L’occasione (quasi) persa dello smart working*

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 5 settembre 2022, n. 29
 
Non c’è stato giorno negli ultimi due anni nei quali non si discutesse animatamente di una delle grandi novità che la pandemia ha portato con sé: il lavoro da remoto. Il ritorno alla normalità per quanto riguarda le procedure per lo svolgimento del lavoro agile è una buona occasione per tracciare un bilancio dell’utilizzo dello strumento. Infatti da un lato è innegabile che l’attenzione è pian piano andata scemando nel dibattito pubblico, ma anche vero che, dall’altro, all’interno delle imprese e nelle dinamiche delle relazioni industriali quello del lavoro agile è un tema ancora caldo. E lo sarà ancora di più nei prossimi mesi nei quali è probabile che si assisterà ad un utilizzo ancora maggiore dello strumento come tentativo di contrasto da parte delle imprese degli aumenti del costo dell’energia, riducendo i costi fissi degli uffici (e scaricandoli in parte sui lavoratori). Già questo scenario, che andrà verificato, pone un primo elemento che ha caratterizzato il lavoro agile all’italiana, così chiamato in una legge che immaginava uno strumento molto distante da come poi è stato effettivamente implementato. Se infatti l’agilità doveva essere in qualche modo caratterizzata da un nuovo modo di organizzare il lavoro, rendendo più labili le coordinate spazio-temporali che hanno sempre segnato i confini del lavoro dipendente, liberando i vincoli di orario e luogo di lavoro, quello che la maggior parte delle imprese ha messo in pratica appare essere tutt’altro.
 
L’auspicata agilità è mancata e ci si è limitati alla mera traslazione del lavoro da un luogo (l’ufficio) ad un altro (la casa, principalmente) senza che questo implicasse veri cambiamenti organizzativi, a partire dalla crescita anche parziale di autonomia e flessibilità da parte dei lavoratori. E così appare evidente che la pur giustificata ragione di utilizzare il lavoro agile per contribuire alla riduzione dei contagi ha la stessa natura funzionale di chi lo ha implementato e lo implementerà nei prossimi mesi per ridurre i costi di gestione degli uffici. In entrambi i casi, pur in situazioni differenti sebbene emergenziali, l’eterogenesi dei fini è un rischio concreto e riguarda soprattutto i lavoratori. Infatti un lavoro da remoto che segue le medesime logiche organizzative, soprattutto temporali e di controllo, di quello svolto nel normale luogo di lavoro può facilmente condurre ad una alienazione dalla rete relazionale che il lavoro porta con sé, aumentando i livelli di solitudine e di isolamento sociale. Si tratta di un fenomeno ormai largamente osservato nel corso degli ultimi due anni che ha in primo luogo conseguenze psicologiche sui lavoratori ma che porta con sé anche una riduzione delle performance lavorative e quindi danni per le imprese stesse.
 
Se l’organizzazione e il controllo del lavoro da remoto sono le stesse del lavoro in presenza aumentano poi i costi di transazione a livello temporale necessari per attività di coordinamento che de visu avverrebbero più facilmente, accrescendo così sia il senso di controllo da parte dei lavoratori che i tempi non produttivi per le imprese. La mancata flessibilità oraria che il lavoro agile potrebbe astrattamente consentire fatica poi ad accompagnare la spesso millantata relazione tra lavoro da casa e maggior conciliazione con impegni e necessità extra-lavorative (come i mesi di chiusura delle scuole hanno dimostrato). Queste criticità non eliminano il fatto che per molte persone il lavoro agile è stata, pur nella sua formula ridotta di mero lavoro da remoto, una esperienza positiva, soprattutto per chi era impegnato in lunghi tempi di trasporto casa-lavoro. Così come è stata una esperienza positiva per coloro occupati in imprese che hanno adottato, spesso perché già lo facevano prima della pandemia, un lavoro agile con livelli di autonomia e flessibilità maggiori rispetto al lavoro in presenza.
 
Ma la sfida di un ripensamento del lavoro, che porti la sua organizzazione (laddove possibile) a fondarsi maggiormente, e con gradualità crescente, più sulla valutazione dei progetti e degli obiettivi piuttosto che sulla gabbia del tempo lavorato sembra ancora un miraggio. Di certo la situazione emergenziale non era il momento migliore per avviare un cambiamento così radicale, ma ha comunque contribuito a eliminare gli alibi logistici e infrastrutturali al lavoro agile. I prossimi mesi potrebbero essere un banco di prova per fare un salto di qualità, dalla logistica all’organizzazione, sperando che la nuova emergenza alle porte non vanifichi di nuovo l’occasione.
 
Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione su transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

@francescoseghezz
 
*pubblicato anche su Domani, 30 agosto 2022

L’occasione (quasi) persa dello smart working*