamentare non è riuscito ad apportare almeno quei correttivi utili a limitare alcune delle storture segnalate, con la conseguenza di trattamenti in deroga (migliorativa) risultanti da un elenco tassativo che – per sua natura – finisce per escludere posizioni meritevoli di pari tutela rispetto a quelle incluse.

Si ricorda come «per gli eventi di cessazione involontaria intervenuti dal 1° gennaio 2025, il richiedente la prestazione deve fare valere almeno tredici settimane di contribuzione dall’ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni o risoluzione consensuale, qualora tale cessazione volontaria sia avvenuta nei dodici mesi precedenti la cessazione involontaria del rapporto di lavoro per cui si richiede la prestazione NASpI».

La disposizione esclude – e qui sta la prima deroga – le dimissioni per giusta causa, quelle presentate nel periodo tutelato di maternità e paternità, e, per effetto di rinvii interni, anche le risoluzioni consensuali al termine della procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per i lavoratori assunti ante Jobs Act (art. 7, l. n. 604/1966 come modificata dalla l. n. 92/2012).

Oltre a casi già emersi (licenziamento nel periodo di prova), la circolare INPS, nel tentativo di ricostruire un quadro normativo e di prassi amministrativa di non facile ricomposizione, porta a galla (anche) una possibile nuova falla.

Ci riferiamo, in particolare, alle ipotesi di trasferimento del lavoratore verso una diversa unità produttiva.

La prassi consolidata dell’INPS (circ. INPS n. 142 del 29 luglio 2015; Mess. INPS n. 369 del 26 gennaio 2018) prevede che, a prescindere dalla legittimità del trasferimento, qualora questo sia disposto ad oltre 50 Km di distanza dalla residenza o verso una sede raggiungibile con i mezzi di trasporto pubblico locale con tempistiche superiori agli 80 minuti, il lavoratore che risolva consensualmente il rapporto di lavoro, gode del trattamento di Naspi.

Un dubbio è sempre rimasto intorno alle dimissioni a fronte della medesima situazione di fatto. L’Istituto ha sempre sostenuto che in tal caso vi fosse la necessità di impugnare il trasferimento per vizi legati alle esigenze che lo generano (violazione dell’art. 2103, co. 8, c.c.); circostanza che darebbe luogo al trattamento Naspi.

Senza impugnazione e con il solo requisito spazio/temporale, si tratterebbe di dimissioni volontarie, prive cioè della giusta causa, e perciò non assistite da Naspi.

Invero, non mancano pronunce (v. Trib. Udine, 7 marzo 2023, n. 73; Trib. Torino, sent. 27 aprile 2023, n. 429; App. Firenze, 2 febbraio 2023, n. 258) aderenti ad un orientamento estensivo delle tutele a fronte di modifiche organizzative impattanti sul rapporto di lavoro (perciò parificate al recesso datoriale), che hanno stigmatizzato la differenziazione  tra risoluzione consensuale e dimissioni effettuata dall’Istituto di previdenza, in assenza di disciplina di legge specifica, condannando l’INPS a erogare il trattamento Naspi anche in assenza di impugnazione dei vizi del trasferimento.

La circolare INPS richiamata in apertura, fedele alla linea dei precedenti orientamenti amministrativi, si esprime nel senso di non considerare, tra le eccezioni, unicamente le ipotesi di dimissioni per giusta causa (come previsto dalla novella).

Senonché nel tentativo di offrire una interpretazione estensiva dell’elenco di deroghe migliorative, finisce per ricomprendere nel novero delle ipotesi non utili all’applicazione della disciplina restrittiva le sole risoluzioni consensuali “tutelate”(a seguito di trasferimento) e non anche le dimissioni (volontarie) intervenute per le medesime ragioni.

Un nuovo fronte di possibile disparità di trattamento, insomma.

La circolare finisce per dimostrare ancora una volta come con la legge di bilancio per il 2025 si sia voluto colpire un presunto abuso delle pratiche di dimissioni e successivi licenziamenti simulati (in qualche modo  “concordati”) senza considerare gli effetti distorsivi sia sul mercato del lavoro (possibile minor propensione alle dimissioni in cerca di nuove opportunità se rischio di perdere la Naspi nel caso di licenziamento per mancato superamento della prova), sia sul versante delle eccezioni che nella prassi via via ci si presenteranno.

Su un simile intervento si nutrono peraltro dubbi tecnici non banali a causa dell’estensione per via amministrativa di un elenco tassativo di eccezioni, con problemi di coperture economiche e responsabilità sull’accoglimento delle domande.

Ben più appropriato sembrerebbe invece un intervento correttivo di fonte legislativa, sull’intero impianto della disposizione o quantomeno sui principali tratti d’incertezza, unitamente ad un più ambizioso tentativo di sistematizzazione delle ipotesi qui analizzate, ancoraoggi lasciate alla sensibilità logico-giuridica di strutture amministrative o della magistratura a danno dell’uniformità di applicazione e della certezza delle tutele e del diritto.

Marco Menegotto

Ricercatore ADAPT

X@MarcoMenegotto