Lezioni di Employability/14 – Le mancate risposte dei giovani figlie (anche) dei mancati esempi degli adulti

Cosa pensi di fare dopo la laurea? Come vedi il tuo futuro? A queste domande ci sono ragazzi, tanti, troppi che non sanno rispondere.

Chi pensa ad un giovane di 20 anni o poco più, immagina testa e cuore con idee chiare, con consapevolezze e conoscenza di sé.

 

Molti adulti, molti educatori sono sorpresi delle nostre non risposte. Gli sguardi confusi circa il nostro futuro sconcertano più di quanto si possa credere. La maggior parte di noi ragazzi, una volta conseguito il diploma, si iscrive ad una facoltà piuttosto che un’altra senza avere un’idea precisa riguardo se stessi, le capacità personali e il percorso desiderato.

La maggior parte di noi è convinta che la scelta di frequentare l’università un giorno possa offrirci l’opportunità di ricoprire un ruolo professionale appagante, prestigioso e ben retribuito. Quel giorno, solo allora, avremo così l’occasione di mettere in pratica le nozioni imparate durante i faticosi anni di università, dando così un senso ai sacrifici fatti durante il nostro percorso di studi.

 

Questo atteggiamento verso il futuro e prima ancora verso il presente costituisce già un problema. Confidando che arrivi quel giorno, dopo la laurea, in cui sapremo perfettamente quale mestiere o professione abiti in noi, viviamo gli anni più importanti della formazione da attori non protagonisti. Il futuro professionale è solo nelle nostre mani, almeno fino a quando studiamo e questa mancata consapevolezza non ci consente di cogliere ogni occasione come una straordinaria leva per crescere e diventare grandi.

 

“Aspettando Godot” perdiamo di vista che il percorso di studi è già la migliore “scuola di lavoro”, attraverso la quale testare le nostre attitudini, le capacità di accoglienza del mercato professionale e la coerenza delle scelte fatte.

Solo pochi di noi infatti, all’indomani della laurea, trovano il lavoro dei loro sogni. Per tutti gli altri la realtà, che all’improvviso ci vede protagonisti non attori, non è altro che un mondo fatto di incertezza, disoccupazione, precariato e disillusione: non è sicuramente questo il futuro che desideriamo.

 

Quindi una idea del futuro, a guardarci bene dentro, possiamo averla. Possiamo provare a cogliere le occasioni che i percorsi di alta formazione ci offrono e provare ad anticipare le scelte del domani nelle azioni del presente. Perché tuttavia questo cambio di rotta – che è senz’altro personale, interiore e soggettivo – possa pienamente realizzarsi, abbiamo bisogno di esempi.

 

Esempi di adulti che ci piacciano, il cui mestiere possa appassionarci, i cui gesti quotidiani ci raccontino la straordinaria ed insieme ordinaria bellezza di concorrere con il lavoro al progresso della società in cui viviamo.

Questi adulti sono i nostri educatori, le nostre famiglie, i fratelli maggiori, gli insegnanti, gli autisti degli autobus, i baristi, i negozianti, i bibliotecari, etc. Tutti gli adulti che incontriamo, che osserviamo nel quotidiano e che ci raccontano pezzetto per volta, come si sta e come si fa quando finisci di studiare. L’occupabilità per noi è non solo un mix di quante e quali competenze ci rendano impiegabili, interessanti e validi. È anche esperienza, è prova, è un terreno di esempi da seguire e situazioni da sperimentare.

 

Abbiamo compreso tutto ciò facilmente, ascoltando le parole di un imprenditore, il cavalier Marchesini, Presidente di WAM Group, che quasi dal nulla ha creato una grande impresa. In una aula di diritto del lavoro, in un dipartimento di economia, abbiamo compreso che, per avere successo, non è necessaria una laurea, se il percorso formativo che comporta è vissuto e recepito da semplici uditori. È necessario che impariamo a prendere in mano le nostre vite, le nostre relazioni, la rete che ci circonda. Da protagonisti, attori, la laurea giusta allora diventa per noi autentica ricchezza.

 

La prima cosa che ci colpisce quando ascoltiamo un buon esempio di adulto che ci racconta la sua storia di vita e professionale è la passione che ha fondato e continua a fondare le sue azioni quotidiane. Il racconto spesso ci rimanda a difficoltà incontrate nel cammino ma sempre affrontate con costante determinazione e lungimiranza. Chi vuole provare a fare qualcosa di grande, in ogni campo, deve pensare in grande, senza confini, con un pizzico di follia e visione. Capiamo, sempre ascoltando, che non bastano conoscenze per creare ricchezza e valore. Serve innovazione, crescita, investimento in sviluppo e progettazione. Servono idee: alle imprese per brevettare nuovi servizi o prodotti e alle persone, per superare barriere e ostacoli culturali relativi al lavoro e alla collaborazione. Servono competenze, conoscenze applicate al lavoro, alla prassi, alla realtà.  Le difficoltà, anche nel nostro percorso universitario e di crescita, non mancano. Numerosi i momenti di scoraggiamento, quelli in cui la forza e l’energia mancano e, in agguato, si intravedono comode strade di precariato, di ripiego, di pigra staticità.

 

Nessuno a scuola ci dice che non è semplice trovare un lavoro, non è semplice trovare la strada giusta, non è semplice trovare se stessi. La scuola ci educa allo studio ma non al lavoro. E questa mancata educazione è scontata tutta quando poi per la prima volta usciamo dai percorsi di formazione. Viviamo un terremoto interiore dal quale vorremmo essere bravi come Marchesini e la sua azienda, a rialzarci e riprendere con grinta a correre.

Incontrare esempi positivi di adulti fa scaturire in noi tanta voglia di metterci in gioco e iniziare a giocare da titolari. Impariamo che è importante esprimere il nostro pensiero, è essenziale interagire con gli altri e creare relazioni solide e importanti per il nostro futuro.


 

I buoni esempi ci rendono maggiormente consapevoli delle nostre potenzialità. In ognuno di noi si nasconde un bellissimo progetto che ha solo bisogno di essere portato a termine. Solo noi abbiamo gli strumenti per disegnare il nostro futuro. L’università, la scuola rappresentano trampolini di lancio e devono cercare di insegnarci come saltare. Gli adulti devono mostrarci come planare. Così le nostre mancate risposte diventeranno azioni in grado di parlare per noi.

 

Giada Baraldi

@GiadaB92

 

Alba Castiello

@albacastiello93

 

 Erica Luppi

@EricaLuppi

 

Studentesse Economia aziendale

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

 

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