Luci e ombre sull’alternanza scuola lavoro: una riflessione a partire dalle proteste degli studenti

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Bollettino ADAPT 7 marzo 2022, n. 9
 
L’inizio del 2022, che si è aperto con grande fermento all’interno del movimento studentesco, ha visto un susseguirsi di occupazioni e manifestazioni in diverse città della penisola. L’ultima è avvenuta il 18 febbraio, coinvolgendo quaranta città italiane. La sera dello stesso giorno, si sono anche aperti gli Stati Generali della Scuola a Roma, esposti come un momento fondamentale per una riflessione collettiva sul ruolo sociale e politico della scuola. Tra le associazioni promotrici delle mobilitazioni in corso troviamo Unione degli Studenti (UdS), Federazione Lavoratori della Conoscenza – CGIL, Rete della Conoscenza e Fronte della Gioventù Comunista – FGC. La maggior parte delle manifestazioni si è svolta nelle piazze, talvolta con il necessario intervento delle forze dell’ordine, ma a Torino, la mobilitazione del 18 febbraio, ha preso una piega politica e alcuni studenti hanno cercato di irrompere nella sede di Confindustria, mentre altri bruciavano manifesti con il simbolo dell’Unione industriali.
 
Gli studenti, attraverso queste azioni, chiedono alla politica di essere ascoltati, in quanto sono i diretti interessati delle politiche scolastiche. Tra le richieste, anche l’abolizione o una radicale modifica dei PCTO (Percorsi per la Competenze Trasversali e per l’Orientamento). Gli slogan che hanno accompagnato le mobilitazioni richiamano quelli dei primi scioperi insorti a contrasto dell’alternanza scuola-lavoro nell’ottobre 2017 e recitano frasi come: “gli studenti non sono operai”, “no allo sfruttamento” e “lavare i piatti non è formazione” ai quali si aggiungono “abolire i PCTO per fermare la strage” e “di scuola-lavoro non si può morire”, slogan strettamente legati alle due tragiche morti avvenuta a meno di un mese di distanza di due ragazzi durante attività di tirocinio. Gli studenti, intonando i nomi dei compagni prematuramente deceduti, denunciano la fame di profitto di aziende senza cultura della sicurezza, della scuola e dello Stato che hanno imposto che le studentesse e gli studenti debbano sperimentare sfruttamento e lavoro gratuito e rischiare la propria vita durante i percorsi formativi. Denunciano che viene insegnata la normalità di lavorare gratis, senza diritti, sicurezza e la possibilità di organizzarsi nel sindacato. Denunciano che nella Carta dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in Alternanza Scuola Lavoro introdotta nel 2017 non è prevista la discussione degli obiettivi formativi con gli studenti, non c’è un codice etico che escluda le aziende non sicure, non ci sono misure preventive che tutelino gli studenti dagli abusi che possono subire. Durante la manifestazione del 18 febbraio 2022, Francesco Ferorelli, coordinatore dell’UdS Napoli, rilascia dichiarazioni che rivelano timori legati alla sicurezza dei luoghi in cui si svolgono i tirocini e sull’utilità dello strumento. Il giovane, infatti, dichiara: “pretendiamo l’abolizione dei PCTO (alternanza scuola-lavoro) e ribadiamo come il ruolo della scuola-azienda pesi anche sulla salute mentale degli studenti”. 
 
Alcune voci giornalistiche che appoggiano la protesta degli studenti, tra cui Nichi Vendola,  accusano lo Stato di affidare un pezzo di gioventù a un circuito costruito su un campo minato, sottraendo gli studenti alla scuola e inviandoli in territori produttivi che trasformano l’offerta formativa in un apprendimento passivo privo di un corredo di cultura generale. Definiscono l’alternanza come una forma di lavoro anticipato che sottrae tempo condiviso con i compagni di scuola allo scopo di formare lavoratori prima che cittadini. Insomma, la metodologia è sottoposta a diverse critiche pesanti che chiedono risposte che vadano nella direzione del cambiamento.
 
