Non è la RAI: una semplicissima soluzione a tutti (o quasi) i problemi dell’Università italiana

La RAI finora è stata esentata dal giogo burocratico della Pubblica Amministrazione su spending review, appalti, acquisti e assunzioni. Perché una cosa è sicura: se si applicassero alla RAI le norme della PA essa fallirebbe in pochi mesi. Me lo immagino già il Direttore generale della RAI costretto a:
– costituire una Centrale Unica Acquisti per tutte le acquisizioni di beni, servizi e forniture, in modo da arredare tutti gli studi televisivi nello stesso modo e da utilizzare lo stesso tipo di attrezzature audio-video, obsolete e malfunzionanti, nonché lo stesso abbigliamento per tutti i conduttori, gli artisti e gli spettatori;
– obbligare Camila Raznovich e tutta la troupe di Kilimangiaro ad andare in missione senza carta di credito, in strutture convenzionate con la PA e a richiedere il rimborso delle spese a pie’ di lista traducendo in Italiano scontrini e ricevute;
– decidere il palinsesto sulla base delle schede uniche di autovalutazione compilate dai conduttori e dagli artisti, tenendo conto delle risultanze dei rapporti di riesame, delle relazioni del nucleo di valutazione e dei presìdi di qualità;
– sostituire il Comitato di Vigilanza RAI con un’agenzia ministeriale di valutazione nominando nel consiglio direttivo burocrati incapaci di scrivere mezza pagina di palinsesto senza copiare.
La soluzione NON è l’uscita dell’Università dalla PA, bensì la liberazione della PA dal pesante fardello di regole burocratiche inutili e controproducenti. E basterebbe un articolo di legge di poche righe. “No, non è la BBC, ma è la RAI, la RAI TV!” diceva un famoso motivetto radiofonico. Anche a noi universitari piacerebbe tanto poter tornare e lavorare ad armi pari con i colleghi stranieri, liberandoci di tutta questa ottusa burocrazia…

 

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