Meno retorica e uno sforzo in più per l’emergenza del lavoro giovanile

Il lavoro dei giovani è stato al centro del messaggio di fine anno del Capo dello Stato Sergio Mattarella e dell’omelia del Te Deum di papa Francesco. Parole alte, belle, toccanti. Ma si ha sempre la sensazione, con tutto il rispetto, che siano un po’ dovute. Il tema è centrale nella nostra vita quotidiana. Ma, purtroppo, non è un’emergenza nazionale. E nemmeno noi, a essere onesti, la sentiamo tale. C’è sempre un interesse, anche il più piccolo e corporativo, che inevitabilmente viene anteposto al lavoro dei giovani, il cui grado di rappresentatività è modesto, se non inesistente. Insomma, non sono una lobby. Politicamente non contano nulla.Ogni volta che se ne parla prevalgono i toni paternalistici. L’argomento è trattato con un misto di rassegnazione secolare. Come se non si potesse fare quasi nulla. Al pari del riscaldamento climatico. E le nuove generazioni esprimono il loro disagio andandosene o votando, com’è accaduto il 4 dicembre, contro il governo.

Nei giorni scorsi, e per la prima volta, è stata pubblicata la nota trimestrale congiunta sulle tendenze dell’occupazione a cura del ministero del Lavoro, dell’Istat, dell’Inps e dell’Inail. Nel terzo trimestre del 2016, il livello complessivo dell’occupazione è cresciuto, soprattutto nella componente del lavoro dipendente, con un saldo positivo (attivazioni meno cessazioni) di 93 mila unità. Si è discusso molto sull’abnorme quantità dei voucher che, nei nove mesi, sono stati 109,5 milioni, il 34,6 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In realtà, com’è scritto nella nota, corrispondono solo a 47 mila lavoratori annui full time. Limitare e regolamentare di più i voucher è certamente necessario, ma non va dimenticato che rappresentano lo strumento, seppur abusato, per far emergere il lavoro nero, strappandolo allo sfruttamento e, non di rado, alla criminalità. Se si limita l’istituto giuridico, non si argina automaticamente il fenomeno, forse addirittura lo si amplia. Gli ultimi dati sull’occupazione mostrano una situazione del lavoro giovanile che, a lungo, la retorica sui meriti veri o presunti del Jobs act ha sottratto a una corretta valutazione. Nel terzo trimestre del 2016 abbiamo perso, nella classe di età tra i 15 e i 34 anni, ben 55 mila occupati. È questo il dato che dovrebbe balzare subito agli occhi e preoccupare di più. Invece è nascosto tra gli altri…

 

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