Il malcontento dei giovani, trova anche conferma in un’indagine di Skuola.net, condotta grazie al contributo di 2.500 studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori. Il 66% degli intervistati, infatti, si dice d’accordo con le proteste studentesche, con un 17% che vorrebbe addirittura abolire le attività di alternanza; mentre il 49%, più “dialogante”, le vorrebbe mantenere ma con delle modifiche, per renderle più utili per i ragazzi. Questi dati sono importanti nella misura in cui ci rivelano che la maggior parte degli studenti, però, non è contraria alla modalità pedagogica dell’alternanza e agli strumenti utilizzati per realizzarla ma dichiara di volere che essi vengano concretizzati diversamente rispetto a come avviene attualmente.
 
Altra evidenza delle criticità legate all’istituto dell’alternanza la si riscontra in  Scuola/Università e mercato del lavoro: la transizione che non c’è,  di L. Casano, T. Galeotto, A. Guerra, G. Impellizzieri, S. Prosdocimi, M. Tiraboschi. Nell’instant book si legge che nel corso degli anni di studio presso le scuole secondarie superiori si contano da un minimo di uno a un massimo di quattro periodi di impiego degli studenti all’interno dei diversi luoghi di lavoro attraverso lo strumento dell’alternanza. Nel 14% dei casi la durata della esperienza non supera le due settimane e la durata media non è, comunque, superiore a un mese: un tempo limitato per un reale coinvolgimento dello studente nel contesto lavorativo, che non poche volte si limita a una semplice osservazione, quando non ad attività̀ manuali pure. Inoltre, il tasso di incoerenza tra l’indirizzo scolastico e gli ambiti e i contenuti della alternanza formativa è elevato: nel 38% dei casi esaminati, non c’è alcun collegamento tra la teoria e il programma scolastico e i settori di destinazione e le attività̀ svolte in alternanza. La ricerca evidenzia anche che sono pochi i casi in cui risulta carente e inadeguata la progettazione dei percorsi: come risulta dall’ascolto diretto degli studenti, i piani formativi, anche quando teoricamente coerenti e non estranei al percorso di studio, in moltissimi casi non sono rispettati e si registra anzi una difformità̀ evidente tra quanto programmato e quanto realizzato. Gli stessi tutor (del soggetto promotore e soprattutto del soggetto ospitante) il più̀ delle volte sono fantasmi che nulla richiamano della figura dei maestri ma neppure quella dei garanti della convenzione e del relativo piano formativo.
 
Come si evince dagli slogan riportati in precedenza, le accuse maggiormente presenti da parte dei manifestanti sono diverse. Alcune sono legate all’introduzione della metodologia al fine di facilitare il rapporto tra scuola e lavoro, piegando la scuola ai soli interessi del mercato. Sostenendo ciò, i manifestanti sottolineano la loro convinzione che l’alternanza sia stata introdotta come politica di contrasto alla disoccupazione giovanile (alla tedesca) e non come occasione per la formazione integrale della persona. Un’altra accusa mossa è quella dell’inutilità di questa modalità, poiché “basta che si vada in azienda, non importa a fare cosa”. Viene quindi portato alla luce il problema della reale attuazione dell’alternanza formativa che sembra manifestarsi con percorsi improvvisati di primo contatto con il lavoro, ma senza che esso sia arricchito da un contenuto formativo vero e proprio. in questo modo, l’alternanza viene banalizzata e lascia gli studenti soli di fronte a compiti non contestualizzati. Una terza accusa che si eleva dagli studenti è quella relativa allo “sfruttamento” che il tirocinio curricolare porta con sé e quindi il tema del lavoro gratuito. Sostengono, infatti, che non esista esperienza lavorativa che non debba essere adeguatamente retribuita. In ultimo, ma non certo per importanza, vi è la critica legata alla sicurezza dei luoghi di lavoro. Accusa che sicuramente va letta in un’accezione più ampia, che riguardi tutti i lavoratori e non solo gli studenti che svolgono l’alternanza.
 
