Novità di linguaggio o il sonno del dibattito sul lavoro?

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Bollettino ADAPT 23 aprile 2019, n. 16

 

In un’intervista rilasciata al vicedirettore del Corriere della Sera Daniele Manca, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha voluto chiarire le motivazioni di una dichiarazione che nei giorni scorsi aveva fatto storcere il naso a molti. Boccia aveva ripreso una battuta del presidente di Confindustria Lombardia che aveva definito “uno di noi” il Ministro del lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio intervenuto al Salone del Mobile di Milano. All’origine dell’identificazione improvvisa non solo gli interventi al decreto crescita promessi dal Ministro con la reintroduzione del superammortamento, già annunciato in occasioni precedenti. La novità effettiva, che secondo Boccia indicherebbe un “cambiamento di clima” starebbe nel nuovo linguaggio adottato dal Ministro, che si era sinora distinto per i toni variamente spregiativi verso varie categoria di attori economici, a partire dall’equazione tra banche e mafia, per arrivare alla storpiatura degli imprenditori in “prenditori”, passando per l’appellativo di “caporali” riservato alle agenzie per il lavoro.

 

Vero è che la strategia complessiva della comunicazione del vicepremier Luigi Di Maio ha già imboccato una seconda fase che sembra replicare la parabola disegnata dall’ex premier Matteo Renzi con il Jobs Act. Dalle proclamazioni per decreto di  “Waterloo del precariato” e “abolizione della povertà”, che molto ricordano la “rivoluzione copernicana” della riforma renziana, si è passati a un più moderato “continuare per cambiare”, che fa il paio con il “passo dopo passo” e i “mille giorni” del predecessore.

 

Più che una mitigazione del linguaggio però, quella che si registra nei discorsi di Di Maio è una sospensione. Convertito in legge il decreto su Reddito di Cittadinanza e Quota 100, il dibattito pubblico che concerne il lavoro si è spostato interamente sul piano dei rapporti economici, siano quelli espressi dalle retribuzioni o quelli che legano le parti nel sistema fiscale. Si discute quindi di salario minimo, di orario di lavoro, di cuneo fiscale e di ammortamenti, mentre del tutto appiattite risultano le riflessioni circa un’idea di lavoro e di società, di modello di sviluppo e di ruolo sociale di imprese e sindacati; dibattito al quale lo stesso Boccia ha contribuito (si veda il suo intervento durante la presentazione del rapporto Welfare for people). Non quale crescita quindi, né quale lavoro, ma solo quanta crescita e quali livelli occupazionali.

 

La necessità di fare i conti con il rallentamento dell’economia italiana (sempre rappresentata dal governo nel quadro del complesso quadro globale, come dimostra l’entusiasmo di Di Maio per il +0,2% di produzione industriale di marzo) e il conseguente adeguamento della agenda politica non coincidono necessariamente con una revisione dei principi della disintermediazione. Tant’è che, anche dopo l’apertura dei tavoli tematici avviati tra governo e parti sociali, tutte le sfide lanciate dal primo alle seconde sono state portate a compimento (il Decreto Dignità e il Reddito di Cittadinanza) o rimangono aperte (il salario minimo, la revisione delle pensioni d’oro dei sindacalitsti, il disegno di legge sul referendum propositivo).

 

La valutazione Confindustriale dei recenti atteggiamenti del ministro Di Maio rischia quindi di indebolire la percezione pubblica di quel fronte comune che si era costituito nelle scorse settimane con i sindacati, fino ad arrivare alla pubblicazione di un comunicato congiunto, un appello a favore dell’Europa, che costituiva una vera e propria chiamata al voto. I sindacati non hanno infatti riconosciuto alcuna variazione di clima, o comunque non l’hanno ritenuta sufficiente ad interrompere le loro pressioni. Nel frattempo invece il sottosegretario Durigon (Lega) è intervenuto in difesa della contrattazione e contro il disegno di legge per un salario minimo di iniziativa di Nunzia Catalfo (M5S) fornendo l’ultimo elemento che mancava per poter far parlare di una ridefinizione dei rapporti tra parti sociali e partiti.

 

Certo l’obiettivo delle parti sociali di non rimanere ai margini del panorama politico pare comunque raggiunto. Ma resta nella loro disponibiltà muoversi affinché questa collocazione si consolidi in una novità di metodo, da considerare nella prospettiva di un nuovo dialogo tra rappresentanza politica e corpi intermedi, anziché in estemporanee prove di dialogo che riflettono l’incertezza dell’esito delle imminenti elezioni.

 

Francesco Nespoli

ADAPT Research Fellow

@Franznespoli

 

Novità di linguaggio o il sonno del dibattito sul lavoro?
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