Le accuse mosse dagli studenti sono forti e devono far riflettere sullo scollamento evidente tra la teoria e le buone intenzioni da una parte e la realtà concreta dall’altra. Se, infatti la teoria, alla quale la legislazione si appoggia, è solida e vanta moltissimi contributi a favore di questa modalità pedagogica, è la prassi quotidiana a far vacillare la struttura. La metodologia dell’alternanza, infatti, viene ben delineata in teoria e, tra le altre, una delle definizioni la vede come “una metodologia pedagogica (non uno strumento) da sempre (non da oggi) presente nella formazione italiana funzionale alla crescita integrale del giovane e, per questo, alla sua occupabilità lungo tutto l’arco della vita (non piegata sulla emergenza occupazionale dell’oggi, quindi)”. Già da questa definizione si evince come, sulla carta, alcune delle accuse mosse dagli studenti non dovrebbero trovare terreno fertile. Sempre secondo quanto sostenuto da chi sostiene la metodologia, infatti, “l’alternanza scuola-lavoro ha il pregio non solo di orientare gli studenti verso scelte (attuali e/o future) più consapevoli perché fondate su maggiori informazioni, conoscenze ed esperienze, ma anche di offrire momenti educativi (pratici ma anche “di vita”) che hanno un’importante funzione pedagogica in quanto aprono l’orizzonte su altri dimensioni, ambienti e attività. Che poi tutto questo si traduca in una maggiore occupabilità può essere una conseguenza senz’altro utile per tutti (studenti, imprese, mercato, ecc.), ma non deve costituire l’unico fine della scuola proprio perché l’educazione e la formazione a cui essa aspira sono funzionali alla “costruzione” della personalità, coscienza, cultura e identità della persona (e del futuro cittadino) e pertanto, non si esauriscono nella dimensione dell’occupabilità” (vedi E. Massagli, Dall’alternanza scuola-lavoro all’integrazione formativa, ADAPT University press, 2017, p. 14)
 
Sempre per comprendere al meglio la metodologia pedagogica come pensata e prevista dal nostro ordinamento, seguono alcune informazioni a riguardo. I PCTO sono uno strumento dell’alternanza formativa e sono stati definiti con chiarezza dalle linee-guida formulate dal MIUR ai sensi dell’articolo 1, comma 785, legge 30 dicembre 2018, n. 145, in modifica di parte dell’alternanza scuola-lavoro, così come definita dalla legge 107/2015. La normativa attualmente in vigore, infatti, stabilisce in 210 ore la durata minima triennale dei PCTO negli istituti professionali, 150 nei tecnici e 90 nei licei, ma non abolisce la loro obbligatorietà, così come stabilito dal Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62. I percorsi vengono invece inquadrati nel contesto più ampio dell’intera progettazione didattica, chiarendo che non possono essere considerati come un’esperienza occasionale di applicazione in contesti esterni dei saperi scolastici, ma costituiscono un aspetto fondamentale del piano di studio. I momenti svolti in ambienti esterni a quelli scolastici (quindi in aziende o enti) devono svolgersi sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa. Il soggetto che riceve la formazione ha lo status giuridico dello studente e l’inserimento in azienda non costituisce un rapporto di lavoro. L’unico ambito ai fini del quale lo studente in alternanza (che svolge l’attività in ambienti esterni a quello scolastico) è equiparato ad un lavoratore è quello della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 81/2008). Tuttavia, affinché tale funzione venga effettivamente realizzata e le attività svolte in alternanza scuola-lavoro non siano soltanto delle parentesi nei percorsi di istruzione e formazione degli studenti, ma siano parte integrante del curricolo scolastico, è indispensabile che a priori vi sia un’attività di co-progettazione del percorso formativo tra la scuola e il soggetto ospitante, qualunque sia lo strumento scelto per realizzarla. Nell’ipotesi in cui l’alternanza scuola-lavoro venga attuata attraverso lo strumento del tirocinio curriculare, la guida operativa del Miur, al paragrafo 4, lettera b, impone la «coerenza con il Piano dell’Offerta Formativa dell’istituzione scolastica». Sin da questa prima indicazione appare evidente che l’attività di tirocinio svolta in azienda debba essere coerente con l’indirizzo di studio cui è iscritto lo studente. Si badi però che coerenza con il piano dell’offerta formativa non implica coerenza con le materie caratterizzanti l’indirizzo, ma con le competenze del profilo in uscita da quel percorso di istruzione, così come delineate dalle linee guida per il riordino dell’istruzione secondaria superiore.
 
A sostegno di quanto sostenuto dalla teoria e da diversi interventi legislativi e in risposta agli attacchi ricevuti, il 10 febbraio è intervenuto il ministro Bianchi che a Radio 24 ha dichiarato: “l’alternanza scuola-lavoro così come viene concepita da quasi dieci anni è stata superata” e di conseguenza si va verso una riforma che possa coinvolgere i ragazzi. Anche perché, come ha sottolineato, “è importantissimo che ci sia una scuola aperta, che si facciano esperienze. Dobbiamo tornare alla capacità di una scuola che integra anche esperienze esterne e fare tutto in pienissima sicurezza. È importante che ci siano una varietà di esperienze e che rientrino in un percorso educativo, non servono esperienze spot”. Il ministro, quindi, riconosce la mancata collimazione tra le buone intenzioni e ciò che vivono i ragazzi nel quotidiano. A fronte di un prosieguo delle proteste, però, si può affermare che le dichiarazioni agli studenti non bastano. Loro chiedono i fatti.
 
Cosa si potrebbe fare, quindi, per far vivere agli studenti una reale esperienza di alternanza scuola-lavoro che valorizzi l’approccio pedagogico del “educare facendo” e l’importanza attribuita al lavoro inteso come strumento di realizzazione personale? cosa si potrebbe fare affinché gli studenti sperimentino l’opportunità di un percorso formativo che li porti a maturare le competenze per condurre un’esistenza libera e piena, partecipando attivamente alla vita politica, economica e sociale del paese?
 
È rilevante il fatto che gli studenti chiedano “senso” rispetto alle loro esperienze e, a avviso di chi scrive, è proprio in questa direzione in cui bisogna intervenire. Gli studenti non comprendono, ad oggi, come la modalità formativa possa essere loro utile, come le esperienze esterne alla scuola svolte possano arricchire la loro formazione. Affinché questo sia possibile è necessario che si colga la sfida teorica e pratica che attende l’alternanza: una progettazione dei percorsi che sia coerente con gli studi intrapresi e, soprattutto nei casi in cui questa coerenza non sia immediatamente palese, un accompagnamento nella riflessione critica sull’esperienza vissuta. Affinché ciò sia possibile è indispensabile che i tutor siano presenti e che siano preparati nell’affiancare e supportare il giovane in formazione, fornendogli feedback puntuali che lo accompagnino alla presa di consapevolezza dei propri punti di forza e dei propri assi di progresso. È importante che anche gli insegnanti siano competenti e capaci di stimolare una messa in comune delle esperienze di valore e dei momenti di difficoltà vissuti dagli studenti, in modo da portare alla consapevolezza quanto appreso, partendo anche dal confronto con i compagni. Sarebbe utile investire risorse nell’inserimento di pedagogisti nelle scuole che possano supportare e coordinare la stesura e il monitoraggio dei progetti formativi ed essere di supporto non solo agli studenti ma anche agli insegnanti.
 
Altra richiesta degli studenti è la sicurezza sul lavoro: a questo proposito sarebbe utile pensare a metodi di verifica preventiva e in itinere delle aziende che ospitano i ragazzi, le quali dovrebbero essere assolutamente in regola con quanto previsto dalla legislazione sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.
 
Per quanto riguarda la gratuità dell’esperienza, il tema è più delicato. Il rischio, infatti, è che se si introducesse l’obbligo di retribuzione, il sistema (già fragile) salterebbe. Se le aziende ora disponibili ad accogliere i ragazzi “perdendoci” nell’immediato, ma investendo sul futuro, fossero obbligate, oltre a mobilitare risorse umane interne, anche a retribuire i giovani che vengono da loro ad imparare si creerebbe una situazione per cui molte di esse non avrebbero più le forze né il desiderio di mettersi a disposizione. Ma su questo tema, si sta riflettendo anche a livello europeo.
 
Insomma, luci e ombre aleggiano sulla modalità pedagogica dell’alternanza scuola-lavoro.  Se essa può rappresentare un grande valore per tutto il sistema, è necessario che, affinché ciò accada, risponda a standard qualitativi elevati, garantiti da un processo nel quale la scuola e l’impresa sono partner; entrambe responsabili dell’educazione dello studente ed impegnate nello sviluppo della didattica. È necessario, quindi, prendere atto delle critiche che le sono rivolte, ascoltare le esperienze vissute dagli studenti e usare queste risalite come punto di partenza per riprogettare e rilanciare una modalità pedagogica dal grande valore potenziale.
 

Annamaria Guerra

ADAPT Junior Fellow

@Annamar95342398

Luci e ombre sull’alternanza scuola lavoro: una riflessione a partire dalle proteste degli studenti